Piccolo vademecum al Tour de France 2017

Da Froome e i suoi rivali passando per i possibili outsider: la sfida di Sagan a Zabel e le prospettive degli italiani in gara.

Il Tour de France ritrova la Germania, e – soprattutto – la Germania ritrova il Tour. Dopo un decennio di gelo e di mancate dirette televisive, rimedio tutto tedesco alla perdita di credibilità dello sport a due ruote nell’era Armstrong-Ullrich, la riconciliazione tra la Germania e la Grande Boucle si celebra a Düsseldorf. Il circuito cittadino che apre il 104° Tour de France sembra disegnato apposta per esaltare l’eleganza della semi-sconosciuta metropoli renana e per consegnare la prima maglia gialla a Tony Martin, l’esponente più carismatico della nuova generazione di campioni che ha riacceso la passione ciclistica dei tedeschi.

I 14 km del prologo iniziale rappresentano quasi la metà del totale di chilometri a cronometro previsti in quest’edizione, ed è un dato parecchio indicativo. La seconda e ultima crono (22.5 km) è prevista il penultimo giorno di gara in un altro scenario cittadino, quello suggestivo di Marsiglia, del suo velodromo e del suo porto. Le prove contro il tempo, storicamente passaggi decisivi verso la conquista della maglia gialla, aprono e chiudono il Tour 2017, l’abbracciano, ma appaiono davvero troppo corte per poterlo marcare a fuoco. Il Tour sarà deciso piuttosto da quello che l’Aso ha disseminato tra Düsseldorf e Marsiglia, e anche qui di ordinario non c’è granché.

DOHA, QATAR - OCTOBER 12: Tony Martin of Germany rides during the Men's Elite Individual Time Trial on Day Four of the UCI Road World Championships at Lusail Sports Complex on October 12, 2016 in Doha, Qatar. (Photo by Bryn Lennon/Getty Images)

Gli organizzatori sembrano aver accolto le indicazioni arrivate dalle edizioni recenti delle grandi corse a tappe e – fatto piuttosto raro per il Tour – hanno riconosciuto le mancanze della propria creatura, diminuita nella sua dimensione spettacolare dal dominio di un uomo e di una squadra capaci di azzerare quasi del tutto le possibilità di attacco. Ecco allora che nel 2017, oltre al già accennato snellimento delle cronometro, il Tour sfoltisce anche gli arrivi in salita, solo tre. Non che manchino le montagne, anzi: il Tour quest’anno si dimentica di un pezzo di Francia (tutta la parte nord-occidentale), ma non delle sue catene montuose. Verranno affrontate tutte, nell’ordine: Giura, Pirenei, Massiccio Centrale a Alpi. La novità è che alcune salite di rilievo sono piazzate a inizio tappa, nel tentativo – del tutto teorico – di avere una corsa aperta e imprevedibile già dal primo chilometro, considerato anche che per la prima volta tutte le tappe saranno trasmesse in diretta televisiva integrale.

Ad esempio la 9a tappa, la più dura del Tour, parte in salita sulle montagne del Giura: due gpm nei primi 50 km, poi altri cinque (di cui tre Hors Catégorie, altra circostanza più unica che rara) nell’arco di 100 km, infine un complicato arrivo in discesa. La 13a, seconda pirenaica, è lunga appena 101 km e promette spettacolo da subito. La 15a, sul Massiccio Centrale, è un’altra frazione molto poco decifrabile: un colle di 1° categoria dopo 28 km, seguito da un saliscendi continuo e potenzialmente esplosivo. La speranza degli organizzatori, in definitiva, è quella di un Tour aperto alle imboscate, che possa decidersi – perché no – lontano dai suoi luoghi mitici, tra cui spiccano Peyresourde (12a tappa), Galibier (18a) e Izoard (19a, con un inusuale arrivo in cima al passo).

Un Tour complessivamente difficile da inquadrare, che fonda la sua possibile riuscita su due basi. La prima è che gli attaccanti effettivamente attacchino (Contador, Aru, soprattutto Bardet, intorno alle cui caratteristiche alcuni sostengono sia stato pensato il percorso 2017). La seconda è che l’incombente ricambio generazionale ai massimi livelli del ciclismo mondiale possa conoscere un’accelerazione proprio durante il Tour. L’impressione è che gente come Gilbert, Cavendish e soprattutto Froome abbia tutta l’intenzione di prolungare ancora per un bel po’ il proprio dominio nel rispettivo territorio di competenza, ma se qualcosa dovesse cominciare a scricchiolare durante le prossime tre settimane, beh, assistere al passaggio di consegne sarà un imperdibile privilegio. (Leonardo Piccione)

The pack rides in Col du Tourmalet pass during the 174 km and 17th stage of the 2010 Tour de France cycling rece run between Pau and the famous Col du Tourmalet pass in French Pyrenees on July 22, 2010. AFP PHOTO / JOEL SAGET (Photo credit should read JOEL SAGET/AFP/Getty Images)

Il quarto sigillo sulla storia: le (in)certezze di Froome

In 69 edizioni del Giro del Delfinato, 14 volte il vincitore ha poi vinto il Tour de France. Una volta su 5. Il dato subisce una crescita esponenziale dal 2011, e rilevante è la statistica su Chris Froome: ha vinto il Tour (2013, 2015, 2016) quando ha vinto il Giro del Delfinato. Le perplessità sul suo stato di forma, sorte dopo un 2017 senza vittorie, si sono dunque fatte più ingombranti con il 4° posto al Delfinato dietro a Fuglsang, Porte e Martin. A detta di Dave Brailsford, general manager del Team Sky, una stagione così fa parte dei piani, scelta razionale dopo le fatiche dello scorso anno (Tour, Vuelta, Olimpiadi): «Chris ha bisogno di correre, non di prendere confidenza con la vittoria». Considerando la scientificità del Team Sky, non ci sarebbe da stupirsi.

A far vacillare le sicurezze di chi scommette ancora forte sul britannico c’è però anche un percorso non troppo adatto alle sue caratteristiche. Anche in virtù del grande valore dei suoi tanti avversari, Froome non sbaglia a definirla “l’impresa più difficile della carriera”. Dalla sua parte ci saranno gregari che potrebbero essere capitani altrove ed una maggiore capacità tattica e di adattamento, già dimostrata lo scorso anno con l’attacco sulla discesa del Peyresourde e l’inserimento nel ventaglio di Montpellier, con Sagan. Per il quarto sigillo sulla storia, Chris Froome dovrà cambiare ancora: è complicato, ma può farlo. (Riccardo Spinelli)

Three-time Tour de France winner, Britain's Chris Froome of Team Sky, takes part in the prologue of the Herald Sun Tour cycling event in Melbourne on February 1, 2017. / AFP / Mal Fairclough / --IMAGE RESTRICTED TO EDITORIAL USE - STRICTLY NO COMMERCIAL USE-- (Photo credit should read MAL FAIRCLOUGH/AFP/Getty Images)


Gli sfidanti principali: Porte e Quintana

Chris Froome è dunque il favorito per il gradino più alto del podio, ma i suoi due avversari principali sono particolarmente credibili. Il primo viene direttamente dalla Tasmania, ma non frulla né su stesso né sui pedali. Giunto alla soglia dei 32 anni, Richie Porte accarezza la possibilità più concreta di un’affermazione in un grande giro. Nel calendario World Tour di quest’anno è risultato fra i migliori interpreti dei “piccoli giri”, con gli ultimi due, Romandia e Delfinato, corsi da assoluto protagonista. In particolare al Delfinato, che ha perso all’ultima tappa dopo una difesa del primato strenua e solitaria, il tasmaniano ha mostrato un’impressionante solidità mentale, oltre che atletica: l’unione di intenti con l’ex-compagno Froome sembra definitivamente spezzata, i due hanno voglia di suonarsele, e Porte è pronto. Resta il fatto che però Richie ha sempre faticato a compiere il balzo in avanti necessario a conquistare anche solo un posto sul podio nelle corse di tre settimane. Ci proverà quest’anno con una Bmc tutta al suo servizio, con Caruso e Roche ultimi uomini in salita e De Marchi e Van Avermaet pronti a sparigliare le carte con attacchi da lontano.

Se Porte ha puntato sulle corse ritenute canonicamente di preparazione al Tour, il percorso di avvicinamento alla Grande Boucle di Nairo Quintana è stato diametralmente opposto. Secondo al Giro d’Italia dietro Dumoulin. il condor nell’ultima settimana della corsa rosa è apparso più che altro una civetta intenta a scrutare il buio, complice una condizione indefinita e alcuni problemi fisici che ne hanno minato il rendimento. Sarà la qualità del recupero dalle fatiche italiche l’ago della bilancia per le reali possibilità di vittoria del colombiano. La Movistar, come sempre, si porta dietro una polizza sul podio senza data di scadenza: Alejandro Valverde è in formissima. (Pietro Pisaneschi)

Australia's Richie Porte (L) and his teammates parade during the team presentation ceremony in Dusseldorf, Germany, on June 29, 2017, two days before the start of the 104th edition of the Tour de France cycling race. The 2017 Tour de France will start on July 1 in the streets of Dusseldorf and ends on July 23, 2017 down the Champs-Elysees in Paris. / AFP PHOTO / Lionel BONAVENTURE (Photo credit should read LIONEL BONAVENTURE/AFP/Getty Images)


Gli attaccanti: Contador e i suoi fratelli

Henao, Kiryenka, Knees, Kwiatkowski, Landa, Thomas, Nieve, Rowe. Il maggior terrore per gli appassionati di ciclismo nel luglio 2017 è rappresentato da questi otto nomi e da un ricordo, quello dello scorso Tour, dominato dalla Sky, oltre che dal controllo e dall’attesa. Ma una squadra da sola non basta, se gli avversari sono provvisti di coraggio. Il problema è che nessuno dei due rivali più accreditati di Froome, Nairo Quintana e Richie Porte, è soprannominato Cuor di Leone. Il percorso inoltre sospende le aspettative, allora starà come sempre ai corridori far uscire ciclismo e pubblico dalle prospettive più noiose.

L’eroe buono si chiama Romain Bardet. Magro, colto, brutto, Bardet è un corridore che pare non appartenere a questo ciclismo. L’unico ad osare un anno fa, in crescita continua fino al 2° posto. Ha una squadra forte e l’intera Francia dalla sua parte. In più, la strada di questo Tour sembra potergli mettere a fianco parecchie figure con cui dialogare, in quanto ad attacchi: da Thibaut Pinot a Esteban Chaves (lontanissimo però dalla miglior condizione), dal neo-tricolore Fabio Aru ad Alberto Contador, uno che non sale sul podio del Tour dal lontano 2010, ma che con la vecchiaia si è scoperto particolarmente spensierato. La primavera di Contador è stata un’apocalittica cavalcata col vento in faccia, in costante ricerca di una vittoria che finora l’ha respinto. Proseguirà il suo inseguimento anche in Francia, su strade che un tempo furono suo terreno di gloria, e la storia recente insegna che seguire la sua ruota può essere un’idea molto buona. Allora, Romain, vorrai mica farci annoiare con questo caldo…  (Filippo Cauz)

France's Romain Bardet practices on the road of this year's Tour de France 9th stage, on June 2, 2017 near Chambery. / AFP PHOTO / JEAN-PIERRE CLATOT (Photo credit should read JEAN-PIERRE CLATOT/AFP/Getty Images)

Gli italiani: la fresca scia di Fabio Aru

Il Giro d’Italia numero 100 ha celebrato una grande festa nazionale in un momento piuttosto basso per il ciclismo del Belpaese. Appena due formazioni e 41 corridori al via, una sola vittoria di tappa. Al Tour la rappresentanza italiana sarà ancora più risicata, ma in qualche modo speranzosa. Fabio Aru, Sonny Colbrelli e Diego Ulissi sono i nomi da cui partire. Tre corridori nel pieno della maturità fisica, ma con un solo Tour disputato in tre, quello della grande crisi di Aru, 12 mesi fa. Eppure dalle sconfitte si impara più che dalle vittorie, e Aru arriva al Tour fresco di maglia tricolore, in grandissima forma, con la consapevolezza che gli mancava un anno fa e con il lusso del poter dividere i gradi di capitano con uno scintillante Jakob Fuglsang, preparatosi a puntino per questo Tour: l’Astana è l’unica grande squadra al via a potersi permettere due capitani tirati a lucido per la Grande Boucle.

Tra le tre speranze italiane, Aru sembra quindi quello con più chances, mentre Colbrelli e Ulissi, a caccia di successi parziali, si scontreranno con avversari sulla carta superiori e con un percorso capriccioso. Dovranno osare nelle tre-quattro tappe che sembrano alla rispettiva portata, e non è detto che in qualche occasione non si portino dietro altri connazionali, perché il ciclismo tricolore oggi eccelle in un campo soprattutto: i gregari di lusso, che un giorno ogni tanto possono anche inventarsi capitani. (Filippo Cauz) 

Il regno verde: Peter Sagan e i velocisti

Da quando nel luglio del 2012 ha iniziato a frequentare le strade del Tour, Peter Sagan avrebbe dovuto dapprima indossare la maglia biancoverde della Liquigas e poi quella fosforescente della Tinkoff, ma si sa che a Sagan le convenzioni piacciono poco, e quindi ha deciso che il verde della maglia della classifica a punti gli doni di più. A questo punto l’avversario più temibile per Sagan sembra ormai la storia: in questo caso risponde al nome di Erik Zabel, che a cavallo del nuovo millennio la maglia verde l’ha indossata per sei volte consecutive, una in più di Sagan – almeno per ora. In questo Tour ci saranno 8 tappe da volata e altre 4 mosse, ma comunque adatte allo slovacco, del resto quale percorso non lo è? Almeno 12 tappe potenzialmente buone per Sagan, quindi, che dovrà battagliare negli arrivi pianeggianti con Mark Cavendish, che punta le 34 vittorie di tappa di Merckx ma quest’anno è stato a lungo fermo, con Greipel gorilla un po’ abbacchiato, con Kittel voglioso di dominare gli sprint come due edizioni fa e con la scalpitante accoppiata francese Démare-Bouhanni, senza dimenticare la versatilità di Michael Matthews e la classe di Kristoff. Sagan contro tutti, ma più che altro Sagan contro Zabel. (Francesco Bozzi)

DUESSELDORF, GERMANY - JUNE 29: Peter Sagan of Slovakia and Bora-Hansgrohe waves during the team presentation for the 2017 Le Tour de France on June 29, 2017 in Duesseldorf, Germany. (Photo by Chris Graythen/Getty Images)


Tra follia e girasoli: i cacciatori di tappe

La cosa più bella del Tour sono i girasoli, perché è all’ombra dei girasoli che si svolge lo spettacolo della follia. Immaginatevi di poter scegliere tra correre tranquilli in gruppo, comodi nella certezza di non poter vincere, o di andarvene all’attacco, col caldo, il vento, le ironie del gruppo e della rete, incontro a sconfitta certa. La vita del fuggitivo è questa, e non c’è contesto più bello per una fuga suicida che il Tour, in mezzo ai girasoli.

Per questo al Tour ci dimentichiamo presto i nomi dei vincitori. ma ci ricordiamo quelli dei pazzi, i nostri pomeriggi sono riempiti dalle loro gesta. I girasoli lo sanno, e rispettano questa storia di eroi del fallimento quasi certo. Prendiamo ad esempio Thomas Voeckler e Sylvain Chavanel, due che alcune soddisfazioni se le sono tolte, e che tornano ancora e ancora al Tour per il solo brivido della fuga. Per quest’ultima scampagnata si portano appresso il miglior erede che il destino gli abbia proposto: Lilian Calmejane, all’esordio in un grande giro, gambe testa e cuore al servizio dei girasoli. Ha qualche buon collega e diversi buoni esempi intorno a sé: Thomas De Gendt, che a furia di scappare ha domato Stelvio e Ventoux; Tony Gallopin, che una volta è finito pure in giallo; Pierre Rolland e Warren Barguil, splendenti cacciatori di tappe; e poi Tim Wellens, Alessandro De Marchi, Tiesj Benoot, Yoann Offredo, Simon Geschke, forse anche Steve Cummings. L’importante è seguire la strada, sempre dritto, tra i girasoli. (Filippo Cauz)