Per capire il significato di predestinato non basta guardare dietro la foto. Dobbiamo andare dietro l’obiettivo, riavvolgere il filo invisibile che ha attraversato tre paesi e due continenti. La foto è quella di Messi che fa il bagnetto a un bambino in fasce. Quel bambino si chiama Lamine Yamal: «C’era una possibilità su 12 che finisse nelle mani di Messi», racconta Rafa Rodríguez, presidente della prima squadra di Yamal da bambino. «Prima che quella foto tornasse alla ribalta io l’avevo già vista. Il papà di Lamine all’epoca si pavoneggiava di possedere una foto di suo figlio con Messi. Ce l’aveva salvata nel suo cellulare». Le probabilità che a squillare fosse il telefono di Sheila Ebana, invece erano infinitesimali. Da un lato della cornetta la fondazione Barcellona, dall’altro una neomamma della Guinea Equatoriale domiciliata a Esplugues de Llobregat. Arrivata in Catalogna con il fidanzato Mounir, un pancione pieno di speranza e una valigia gonfia di fatica e solidarietà. Quel neonato è il prodotto di tutto questo. Lo dice il suo stesso nome: Lamine Yamal. Non c’entrano trovate da influencer o rivelazioni da libretti per neogenitori. Lamine e Yamal sono due persone che hanno aiutato una famiglia smarrita a trovare un posto sulla terra. La stessa terra che tremò, scossa dallo squillo del telefono: «Era un calendario benefico e c’erano giocatori e giocatrici di tutti gli sport: hockey su prato, pallavolo, basket, pallamano. A Lamine toccò il giocatore di calcio. A Lamine toccò Messi», ricorda Rafa in estasi.
La foto resta sepolta nella galleria nel telefono di Mounir tra selfie e paesaggi. Mounir e Sheila intanto hanno lasciato Esplugets de Llobregat e hanno raggiunto la famiglia del papà a Mataró, 40 km da Barcellona. Pardon: Rocafonda, dove siamo andati per realizzare il minidoc firmato da Prime Video che trovate qualche riga più in giù. In certi casi, il distinguo è d’obbligo. Come per le favelas in Brasile, i barrios argentini e le banlieues parigine basta un nome o un codice per definire chi sei. «C’è troppa distanza tra Rocafonda e la città. Questo quartiere è segregato: ci sono ragazzini che non hanno mai visto il lungomare», racconta Maria, catalana convinta e rocafondina della prima ora. «Io sono contenta di vivere qua. Amo la diversità, amo vedere l’energia di questi ragazzi. A Rocafonda ci sono 3000 bambini tra i tre e 15 anni». Eccoli. Sulla pista de futbal si danno il cambio le Nazionali del Paraguay, del Marocco, della Spagna, dell’Argentina, e della Guinea. Un Mundialito versione callejera. Sulla parete nord l’ormai famosa scritta Rocafonda ha il sapore di una località marittima decaduta. Una vecchia Atlantic City.
Lamine Yamal, 304
«Lamine passava qui le sue giornate. Era capace di scendere alle 16 e tornare a casa dopo 5 ore». La pista è una serra dove i bambini esultano con il 304 e i papà vanno a coltivare il miracolo del nuovo Lamine. «Il gesto del 304 è un regalo inaspettato. Ha aiutato a ripulire il pregiudizio della gente. Adesso se dici 304 cambiano subito espressione, ma in positivo. Lamine non è la soluzione a tutti i mali. Lui rappresenta la speranza, rappresenta i tanti “Lamine” che possono farcela, con l’aiuto delle istituzioni e l’amore delle persone».
Tra la pista e Plaça Joan XXIII ci sono soltanto 200 metri. Lamine scattava dalla porta di casa di nonna Fatima con il pallone sottobraccio. Dribblava i negozi di frutta e verdura importata rigorosamente dal Marocco, salutava i ragazzi del Bazar Paloma, sfrecciava tra le donne in hijab e faceva una sosta tecnica alla panetteria araba dello zio Abdul. Oggi la panetteria di Abdul non c’è più. Pure lui ha fatto l’upgrade. Oggi gestisce il Bar familia LY304. Il primo mausoleo consacrato al nipote. Palette blaugrana, foto di Lamine 360° e maglie autografate in bella vista. Quella del gol in semifinale alla Francia è nella sua collezione privata.
Sheila, Rocio
Fratello maggiore di papà Mounir è stato uno dei primi figli che raggiunsero Fatima a Mataró. «Esistono donne che hanno un potere immenso. Fatima (la nonna di Lamine ndr) è arrivata negli anni Ottanta. Sola! In un’epoca dove l’emancipazione era una piaga, soprattutto per una donna proveniente dal Marocco senza marito al seguito. Ha fatto mille lavori per guadagnarsi da vivere e dare un futuro ai figli. Vivevano in otto o in nove nella stessa casa e Lamine era l’unico bambino di una famiglia numerosa. Fatima è stata fondamentale per l’educazione e la crescita del bambino in un momento delicato».
Perché a questo punto della storia la mamma di Lamine riceve una promozione e dal McDonald di Matarò viene trasferita a quello di Granollers. Un’emigrazione senza fine. Partono tutti insieme. Sheila si presenta a tutti come Rocio: «Lo decise lei», dice Sandra, sua ex collega «Stava in cucina. Era una grande lavoratrice. Le cose in casa non andavano bene, ma lei metteva su il miglior sorriso e non si faceva prendere dallo sconforto». Lei dentro le cucine di un fast food, lui con la tuta da imbianchino. Mounir ha nostalgia del barrio. La ghorba, come dicono dalle sue parti. «Non era semplice per Rocio. Soprattutto con il bambino. Le dissi che mio papà era dirigente di una squadra di calcio. Poteva parlare con lui e provare a lasciarlo il pomeriggio». Sandra non sapeva di scrivere una profezia. «Vennero insieme Mounir e Rocio. Volevano fare una prova. Il primo test è lasciare questi bambini di tre/quattro anni liberi di entrare in campo. Di 11 che entrano, 11 escono dalla stessa porta. Lamine restò in campo», racconta Inocente Diez, in arte “Kubala”, ai tempi dirigente de La Torretta. L’amore va, il calcio resta. «Era il più piccolo di tutti e faceva cose straordinarie. Per punizione lo lasciavamo in panchina perché non passava mai la palla. Godeva come un animale a dribblare gli avversari e a segnare», continua Kubala. In pochi hanno ricordo di quel piccolo marziano, ma nessuno pensavo che quel campo in sintetico potesse diventare fenomeno di studio per l’Area 51 blaugrana.
«Non è un miracolo. Noi non abbiamo scoperto Lamine, è lui che ha scoperto noi. Lui sarebbe comunque arrivato dove è continuando a giocare per strada», chiosa Kubala. «Al lavoro scherzavamo con la madre: gioca così bene a calcio che ti porterà via di qui», ricorda Sandra. Rocio non è andata troppo lontana. Abbastanza da non dover più convivere con l’odore di patatine fritte e il fumo della griglia. Oggi la sua vita si chiama Keyne, il fratellino di Lamine avuto con un nuovo compagno. Papà Mounir ora vive a Barcellona. Vicino al figlio. Non sotto lo stesso tetto. «Rocio era solo Lamine, Lamine e Lamine», e al terzo Lamine gli occhi di Kubala diventano acquarelli. «È stata davvero dura per lei: un bambino piccolo, una separazione… Per lei non c’erano cene fuori, balli, serate o viaggi. Esisteva solo il lavoro e Lamine». Altra donna dal potere straordinario. Nonna Fatima a Rocafonda, mamma Sheila ovunque. «Lei si metteva in fila per comprare le patatine al bambino. Tutti i giorni. Aveva un’aura speciale, una di quelle persone che ti rimangono impresse», dice Marc, proprietario della Churreria La Sorpresa, nel casco antiguo di Granollers. Il bancone delle leccornie sporge sotto un’insegna da luna park. Di fronte un muro anonimo. Eppure, Lamine dava le spalle a tutto quel ben di Dio «Non si separava mai dalla palla. La mamma in fila ad aspettare, mentre lui giocava a muretto». Solo nelle fiabe il posto dove il bambino divora cibi unti e ipocalorici si può chiamare La Sorpresa. Nessuno ne La Roca del Valles aveva intuito che la sorpresa fosse di quel calibro. Fu il naso stanco e sornione di una vecchia volpe a sbatterci sopra.
Il minidoc prodotto da Prime Video
Il Barcellona
«Isidre Gil (storico osservatore della zona, ndr) passò di qui. Visita di cortesia. Ci chiese se avessimo un giocatore che valesse la pena. Presentammo Lamine. Aveva sette anni», ricorda l’ex presidente de La Torretta. «Avevamo sul tavolo una richiesta dell’Espanyol che, a livello economico, era più vantaggiosa per noi. La decisione ricadde sul Barcellona perché fu Lamine a volerlo. Guardò sua madre e disse: Barcellona», giura Rafa. «lo vidi proprio con i miei occhi”» Fu la stessa parola che sette anni prima Messi gli sussurrò all’orecchio durante lo shooting. La forza del subconscio. «Organizzammo un provino per vederlo insieme ad altri ragazzi di categoria superiore. Lui era in Marocco con il padre. Lo aspettammo. I dirigenti de La Torretta si raccomandarono con la famiglia; luogo, ora e materiale da portare. Arrivarono puntuali ma Lamine dimenticò gli scarpini a casa. Il Barcellona gli prestò degli scarpini per il suo primo provino». Queste parole sono di Albert Puig, direttore de La Masia tra il 2010 e il 2014. «Di solito i ragazzi che vivono in Catalogna entrano a La Masia a 14/15 anni. Per Lamine, vista la situazione familiare precaria, anticipammo l’ingresso». Il Barça voleva ridurre il rischio che si “perdesse per strada”.
Cosa che accadde il primo giorno di allenamento. «Il tassista del club si presentò a Rocafonda e non riusciva a trovarlo. Stava sempre fuori con il pallone e non sapevamo dove fosse finito», racconta Puig. Snocciola i nomi dei talenti che ha visto crescere come se fosse una filastrocca di isolette tropicali. Lamine Yamal, Dani Olmo, Javi Simmons, Iñaki Peña, Héctor Fort. Ma la sua isola si chiama Messi: «È stato il giocatore più costante della storia», conclude Puig. «Dico Messi così tutti possono avere un’unità di misura. Non si può neanche osare un paragone tra Lionel e Lamine. Oggi è come parlare di pianeti diversi. Lamine ha fatto vedere che ha capacità e lo spirito competitivo per giocare ad altissimo livello, adesso dobbiamo capirne la progressione. Migliorerà sempre di più? È giovanissimo e ha tanti ostacoli da superare. I più grandi sono dentro di lui. Se riuscirà a farlo allora tra dieci anni possiamo capire che posto avrà nella storia». La sedia è vuota. Sul tavolo c’è una targhetta con inciso “Riservato”. Lo aspettano dal 13 luglio di 17 anni fa.
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