Napoli e il Napoli, una festa diversa per uno scudetto diverso

Rispetto a due anni fa, stavolta la città non è stata presa d'assalto da tifosi neutrali: i napoletani si sono goduti il successo di una squadra meno ammaliante, meno folcloristica, ma più matura e consapevole.

Si è discusso e si discuterà tantissimo in merito alla distanza tra il Napoli campione d’Italia con Antonio Conte e il Napoli campione d’Italia con Luciano Spalletti. Tra le due squadre e tra i due scudetti del 2023 e del 2025, effettivamente, ci sono delle enormi differenze tecniche, tattiche, di approccio e di stile, si può dire anche filosofiche. E in fondo, a pensarci bene, anche il modo in cui gli azzurri hanno materialmente conquistato i due titoli è stato clamorosamente opposto: nel 2023 la certezza virtuale della vittoria era arrivata già a Pasqua, per non dire a febbraio, mentre questa volta gli azzurri e i loro tifosi hanno dovuto aspettare l’ultimissima giornata di campionato, all’apice – agonistico ed emotivo – di un bel duello con l’Inter di Simone Inzaghi.

Vulcani effusivi e vulcani esplosivi

Proprio queste chiare ed evidenti diversità di fondo hanno influito anche sul modo in cui i napoletani hanno celebrato lo scudetto. Quella del 2025 è stata una festa dall’anima nuova, più improvvisa e improvvisata, forse non inattesa o insperata – d’altronde la squadra di Conte era in testa alla classifica da diverse giornate – ma di certo meno costruita, più spontanea. I geologi e gli appassionati di geologia forse non approveranno questo paragone, ma per i vicoli e le vie della città è come se si fosse percepita la stessa differenza che passa tra i vulcani esplosivi e quelli effusivi: mentre i primi sprigionano la loro forza eruttiva in un grosso e catastrofico Big Bang, i secondi sgorgano colate di lava fluida a intervalli irregolari, sì, ma non così lunghi da causare una totale disintegrazione dello stesso vulcano e dei suoi dintorni. Ecco, se nel 2023 Napoli aveva effuso la sua festa in modo travolgente ma diluito, anche perché il vantaggio sulla seconda classificata era siderale, questa volta la città è esplosa in una gioia più genuina. Meno preparata.

Questa inevitabile mancanza di pianificazione, però, ha anche portato Napoli a farsi travolgere da una festa solo e soltanto sua. Poco turistica, quindi decisamente meno folcloristica. Certo, i visitatori estranei alla squadra azzurra non erano completamente assenti, ma rispetto al 2023 lo scudetto è stato celebrato senza tanti curiosi provenienti da altri luoghi d’Italia e del mondo, senza tifosi di altri club che non volevano perdersi il momento esatto della vittoria e poi la grande gioia collettiva. Probabilmente su questa sensazione ha pesato anche il poco tempo trascorso dall’ultimo grande titolo, il fatto che lo scudetto del 2023 sia stato un urlo liberatorio arrivato dopo 33 anni di astinenza – anni intervallati da retrocessioni, fallimenti, delusioni in serie – mentre quello del 2025 è arrivato dopo un’attesa ridotta. Ma la sostanza, alla fine, resta quella per cui Napoli non è stata presa d’assalto come luogo in cui stava per succedere qualcosa di storico e praticamente irripetibile, un evento talmente raro che non poteva essere ignorato e che perciò andava vissuto: le strade della città e della provincia si sono riempite di napoletani residenti e di expat tornati a casa per festeggiare, senza troppe interferenze esterne.

Un Napoli diverso

Chissà, forse nell’accettazione e nella celebrazione di questo scudetto hanno inciso anche le differenze tecniche, tattiche, di approccio e di stile di cui abbiamo parlato all’inizio: se il Napoli di Spalletti – e di Osimhen, di Kvaratskhelia, di Kim Min-jae – era un’orchestra sinfonica che emanava un chiaro senso di glamour, un’aura che tutti percepivano a prescindere dalla propria fede calcistica, quello di Conte – e di McTominay, di Lukaku, di Buongiorno – ha vinto in modo più fisico e sofferto, quindi in modo meno attraente e gradevole per i neutrali. In modo meno turistico, per usare un aggettivo già snocciolato in precedenza. Ha vinto come fa una grande squadra, per utilizzare una frase fatta tipica del giornalismo sportivo. Sì, forse il punto è proprio questo: una grande squadra che vince così, cinicamente e al termine di uno sfibrante duello a distanza, anche se si chiama Napoli, può stare simpatica solo ai suoi tifosi.

 

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I tifosi, appunto: alla fine le percettibili (e lunari) faide interne sulla qualità del gioco del Napoli di Conte si sono dissolte in una notte di gioia impetuosa e inebriante, una notte in cui un’intera città ha capito per la prima volta cosa si prova a vincere lo scudetto senza specchiarsi troppo, senza avere il miglior giocatore del mondo (come ai tempi di Maradona) e/o una squadra da cui è impossibile non farsi ammaliare (come ai tempi di Spalletti). Forse chi ha invaso Piazza del Plebiscito e il Centro Storico e la zona di Fuorigrotta non ha pensato a niente di tutto ciò, ha solo badato a godere e a divertirsi, e in fondo il punto è proprio questo: vincere uno scudetto resta una cosa enorme, a Napoli storicamente lo è ancora di più, e quindi chi ha sminuito – o sminuisce, o sminuirà – questo successo lo fa sulla base del nulla. O magari perché avrebbe voluto scendere in strada e festeggiare al posto dei tifosi del Napoli.

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