Otto nuovi acquisti deludenti di questa stagione

Pépé, Lozano, Rabiot, Ndombele, Coutinho, Cancelo, Jovic, João Félix.

Nicolas Pépé riceve da Aubameyang un pallone comodo nell’area di rigore del West Ham, entrando dall’angolo destro. Punta Masuaku, il terzino degli Hammers. Lo sbilancia leggermente con una finta di corpo, poi sposta il pallone verso il centro dell’area. Dopo lo colpisce molto forte ma con l’interno, per dare alla conclusione il giusto effetto e mirare il secondo palo. È un derby londinese di inizio dicembre, ed è solo il secondo gol di Pépé in Premier League. La sua stagione, fino a quel momento, è stata una grande delusione: il costo del cartellino – 72 milioni di sterline per strapparlo al Lille – ha trasformato velocemente l’hype per il trasferimento nel flop di un giocatore apparentemente pagato troppo.

Pépé doveva essere il simbolo di un Arsenal nuovo, rigenerato. Una squadra che già contava su Lacazette e Aubameyang aveva aggiunto uno dei migliori giocatori della stagione precedente (23 gol in 40 partite con il Lille) per completare un attacco che avrebbe infilato gli avversari con le accelerazioni fulminanti dei suoi attaccanti. Non è stato così: la stagione dell’Arsenal è stata molto al di sotto delle aspettative, e l’ex Lille è diventato presto il primo bersaglio delle critiche. Solo all’inizio del 2020 le prestazioni dell’ivoriano hanno iniziato ad avere un peso diverso: non ci sono più le serie lunghissime di palle perse, intere fasi di partita in cui è distante dal gioco e gli imperdonabili errori di tocco nel controllo o nella conclusione. Ma non basta ancora. Il giudizio complessivo è ancora negativo. La crescita delle ultime settimane non ha potuto cambiare la percezione di una stagione che sarebbe dovuta andare in altro modo. Oppure non avrebbe meritato tutte quelle aspettative.

A dire il vero sarebbe più giusto fare le valutazioni al termine della stagione, non dopo i due terzi del percorso. Ma con lo sport mondiale fermo per la pandemia Coronavirus, abbiamo una buona occasione per riguardare gli ultimi sette mesi di calcio europeo e cercare di tirare un primo bilancio di quel che è stato. Soprattutto per alcuni giocatori, come Pépé, che in estate avevano cambiato maglia portando con sé, nel nuovo club, un certo carico di aspettative. Valutare il rendimento dei giocatori è un esercizio difficile, soprattutto perché dipende da tanti fattori: il nuovo ruolo in squadra, la pressione dall’esterno, l’alchimia con i compagni e l’allenatore, il rendimento complessivo della nuova squadra. Ma a sette mesi dall’inizio dei campionati possiamo già tracciare una linea e inquadrare quei giocatori che, proprio come Pépé, avevano iniziato la stagione su altri presupposti.

Hirving Lozano

Lozano è arrivato al Napoli dopo dodici mesi in cui aveva sorpreso tutti, prima ai Mondiali di Russia con il Messico, poi con la maglia del Psv Eindhoven. Il Napoli lo ha reso il giocatore più costoso della sua storia , con un’operazione che ha interessi ben al di là del campo. Lozano doveva aiutare il Napoli a uscire dalla sua dimensione e guidarlo in una superiore: è il primo messicano in azzurro, solo il sesto della Serie A, il suo acquisto ha permesso al Napoli di esplorare mercati che prima gli erano preclusi. Ma quel tipo di aspettative non hanno avuto un riflesso sul campo, dove Lozano non è riuscito a ripetere quel che ha fatto vedere nei primi anni di carriera. Anche perché si è trovato nel peggior Napoli degli ultimi anni, numeri alla mano, in una squadra ancora dipendente dai suoi tre attaccanti storici – ovviamente Callejón, Insigne e Mertens. Oggi Lozano e la sua squadra sono ancor più distanti: Gattuso, subentrato ad Ancelotti a dicembre, non lo vede, non lo ha fatto giocare praticamente mai. Quello che doveva essere il più importante asset della società azzurra dei prossimi anni si sta svalutando settimana dopo settimana. E alla fine ci hanno perso tutti.

Eppure tutto era iniziato in maniera molto promettente

Adrien Rabiot

L’avventura di Rabiot alla Juventus ha due chiavi di lettura, fin dall’inizio: doveva essere un’occasione di crescita individuale del francese, in termini di status prima ancora che di prestazioni sul campo; e doveva rappresentare un cambiamento nel sistema di gioco per i bianconeri, che avrebbero aggiunto una mezzala di possesso da affiancare ai vari Ramsey, Pjanic, Bentancur, per un centrocampo dall’alto tasso tecnico, così da poter assecondare le idee tattiche di Sarri. Rabiot non è tanto un incursore, un centrocampista che attacca lo spazio con movimenti senza palla, è più un palleggiatore in grado di ripulire il possesso ogni volta che entra nella sua sfera di influenza; avrebbe dovuto rappresentare la transizione della Juve verso un sistema che parte dal controllo pallone per dominare le partite. Il fatto che Rabiot abbia fatto tanta fatica a imporsi nell’undici di Sarri – per troppe ragioni, compresi gli infortuni – rendono questo trasferimento un’occasione persa, almeno fin qui. E le conseguenze si sono viste su tutta la squadra, con la Juventus che ha fatto fatica a trovare una reale identità, anche se i risultati sono rimasti più che soddisfacenti.

João Cancelo

Da quando ha acquistato João Cancelo la considerazione di Guardiola sul terzino portoghese è passata da «È arrivato tardi durante il precampionato, quindi ha avuto bisogno di tempo» a «Non abbiamo dubbi sulle sue qualità, soprattutto quando ha la palla fra i piedi. Però sta capendo solo adesso cosa voglio da lui quando invece non ce l’ha». A gennaio, all’apertura della finestra di mercato invernale, Pep ha detto: «Decida lui se restare oppure no». Un terzino come João Cancelo nelle mani di un allenatore come Guardiola sembrava una delle migliori combinazioni possibili, il percorso di crescita del portoghese poteva ricalcare quello di Dani Alves – un giocatore con caratteristiche simili – al Barcellona. Invece nel Manchester City di questa stagione sembra non esserci spazio per un laterale abituato ad avere il pallone tra i piedi e tanti compiti di regia. Quest’anno le scelte di Guardiola nelle posizioni di terzino sono cadute quasi sempre su Walker e Mendy, due giocatori superbi fisicamente, meno dotati tecnicamente di Cancelo, ma di sicuro più abituati a giocare a ritmi sostenuti per 90’ in una squadra che esige un costante movimento di uomini e pallone. È difficile pensare che quel potenziale che aveva fatto vedere all’Inter e alla Juventus si sia già sgretolato, ma per Cancelo questi mesi in Inghilterra sono stati solo tempo perso.

Il Manchester City ha investito 65 milioni di euro per acquistare Cancelo: 28 milioni cash più il cartellino di Danilo, valutato 37 milioni (Oli Scarff/AFP via Getty Images)

Tanguy Ndombélé

Dopo diversi anni con il mercato in entrata sostanzialmente fermo, la scorsa estate il Tottenham ha finalmente mosso alcune pedine. L’acquisto più oneroso è stato quello di Tanguy Ndombélé dal Lione, per 60 milioni di euro. Insieme a Giovani Lo Celso, l’altro arrivo importante in casa Spurs, il francese avrebbe dovuto aiutare il Tottenham a ripartire dopo il picco di rendimento della stagione 2018/19. Invece è sparito in poche settimane, vittima del crollo verticale degli Spurs: un gol e un assist nelle prime due di campionato, poi quasi più nulla, in una stagione che si è accartocciata tra infortuni e una condizione atletica mai adeguata, mentre la squadra scivolava a metà classifica. Nella disastrosa stagione del Tottenham probabilmente sarebbe stato difficile per chiunque adattarsi, ma Ndombélé non sembra aver fatto granché per allontanare le critiche, soprattutto quelle sulla sua scarsa dedizione e sull’approccio poco professionale. Qualche giorno fa Jack Pitt-Brooke ha spiegato su The Athletic le probabili cause dello scarso rendimento di Ndombélé, citando «mancanza di applicazione e scarsa attitudine». Segue una prova visiva:

Non sono delle belle immagini se siete tifosi del Tottenham, o anche solo amanti del calcio

Philippe Coutinho

Il trasferimento al Bayern doveva essere un’occasione di rilancio per Coutinho dopo l’esperienza non troppo felice al Barcellona. Invece nei primi sette mesi in Baviera ha fatto fatica: non tanto per i numeri, che descrivono una buona stagione (nove gol e otto assist, anche se distribuiti male: tre gol e due assist contro il Werder, per esempio), quanto per l’impossibilità di raggiungere quei picchi di rendimento che aveva fatto vedere al Liverpool, in un calcio – quello dei Reds e della Premier – che sembrava tagliato su misura per le sue caratteristiche. La sensazione è che il brasiliano stia passando gli anni migliori della sua carriera (ne fa 27 a giugno) in squadre che non gli permettono di esprimersi al meglio. Al Bayern è stato un titolare fisso a inizio stagione, in una squadra fragile e piena di difetti. Da quando Flick ha preso il posto di Kovac in panchina il rendimento di Coutinho e del Bayern è stato inversamente proporzionale a quello della squadra: mentre i compagni crescevano, facevano risultati e trovavano il loro equilibrio, il brasiliano lentamente perdeva status e minutaggio – ha giocato una sola gara intera nel 2020, e solo pochi minuti nelle partite importanti contro Lipsia e Chelsea. Il Bayern avrebbe la possibilità di riscattare il suo cartellino nella prossima sessione di mercato, ma sembra sempre più probabile che decida di fare a meno di lui.

Luka Jovic

Il mese di marzo di Jovic deve essere stato un incubo: nel Clásico Mariano Diaz sostituisce Benzema – rubando al serbo il posto di centravanti di riserva – e segna il gol che chiude la partita e riporta momentaneamente il Real Madrid in vetta alla Liga. La domenica successiva il dominicano si conquista la conferma entrando a partita in corso, mentre Jovic non è nemmeno convocato. Poi, in piena emergenza Coronavirus, viola la quarantena e vola in Serbia per andare alla festa di compleanno della fidanzata. Nell’altalenate stagione del Madrid, Jovic è uno dei giocatori che ha deluso di più, non solo per demeriti suoi: nel ruolo di centravanti è chiuso da Benzema, quindi ha giocato pochissimo, ma ha segnato soltanto due gol, e in generale non ha mai dato l’impressione di essersi ritagliato il suo posto in squadra e nello spogliatoio. Nei progetti dei blancos, Jovic avrebbe dovuto prendere il posto che fu di Morata nel 2016/17, in un ruolo da “nove” che deve dare il suo contributo in un minutaggio ridotto, e magari far rifiatare i titolari. Finora non è andato neanche vicino all’obiettivo.

Il passaggio di Luka Jovic dall’Eintracht Francoforte al Real Madrid è costato 60 milioni di euro, più altri cinque di bonus (Francois Nel/Getty Images)

João Félix

A inizio anno l’Atlético Madrid sembrava una squadra in evoluzione, con un approccio diverso e un sistema offensivo più strutturato. João Félix doveva essere le punta di diamante di questo progetto, l’uomo che eleva a potenza la pericolosità di una squadra che può già contare sulla regia di Koke, la spinta dei terzini Lodi e Trippier, e due centravanti come Morata e Diego Costa deputati alla finalizzazione. Alle prime difficoltà, però, i colchoneros si sono rifugiati nelle vecchie abitudini e il wonderkid arrivato dal Benfica per sostituire Griezmann ha dovuto vivere una stagione con alti e bassi (complici anche alcuni infortuni). Il suo rendimento fin qui non è negativo, ma di certo non all’altezza delle aspettative: più del magro bottino di sei gol e tre assist pesa una scarsa incidenza sul gioco della squadra. Nel frattempo, però, ha fatto vedere lampi di un talento indiscutibile. Ne è un esempio l’assist a Marcos Llorente per il gol che ha mandato ai supplementari la sfida più incredibile dell’anno: l’ultima perla di questa stagione, almeno per il momento, è di João Félix.

L’errore di Adrián è enorme, ma João Felix fa la scelta giusta, e il movimento del suo corpo, della sua testa, è davvero molto elegante