Manuel Locatelli e l’importanza di saper aspettare

Il passaggio al Sassuolo e un piccolo cambio di ruolo ci hanno restituito un grande centrocampista, forse solo un po' in ritardo rispetto alle attese.

A ottobre del 2015, un anno prima del suo primo gol in Serie A contro la Juventus, Manuel Locatelli viene inserito nella Next Generation, la lista annuale dei migliori cinquanta talenti del calcio mondiale selezionati dal Guardian. Nel breve articolo di presentazione di Locatelli, l’allora 17enne centrocampista del Milan viene descritto come «un giocatore dotato di una gamma impressionante di passaggi, che può dettare il ritmo della partita dalla sua posizione preferita, in cabina di regia»; nel testo c’è anche una dichiarazione del capo scout delle giovanili del Milan, Mauro Bianchessi, per cui «Locatelli è un po’ Pirlo e un po’ Montolivo». In effetti gli esordi di Locatelli nel Milan andarono proprio in quella direzione: Montella lo schierava nello slot di mediano davanti alla difesa, il suo compito era quello di organizzare il flusso del gioco; le risposte iniziali di Locatelli risposte furono eccellenti, poi però le sue prestazioni iniziarono a diventare normali e poi a peggiorare, in parallelo a quelle della squadra.

Manuel Locatelli ha lasciato il Milan nel 2018, si è trasferito al Sassuolo e ha esordito in Nazionale maggiore pochi giorni fa, contro l’Olanda. È stato il 25esimo debuttante dell’era Mancini, il ct l’ha schierato in posizione di mezzala sinistra in un centrocampo a tre; la sua partita è stata ottima, James Horncastle ha scritto su The Athletic che Locatelli «ha giocato con la compostezza e l’autorevolezza di un veterano». Questo traguardo è stato inevitabilmente vissuto e raccontato come se fosse la chiusura ritardata di un cerchio, come una specie di redenzione, come se a 22 anni Manuel Locatelli dovesse essere già considerato come un giocatore perduto, un talento sprecato che però ha saputo ritrovarsi, l’ha fatto in tempo, l’ha fatto del tutto o almeno in parte. La realtà è meno netta, meno appuntita, ed è strettamente collegata ai luoghi di Manuel Locatelli, in campo e nella vita.

Dal punto di vista tattico, l’idea che Locatelli fosse un regista, che potesse essere e fare quello, quello e basta, ha finito per ingabbiarlo, per limitarlo. Il tempo non ha cancellato questa idea, semplicemente l’ha resa più elastica: Locatelli aveva e ha la qualità per organizzare la manovra nel cuore del centrocampo, ma la sua evoluzione l’ha portato a cambiare approccio al gioco, oggi preferisce muoversi per andare a prendere il pallone – o per creare spazi in favore dei compagni – piuttosto che riceverlo sempre e solo allo stesso modo, sui piedi, e nella stessa porzione di campo. Anche al Sassuolo, De Zerbi l’ha impostato inizialmente come vertice basso di un centrocampo a tre, poi però è passato al doble pivote e ha scoperto che Locatelli si esprime benissimo quando è uno dei catalizzatori del gioco, non l’unico catalizzatore del gioco. Per Locatelli – ma anche per il Sassuolo – si è trattato di un passaggio fondamentale, come ha spiegato lui stesso in un’intervista a Dazn: «Non è che prima potevo giocare solo da centrale in un reparto a tre, semplicemente era il ruolo in cui mi impiegavano e io lo interpretavo al meglio delle mie capacità. Ora sono maturato fisicamente e mentalmente, perciò posso giocare in tutti i ruoli e in tutti i moduli. Il mio ruolo preferito è centrocampista di sinistra in un reparto a due, ma mi piace giocare anche a tre».

Quando un calciatore sembra sprecare il proprio talento, quando il suo rendimento e la sua carriera hanno un andamento inferiore rispetto al suo valore reale, o al valore che gli viene idealmente attribuito, finiamo per condannare sempre e solo lui, il calciatore. Gli addebitiamo difetti di qualità, personalità, professionalità. Spesso però finiamo per dimenticare un contesto che è un multiverso complesso, che esistono gli episodi e i periodi negativi, che le squadre di calcio sono guidate e composte da professionisti umani e quindi non infallibili, da presidenti e dirigenti e allenatori e giocatori che agiscono in buona fede ma spesso commettono degli errori di valutazione, ed è così che si possono avvelenare gli ambienti, che si possono indirizzare male i propri compagni di viaggio. Gli allenatori di Locatelli al Milan, esattamente come tutti gli altri allenatori del mondo, hanno cercato in tutti i modi di far rendere Locatelli e il Milan, e hanno pensato di farlo schierandolo come regista davanti alla difesa. A volte ha funzionato, altre volte meno, così Locatelli sembrava perso in un limbo tra speranza e incompiutezza. Questa indecisione non ha cambiato i piani tattici di Montella e  Gattuso, che hanno continuato a schierarlo solo come regista, poi hanno iniziato a utilizzarlo meno di quanto gli sarebbe servito, ad alternarlo con altri compagni, José Sosa e Lucas Biglia. Non è stata la scelta migliore per la maturazione di Locatelli – e forse neanche per il Milan.

Locatelli ha giocato in tutte le Nazionali italiane, dall’Under 15 fino a quella maggiore; in questo momento, è il capitano dell’Under 21 di Paolo Nicolato (Maurizio Lagana/Getty Images)

Allo stesso modo, vanno considerate anche la condizioni del Milan quando c’era Locatelli: le stagioni con Montella e poi con Gattuso non sono state facili per nessuno, i risultati non erano positivi e il gioco espresso dai rossoneri era tutt’altro che fluido, se non in alcuni momenti molto sporadici; anche la stessa società ha vissuto dei periodi grotteschi, tra cambi di proprietà, campagne acquisti ricchissime ma poco funzionali e scarsa progettualità. Insomma, Locatelli non si trovava nell’ambiente migliore per poter emergere, per poter crescere nel modo migliore. Certo, se fosse stato più forte e più pronto avrebbe potuto reagire meglio e fin da subito, ma non tutti i giocatori hanno le doti esplosive e precocissime di Messi, di Mbappé, di Sancho, di Greenwood: a 22 anni, l’età di Locatelli in questo momento, Virgil van Dijk era ancora al Groningen e Luka Modric era ancora alla Dinamo Zagabria e Franck Ribery passava dal Metz al Galatasaray al Marsiglia. Tutti questi calciatori, in seguito, hanno vinto la Champions League da uomini-simbolo delle proprie squadre, il Liverpool, il Real Madrid, il Bayern Monaco.

Forse siamo stati folgorati dagli inizi di Locatelli e dopo non abbiamo saputo aspettarlo. Magari non abbiamo voluto aspettarlo, perché pensavamo che Locatelli ci avrebbe mostrato tantissime cose stupende, pensavamo e volevamo che lo facesse fin da subito, e invece ci ha deluso, non ha mantenuto le sue promesse d’eccellenza immediata. E invece serviva proprio aspettarlo, dargli la fiducia e gli spazi e gli stimoli giusti, giusti per lui. Capire certe cose e creare certe condizioni è una delle specialità di Roberto De Zerbi, allenatore del Sassuolo: nell’ultimo listone di convocati della Nazionale di Roberto Mancini, oltre a Locatelli, c’erano pure Domenico Berardi e Francesco Caputo, due giocatori che per ragioni diverse non sembravano più in grado di aspirare alla maglia Azzurra, e invece sono stati chiamati dopo una grande stagione in neroverde, perché sono stati esaltati da un sistema di gioco sofisticato, ambizioso, divertente – per chi lo guarda e per chi lo vive dall’interno, evidentemente.

In due stagioni con il Sassuolo, Locatelli ha accumulato 65 presenze e tre reti tra Serie A e Coppa Italia (Emilio Andreoli/Getty Images)

Con Locatelli, questo processo è coinciso con l’individuazione di una nuova collocazione tattica – centrocampista di sinistra in un reparto a due, accanto a Obiang nella maggior parte delle partite – ma anche con la costruzione di un contesto emotivo più caldo, più vicino ai bisogni del ventenne che era quando è arrivato al Sassuolo, del giocatore e del ragazzo che è oggi, alle sue necessità, alla sua personalità: «A un certo punto il Milan non credeva in me, me l’ha fatto capire», ha dichiarato Locatelli a Dazn, «ma anch’io ci ho messo del mio: non credevo di essere il più forte di tutti, però ero convinto di dover fare giocate importanti a ogni partita. Ho sofferto questo: prima i titoloni sui giornali e poi le critiche. Ora gioco con più continuità, ho più convinzione quando provo a fare una giocata più rischiosa in campo. Il club ha più fiducia in me, e questo mi ha reso un giocatore migliore».

Oggi Locatelli è proprio questo: un giocatore migliore anche se diverso rispetto al passato, e forse al futuro che immaginavamo per lui; un giocatore che ha saputo imporsi subito in Nazionale nonostante fosse un debuttante, che è riuscito a sbocciare in un certo contesto e ora si sente pronto, perché è pronto, a giocare a un livello più alto, a riprendersi una mondo che sembrava essere suo di diritto, e che invece l’aveva rigettato. Non era proprio così, Locatelli aveva solo bisogno di tempo per crescere, per capire chi fosse veramente, e la morale della sua storia è proprio questa.