C’è un particolare che più di ogni altro segna – o comunque indirizza – il destino degli allenatori del Real Madrid: i fischi del Bernabéu. Quando si sente la bordata dalle tribune, di solito chi occupa quella panchina ha un piede e mezzo nella pozzanghera dell’esonero. Ecco, durante la partita contro il Manchester City, il Bernabéu ha fischiato due volte il Real: al minuto 67′ e dopo il fisschio finale. Come un moderno gallo calcistico ha segnato il rintocco delle prossime, tesissime ore di Xabi Alonso. Per carità, al manager basco basterebbe guardare alla storia della Casa Blanca per capire che è capitato anche a tecnici di primo livello, al suo mentore Benítez, ad Ancelotti, a tanti altri. Xabi, poi, si trova in una situazione davvero difficile: «È molto difficile subentrare a Carlo Ancelotti, a livello di gestione del gruppo e di rapporto con i giocatori». ha sentenziato, nello studio post partita di Sky Sport, Fabio Capello. Uno che ha guidato il Real, un altro allenatore che ha ricevuto i fischi del Bernabéu, anche se ha vinto due volte la Liga in due stagioni (1996/97 e 2006/07) vissute a Madrid.
Al di là di una complicata successione, l’approccio dell’ex allenatore del Bayer Leverkusen alla nuova realtà è stato così forte che un rimbalzo negativo, prima o poi, era da mettere in previsione. Come tutte le rivoluzioni, anche quella di Xabi Alonso è passata e passerà bisogno di alti e bassi, prima di assestarsi. Il tecnico basco ha voluto ringiovanire la rosa (lanciando ragazzi come Carreras, Mastantuono, Arda Guler e Asencio), cambiare le funzioni ad alcuni giocatori, molto più inquadrate in una struttura semi-posizionale rispetto alla libertà tattica e di compiti vista con Ancelotti. E infine ha voluto consegnare la squadra nelle mani di Mbappè. Che contro il City era assente per infortunio, ma che in stagione ha risposto alla grande, mettendo insieme già 25 gol in 21 partite. Tre mosse da scacco all’antico regime del Real, dove di solito vige l’improvvisazione figlia del talento, dove i grandi “vecchi” passano il testimone gradualmente e dove ci possono essere al massimo dei primus inter pares e non certo dei re. Tre mosse che sembrano utopia, ma che per essere giudicate avrebbero bisogno di tempo. Tempo che probabilmente Xabi Alonso non ha, perché se al Madrid vinci una sola partita in un mese, beh, sei candidato seriamente all’esonero.
La notte che avrebbe dovuto rilanciare il Real Madrid si è trasformata in un campanello d’allarme fragoroso. Il Manchester City ha espugnato il Santiago Bernabéu per 2-1, rimontando il vantaggio iniziale di Rodrygo e lasciando Xabi Alonso e i suoi giocatori in una crisi sempre più profonda. Una sconfitta pesante non solo per la classifica, ma soprattutto per le implicazioni tecniche, emotive e gestionali che scuotono la panchina dell’ex Bayer Leverkusen, ora davvero appesa a un filo. Eppure il Real era partito bene, sospinto da uno stadio inizialmente caldo e fiducioso. Dopo 28 minuti di buona intensità, Bellingham ha inventato una ripartenza perfetta rifinita da Rodrygo, che ha firmato l’1-0 con un super diagonale, tornando a segnare dopo poco più di nove mesi. Una rete che sembrava poter cambiare il corso della serata e restituire un po’ di serenità a un ambiente agitato da settimane di risultati altalenanti.
Ma l’illusione è durata appena sette minuti: su un pallone alto apparentemente innocuo, Courtois ha sbagliato il tempo dell’uscita, e così il suo intervento goffo ha generato un rimbalzo che ha permesso a O’Reilly di depositare in rete il pareggio. Il pareggio ha tagliato le gambe al Real, riaprendo una ferita già aperta e piuttosto profonda: quella della fragilità difensiva. Un intervento in ritardo di Rüdiger su Haaland in area è stato rivisto dal VAR, che ha richiamato Turpin all’on field review. L’arbitro belga ha concesso rigore, e Haaland ha potuto gelare il Bernabéu.
Un aspetto che ha colpito del match di Madrid, è stata la mancata reazione ddel Madrid. Nella ripresa c’è stata qualche fiammata individuale – una di Rodrygo, di testa, in particolare – ma senza una trama riconoscibile, senza lucidità. Il City ha controllato il campo e non ha sofferto quasi mai. Certo, e assenze pesanti di Militão, Carvajal, Alaba, Mendy e Alexander-Arnold hanno obbligato Xabi Alonso a scelte forzate che non gli hanno garantito equilibrio né compattezza. La squadra non ha letto correttamente i palloni alti, ha sbandato nei posizionamenti e ha pagato errori individuali. Dopo il gol iniziale, poi, il Real ha smesso di comandare il gioco. La squadra è arretrata, si è abbassata, ha concesso metri al City. Il problema è che ultimamente sta succedendo spesso, anche contro avversari decisamente meno forti. Non a caso, viene da dire, l’aspetto psicologico, è uno dei temi più ricorrenti nelle domande fatte a Xabi Alonso nelle analisi post-match.
I media spagnoli parlano ormai apertamente di «panchina a rischio immediato», i giornali più vicini alla Casa Blanca riportano come la dirigenza (leggasi il presidente Florentino Pérez), benché convinta del valore di Xabi Alonso, sia comunque preoccupata per il trend negativo. Tensione, scetticismo interno e risultati insufficienti rendono la posizione del tecnico basco più instabile che mai. Lo spogliatoio è descritto come «teso», provato da settimane di prestazioni irregolari. La sconfitta complica seriamente il cammino europeo, ma soprattutto apre una crepa profonda nell’intero progetto tecnico. Il Madrid non può più permettersi nuove cadute: ha bisogno di reagire, anche uscendo dai principi di gioco imposti da Xabi Alonso.
Il 2-1 del Bernabéu non è solo un risultato. È una foto di un Real Madrid un po’ confuso contro un Manchester City che, finalmente, sta ritrovando solidità e certezze. Per risalire servirà guardare all’identità storica del Madrid. Riuscire a portarla nel suo sistema sarà la prova più dura, anche per una mente calcistica superiore come Xabi Alonso, uno che è riuscito a far vincere una Bundesliga al Leverkusen. Riprendersi questo Madrid potrebbe essere qualcosa di ancor più complesso.