Non dovremmo più sorprenderci se l’Atalanta batte il Chelsea, anche se sta vivendo un’annata intermittente

La dimensione dei nerazzurri ormai è questa: possono giocarsela con tutti, soprattutto in Europa, anche se i recenti passi falsi in Serie A ci stavano disabituando all'idea.
di Redazione Undici 10 Dicembre 2025 alle 02:56

Ci sono quelle notti di Champions che danno la vera dimensione di una squadra. Anzi: di un grandissimo club. Perché questo ormai è oggi – anzi: da diverse stagioni a questa parte – l’Atalanta: un grandissimo club. Non ingannino il flop di Verona, il tris incassato alla New Balance Arena per mano del Sassuolo o il dodicesimo posto in campionato: quelle, ormai, devono essere considerate delle eccezioni. Perché, al netto dei cicli tecnici, degli avvicendamenti in panchina e del rinnovarsi dei protagonisti in campo, i nerazzurri sono quelli che sbancano Marsiglia e poi – sempre in quello stadio, dove un mese fa giganteggiava Mimmo Berardi – battono 2-1 il Chelsea al termine di una grandissima partita. Lo stesso Chelsea che, nella precedente giornata di Champions, ha rifilato tre gol al Barcellona. Il Chelsea campione del Mondo, per quanto il torneo FIFA che si è giocato a giugno e luglio 2025 faccia ancora fatica a entrare nell’immaginario collettivo.

«Una serata magica», l’ha definita Raffaele Palladino nel postpartita, con tutta la sincerità del caso. «Giocare gare del genere dà grande valore e autostima». E l’Atalanta – la sua Atalanta, o meglio, quella 2025/26, la prima del post-Gasperini – ne aveva un gran bisogno. Non tanto per uscire dalla crisi, quanto per riassaporare ciò che negli tempi era diventata la normalità. E ribadire al calcio, italiano e continentale, che questa rimane a tutti gli effetti la traiettoria durevole disegnata dai Percassi e dalla città di Bergamo.

I gol di Scamacca e De Ketelaere – due tra i leader più attesi, dati recenti alla mano – pesano il doppio proprio perché riattribuiscono alla squadra una vera e propria iniezione di fiducia e di identità. Il memorandum di cosa rappresenta ormai l’Atalanta: l’ex provinciale che centra sette qualificazioni europee nelle ultime otto stagioni, va quattro volte a podio in Serie A, tre in finale di Coppa Italia e due primavere fa ha alzato al cielo l’Europa League (e pure di prepotenza, con un roboante 3-0 contro una squadra fino ad allora imbattuta da 52 partite). Ma è anche l’Atalanta delle plusvalenze reali, dei talenti cresciuti in casa e dei tanti altri rilanciati in maglia nerazzurra. Un progetto che funziona nelle infrastrutture, nel settore giovanile, nell’impostazione manageriale. Da rara virtù del nostro calcio. E la stagione finora intermittente, quantomeno in patria, deve essere considerata come una sorta di calo fisiologico, un inevitabile riassestamento dopo anni vissuti al massimo.

Basterà il gagliardo secondo tempo che ha rovesciato i Blues, per girare anche le sorti di quest’annata? Certamente no, anche perché la consistenza del progetto di Palladino – a maggior ragione dopo la caduta immediata di Ivan Juric – potrà essere verificata solo con il tempo. Il punto, però, è proprio questo: grazie alla vittoria contro il Chelsea, De Roon e compagni potranno ripartire più forti e consapevoli, ma soprattutto hanno fatto capire a tutti – cominciando proprio dai tifosi bergamaschi – che exploit di questo genere vanno sì assaporati, ma senza più lo stupore delle prime volte. Oggi l’Atalanta è una big riconosciuta del calcio europeo, quindi la vera notizia è che sta facendo fatica in campionato, non che sia in grado di battere il Chelsea, di stravincere in casa dell’Eintracht, di issarsi al terzo posto provvisorio della League Phase di Champions League. Quando Alejandro Garnacho – subentrato nella ripresa senza incidere nel corso della sfida contro il Chelsea – ha detto, alla vigilia del match e con l’arroganza della gioventù, «di non conoscere l’Atalanta», ha fatto un torto a una delle più belle storie del calcio moderno. Ma si sa, il tempo è galantuomo. Il campo, figuriamoci.

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