Antonio Giovinazzi è seduto, quasi immobile, sul cofano della sua Ferrari numero 51. Sopra di lui, i coriandoli dorati cadono indisturbati nel silenzio dell’aria del deserto. Intorno, il caos della festa si scontra con la sua pace. Tra lui e il cielo, s’intravede una scritta: “Endurance World Champions”. I suoi occhi brillano, stravolti dalle ore di gara. Le braccia salgono in automatici gesti di vittoria, mentre lo sguardo carico di emozioni si perde nel buio dell’orizzonte. È la notte del 9 novembre a Sakhir, in Bahrein. L’ultima gara del WEC si è appena conclusa – la competizione che celebra la resistenza e la velocità, dove si corre anche alla leggendaria 24 Ore di Le Mans. Giovinazzi non ci può credere: è Campione del Mondo con la Ferrari. Lo si legge sul suo volto, commosso ma stranamente rigido. Noi eravamo lì, abbiamo seguito il suo weekend. Ma in quei momenti, Antonio nascondeva un segreto: da lì a poco, sarebbe diventato papà per la prima volta. Campione del Mondo e padre, nella stessa notte. Due traguardi, un’unica, incredibile corsa. Poche settimane dopo, ci ha raccontato quelle ore pazzesche: dagli ultimi giri alla nascita di Ginevra Madia.
Che notte è stata per te quella in Bahrain? Un doppio trionfo.
È stata, senza dubbio, una notte che rimarrà nella storia. Per la Ferrari è stato un trionfo atteso: il ritorno alla vittoria nel Mondiale Endurance dopo 52 anni e la conquista di un Mondiale motori dopo 17 anni (dall’impresa di Räikkönen in F1 nel 2007). Per me, è stato un accumulo di emozioni sensazionale. Alla vittoria del Mondiale WEC si è aggiunta la notizia più bella di tutte: sono diventato papà, è nata la mia prima figlia. Non potevo chiedere di più. Non ho mai sentito così tante emozioni arrivare nello stesso momento. È stata, semplicemente, la notte più bella della mia vita.
Era prevista la nascita? O è stata inaspettata?
No. Diciamo che è stata una “bella gara” anche per mia moglie. A lei si sono rotte le acque a mezzanotte dell’8 novembre, prima ancora che la nostra gara iniziasse in Bahrain. Ma non mi ha detto nulla. Mi continuava a rispondere al telefono come se tutto fosse normale. Lo ha fatto per non agitarmi, per non mettermi ulteriore pressione o stress prima di una corsa così importante. È stata veramente fortissima.
Quando hai scoperto la verità?
Solo verso la fine. Quando ha saputo che non sarei tornato in macchina per l’ultima ora e mezza, con Pier Guidi [suo compagno di squadra, in Endurance ci sono tre piloti per vettura, ndr.] che ha chiuso la gara. Allora mi ha confessato: era in ospedale.
E com’è stata quell’ultima ora e mezza? La tensione di aspettare la prima nascita e di diventare campione del mondo allo stesso momento.
Forse, se non lo si è vissuto, non si può neanche immaginare. È stata intensissima. La fine del campionato, dunque il raggiungimento di uno dei miei sogni, e la consapevolezza che mia moglie era lì, in Puglia, in una clinica, ad aspettare nostra figlia. È stata dura.
Poi, la corsa contro il tempo per tornare a casa.
Appena finita la conferenza stampa, dopo la gara, sono volato via. Ho preso il primo volo possibile, alle 2.15, nella notte. E poi, non lo scorderò mai: mia figlia è nata quando ho fatto scalo a Istanbul. Ero in aeroporto, stavo pagando una bottiglietta d’acqua, e mi è arrivato il messaggio del ginecologo. La frase era chiara: «Questa è la tua vittoria più bella». Per poco non ce l’ho fatta a vederla nascere. Però sono felice: dopo tre ore ero lì con lei. Mi sono goduto la prima notte. Anche se “goduto” è un parolone. Ovviamente non ho dormito niente, ma è stato magnifico essere lì il prima possibile.
Un’emozione fortissima.
Sì, perché doveva nascere il primo dicembre. Ma il destino ha proprio voluto farla nascere quel giorno, lo stesso della vittoria in Bahrein. Se ci pensi, è impossibile: sembra quasi un film. Ma è la realtà.
Dopo aver vissuto una notte così, tra la vittoria mondiale e l’essere diventato papà, cosa si pensa?
Non ho realizzato molto il successo in pista. In quel momento, c’erano solo mia figlia e mia moglie, che è stata incredibile. Mi sono dedicato solo a loro due.
L’adrenalina quando è scesa?
Dopo due giorni dalla gara. Dopo la prima notte senza dormire, quella successiva, a casa, sono crollato. Ho dormito per più di dodici ore. Tutta l’adrenalina è andata via. Mi sono riposato profondamente, e poi di nuovo sono stato insieme a loro due, come volevo.
Invece, hai un’immagine che riassume questa vittoria storica per la Ferrari?
Quella nei box, subito dopo il traguardo. Eravamo tutti uniti. Chi si abbracciava, chi piangeva, chi era ancora incredulo. C’era ogni singola emozione, tutte insieme. È stata un’immagine forte, tangibile, che parlava da sé: eravamo una squadra sola, un gruppo di persone che lavorava con un unico obiettivo. Il Mondiale è un traguardo raggiunto insieme. Abbiamo trasformato un progetto nuovo – in soli tre anni – in una vettura vincente. Un risultato da incorniciare. Questa stagione rimarrà nella storia della Ferrari. Aver vinto tutto, e ripeto, tutto – da Le Mans al Campionato del Mondo Endurance – facendo anche tripletta nei piloti, è qualcosa che non dimenticheremo mai.
Infine, com’è per te, pilota italiano nato e cresciuto col sogno Ferrari, riportare la vittoria a Maranello?
Diciamo che, come persona e come pilota, ho realizzato la maggior parte dei miei sogni. Mi posso ritenere soddisfatto, anzi, super contento della mia carriera fino a oggi. C’è sempre stato un unico, grande obiettivo: vincere una gara importante con la Ferrari. La 24 Ore di Le Mans è arrivata inaspettatamente già nel 2023. Poi c’era il sogno di diventare pilota di Formula 1 e guidare una Ferrari F1, e ce l’ho fatta. Ma l’ultimo tassello, il più ambito, era vincere un Mondiale con la Ferrari. Era un sogno che avevo fin da bambino, un’epoca in cui non sapevo cosa fossero il lavoro o la realizzazione personale, quando c’era solo l’istinto puro del gioco. Avevo in mente solo quell’immagine: vincere con quella tuta rossa, guidando la macchina con il Cavallino Rampante. Quel momento è arrivato, nella notte del 9 novembre 2025. E con la vittoria, è arrivata anche la gioia più grande della mia vita: Ginevra Madia.