Zampata rapace, implacabile. Da saetta dell’area di rigore e del cronometro della partita: quella di Rasmus Hojlund, che si prende la standing ovation del Maradona come mai in questi suoi primi mesi in azzurro. Era di quelle serate da appuntamento con la storia, sin da quel tocco del vantaggio al minuto 7′: è il secondo gol più veloce in assoluto segnato da un giocatore del Napoli contro la Juventus in Serie A – il primo era stato Fernando De Napoli nel 1989, dati Opta. Al di là delle statistiche, pesa il dominio assoluto del centravanti con la numero 19 fra le maglie bianconere. Un incubo per Kelly e Koopmeiners. Una sentenza anche nella ripresa, quando Yildiz sembrava averla raddrizzata e invece al danese è bastata un’incornata su un pallone vagante per ristabilire la legge dei campioni d’Italia. Che. fra tanti infortuni, si godono il loro nuovo poliedrico centravanti.
«Segnare fa sempre piacere, ed è bello aver fatto due reti». Hojlund nel postpartita offre il miglior identikit di sé stesso. «Però mi piace anche pressare, tenere alta la squadra e aiutare i compagni. Sono un attaccante e cerco la porta, ma l’importante è il risultato». Perché la performance contro la Juve – sarebbe stato probabilmente tris, senza la paratissima di Di Gregorio in avvio di ripresa – dà l’ingannevole sensazione che, per Rasmus, sia sempre così naturale riempire il tabellino. Poi si guardano i numeri e si rimane di stucco: prima di questa giornata, i suoi gol in Serie A erano stati appena due. Più altri due in Champions. Un bottino abbastanza magro, per un giocatore del suo calibro e del suo ruolo. Eppure la grandezza di Hojlund, una grandezza del tutto congeniale al Napoli di Conte, è che anche quando non segna fa in modo che gli altri non se ne accorgano (il come, per l’appunto, l’ha spiegato lui).
A 22 anni, dopo due stagioni al Manchester United, Hojlund sembrava una promessa smarrita. Ma a giudicare da quello che si è visto a Napoli e dalla contemporanea congiuntura dei Red Devils, era forse il caso di puntualizzare che il problema fosse l’ambiente societario. Perché in Italia, pur faticando con l’italiano, Hojlund lascia parlare il suo calcio. E s’intende a meraviglia con le richieste dell’allenatore, che attorno agli attaccanti di sacrificio – da Morata a Lukaku, passando per Llorente – ha costruito le migliori fortune della sua carriera. Insieme al prezioso contributo dello staff. «In allenamento abbiamo preparato come attaccare la porta, proiettandoci sul secondo palo», ha spiegato il man of the match. «Gianluca – fratello e collaboratore di Antonio Conte, ndr – continuava a dirmi di scattare per vie centrali: ha avuto ragione lui».
E fa specie che a subire una prestazione del genere, da uomo solo al comando, sia stata proprio la Juventus. Che, del centravanti ideale, negli ultimi anni, ha fatto dapprima un rebus e poi un dramma irrisolto sotto i colpi dell’insicurezza. Tra scelte sbagliate – la telenovela Vlahovic, le spese folli in entrata – e un’atmosfera ormai in grado di avvelenare il rendimento di qualunque prima punta capiti dalle parti della Continassa. Hojlund è arrivato a Napoli sul gong del calciomercato estivo per sei milioni di euro di prestito, con diritto – e non obbligo – di riscatto fissati a 44. Oggi, dati alla mano, c’è da chiedersi come la Juve possa essere già contrattualmente costretta a sborsare più o meno la stessa cifra per Openda. Questione di scelte, di porte girevoli del campionato. Quello bianconero l’ha categoricamente riassunto Chiellini: «Purtroppo ora siamo in un anticiclo». Quello azzurro resta ancora di assoluto vertice, a prescindere dagli interpreti, come sottolinea Conte: «I complimenti vanno ai calciatori. Nonostante le assenze pesanti, stanno facendo cose incredibili». Rasmus anche di più.