Monte San Biagio è la fermata del treno che una volta si chiamava accelerato. Quello che non saltava nemmeno una stazione. E a Monte San Biagio, provincia di Latina, scendevano e scendono quelli diretti a San Felice Circeo o a Terracina. Oggi il paesino conta seimila anime. Lì, sessantaquattro anni fa, nacque Andrea Carnevale – professione centravanti – che in una sola vita ne ha vissute tante. Mai troppe. Tragiche. Dolorosissime. Entusiasmanti. Tutte ad altissima intensità. Oggi, e da un po’ di tempo, è un dirigente dell’Udinese. Fa l’osservatore. Fu lui a segnalare ai Pozzo, tra gli altri, Handanovic e Bierhoff. Dopo un lungo periodo di sofferta incubazione, ha trovato il coraggio di rivelare il dramma della sua vita: la mamma uccisa dal papà che soffriva di disturbi psichici che sfociarono in una gelosia patologica e violenta. Andrea aveva 14 anni. Per raccontare questo portato di esistenza, Carnevale ha atteso l’incontro giusto. Serviva un giornalista attento, abile a maneggiare con cura la sensibilità altrui. È nato così Il destino di un bomber, il libro di Andrea Carnevale e Giuseppe Sansonna edito da 66thand2nd. Sansonna da anni racconta l’Italia, i suoi luoghi, i suoi personaggi, per la Rai e non solo. Ha curato anche documentari su Tomas Milian, Rodolfo Valentino, Zdenek Zeman. «Giuseppe è stato bravo a farmi parlare», racconta l’ex centravanti. «È entrato nel mio cervello».
Un incontro fortuito
Rivista Undici li ha intervistati. Ed è Sansonna a raccontarci che non si tratta di un libro progettato a tavolino, ma che tutto è nato da un incontro fortuito avvenuto a Monte San Biagio. I due si sono annusati, riconosciuti e fidati l’uno dell’altro. «Non volevo fare un libro su commissione su un calciatore. Mi è invece piaciuto raccontare una storia umana da cui traspare sullo sfondo una certa stagione dell’Italia e anche un periodo dell’Italia calcistica». Il periodo d’oro. Gli anni Ottanta, quando la Serie A era il campionato vetrina del mondo. E un po’ dei Novanta.
«Un altro mondo», dice Andrea Carnevale. «Mi guardo indietro e faccio fatica a credere di aver giocato con Zico, Maradona». Nel libro ricorda quando, a 14 anni, andò da solo in Sardegna a sostenere un provino organizzato dalla Juventus e rimase quattro ore sulla banchina del porto di Olbia ad attendere che i dirigenti andassero a prenderlo. «Oggi sarebbe impensabile», dice Carnevale. «Ora i ragazzini arrivano tutti accompagnati da mamma e papà. Ci sono più garanzie per il minore ma in tanti anni non ho mai visto un ragazzino fare un viaggio in treno da solo per un provino».
C’è il racconto di quando il padre ad Avellino gli fece sapere di volergli parlare. «Decisi di andare a trovarlo in questo carcere psichiatrico di Aversa, contro il parere dei miei fratelli (sei figli, ndr). Lo feci perché volevo capire, volevo capire se papà si era reso conto, se stava guarendo. E invece appena vide me e mio fratello, cominciò a inveire contro mia madre. Fu straziante». Uno dei tanti femminicidi annunciati. Anche questo è descritto con agghiacciante lucidità.
Carnevale e Maradona
Carnevale ha sempre vissuto con quest’ombra. Di Maradona dice: «è stato tutto per me. Aveva gli occhi buoni come i miei. Era il re del calcio eppure era di un affetto unico». A Napoli Carnevale ha vinto due scudetti e una Coppa UEFA. Non furono tutte rose e fiori. Con Ottavio Bianchi un rapporto a dir poco conflittuale: l’anno del primo scudetto conobbe spesso la panchina. Bianchi gli preferiva Caffarelli. «Un’onta inaccettabile», è scritto nel libro. Ora, quarant’anni dopo, Carnevale parla così di Bianchi: «Mi ha fatto bene, siamo diventati amici. Ci sentiamo spesso, mi risponde sempre. Ora faccio il dirigente da 23 anni, sono passato dall’altra parte del fossato, mi sono reso conto che da giovane c’è quella ribellione, ripetevo che ce l’aveva con me. Poi, quando andai alla Roma, dopo Italia 90, facendo tutto di nascosto, mi dissero che l’allenatore era proprio Bianchi. Mi arrabbiai, non ci potevo credere, poi Ranucci che era il numero due del presidente Viola mi disse: “Guarda che ti ha voluto lui”. E rimasi senza parole. Col tempo, mi sono ricreduto sull’uomo e sulla persona, mi ci è voluta qualche partita».
Carnevale finì con l’essere protagonista del primo scudetto del Napoli. Nelle ultime quattro partite, quando il sogno rischiò di svanire, Bianchi lo schierò titolare e lui segnò quattro gol. Compreso quello scudetto, contro la Fiorentina. Era una punta centrale. Quando andò via Giordano, comprese che per giocare avrebbe dovuto fare qualche sacrificio. Divenne uno dei primi attaccanti a tutto campo. «Dico sempre che facevo un po’ l’asino. Correvo tanto però mi cominciava anche a piacere fare quella fascia avanti e dietro. Tanti anni dopo è stata una soddisfazione vedere che Allegri faceva giocare Mandzukic allo stesso modo».
Italia 90 e Napoli-Bayern
Se con Bianchi ha recuperato nel corso del tempo, con Azeglio Vicini invece no. Quel Mondiale 90 resta una macchia indelebile. Partì centravanti titolare e poi esplose Totò Schillaci. Che, manco a farlo apposta, era suo compagno di stanza. Alla seconda sostituzione, bestemmiò in diretta tv («Biscardi mostrò il labiale») e il Mondiale di Andrea finì lì. «Andai in Nazionale soprattutto grazie ai tifosi del Napoli che lanciarono una petizione, esposero striscioni. Secondo me lo meritavo. Stavo giocando benissimo anche al Mondiale, ma sbagliai due gol. Vicini mi ha deluso perché dopo quella mia imprecazione organizzammo un incontro chiarificatore. C’eravamo noi due, Montezemolo e Boniperti, io chiesi scusa, l’imprecazione per altro non era rivolta a lui. Lui disse che era tutto chiarito però poi non mi fece giocare più. Mi abbandonò in tribuna».
La sua partita indimenticabile resta Napoli-Bayern semifinale d’andata di Coppa Uefa. Due a zero. Segna un gol bellissimo. Va in cielo su cross di Maradona. «In quella partita colpii anche un palo in tuffo di testa. Il Bayern mi voleva. Mi avrebbero pagato tantissimo. Allora non ci pensavo. I calciatori più forti, anche tedeschi, giocavano in Italia. Ecco: del calcio di oggi, sono sincero, invidio i soldi. Oggi un calciatore medio guadagna nettamente di più ma è anche un calcio molto più distante dalla gente, dai tifosi, anche dai bambini. È meno romantico, direi che c’è meno affetto».
Il libro è ricco di aneddoti, di chicche. Di dettagli che disvelano tratti della personalità di Carnevale. E poi ci sono l’amore con Paola Perego. Il matrimonio. La squalifica per il Lipopill. Il finale di carriera. Sansonna racconta: «Via via che la nostra confidenza aumentava, il libro si arricchiva. Mi svegliavo al mattino e trovavo questi lunghi vocali che Andrea registrava quando ad esempio viaggiava di notte». Il libro si chiude sul gol scudetto che segna alla Fiorentina il 10 maggio 1987, con Andrea che prova a correre dopo il gol e Diego che lo bracca. E lui che pensa alla mamma. Il libro recita così:
«Con questo gol alla Fiorentina ti avrei comprato la casa che volevi, mamma, la cucina nuova, i vestiti belli». Corre e piange Andrea, in quel dieci maggio eterno, mimetizzato dall’urlo di gioia, mentre Diego ancora non riesce a fermarlo. Le lacrime sono scese tante volte, senza freni, ma solo in solitudine, con Andrea chiuso nel bagno dello spogliatoio, ad aspirare forte la sua sigaretta, lontano dagli sguardi dei compagni. Dopo ogni vittoria e ogni gol pesante, dopo Stoccarda e dopo i match scudetto, la testa era sempre rivolta al lutto, a Monte San Biagio. Alla tavola imbandita di ogni Natale, la sua gioia più grande. Alle sorelle, coraggiose madri compensative, alla complicità dei fratelli, primi ed eterni compagni di squadra, agli amici di una vita. «Ce lo hai insegnato tu meglio di tutti, Diego, il calcio è muscoli, testa, forza, illusori attimi di gloria, ma anche abbattimento, momento di sconforto. Abbiamo avuto tutto e anche il suo contrario, sempre al massimo. In fondo possiamo ritenerci due ragazzi molto fortunati. Dormi, Diego, adesso. Hai solo fatto un brutto sogno. Quando ti svegli torniamo a Napoli, e ricominciamo tutto da capo».