La Pazza Inter è davvero scomparsa?

La nostalgia per una certa Inter borghese e morattiana, cancellata dalla rivoluzione cinese e dall'ossessione per la vittoria di Conte.

Agosto 2020. Stravaccato sul bisuolo di una terrazza di Ginostra, mentre Iddu – il vulcano – sbuffa lapilli incandescenti, penso ai fumogeni e ai petardi della Curva Nord di San Siro, vuota per chissà quanto. L’Inter ha appena vinto la semifinale di Europa League contro lo Shakhtar Donetsk, cinque bombastiche reti in una partita quasi perfetta, o almeno così sembrava dallo schermo rigato sette pollici con più spettatori che pixel, tutta la compagnia vacanze, amici di vecchia data, un passato in comune, quello da interisti-

L’eco delle urla dopo i gol di Lautaro e Lukaku raggiungeva il mare affollato di plancton, formando una òla rumorosa e luminescente. Era lo stesso mar Mediterraneo dove avevo visto Bobo Vieri sull’acquascooter al largo di Formentera nell’estate dei Mondiali tedeschi 2006 mentre la sua, la nostra Nazionale giocava e lui manco si guardava la partita, preferendole il chiringuito? Era la stessa acqua in cui mi tuffavo ogni estate della mia adolescenza per rinfrescarmi dopo ore passate al sole a guardare ossessivamente la pagina del mercato della Gazzetta dello Sport – acquisti, cessioni, trattative – con l’ottimismo sentimentale di chi spera che il prossimo campionato sarà quello buono? Era lo stesso cielo riflesso sul mare quello che scrutavo nelle notti di San Lorenzo in attesa di quella stella cadente che avrebbe realizzato i miei desideri, un mediano di spinta olandese, un centrocampista brasiliano o una punta ivoriana, a seconda dell’anno e dei cambi di modulo della squadra?

Probabilmente sì, perché se l’estate è dei sognatori un posto in tribuna rossa spetta proprio agli interisti, prima che la stagione calcistica riporti a galla la disillusione, marchio di fabbrica di uno dei profili di tifoseria più emotivamente instabile. Sarà per colpa dell’attitudine malinconica e fiduciosa, come uscita da un libro di Osvaldo Soriano, che qualcuno del nostro piccolo gruppo nerazzurro sotto il vulcano dopo il novantesimo prende la chitarra e si mette a cantare «Non fateci soffrire / ma va bene, vinceremo insieme! / Amala / pazza Inter amala».

Ascoltata oggi, in versione acustica e ubriaca, sembra quasi un pezzo indie, con quello spleen alla Tommaso Paradiso, o alla Gazzelle, musica da falò: «È una gioia infinita / che dura una vita». Una delle ultime volte che l’ho cantata a squarciagola è stata la notte dell’elezione di Pisapia a sindaco di Milano (interista come Beppe Sala), in mezzo alle bandiere arancioni qualcuno aveva intonato le parole dell’inno, poi raccolte da molti fino a farne un coro identitario. Sì, ma identitario di che? Mica è “Bella Ciao”. Però c’è una Cosa, quasi impalpabile, minimal e minoritaria, che è l’interista di sinistra e “Pazza Inter” è il suo inconsapevole Capitale per leggere il mondo del calcio. È la sinistra della borghesia del centro di Milano, «quelli della Ztl» come li ha chiamati il milanista Salvini, che aveva il suo Che Guevara in Massimo Moratti e che, come noi qui a Ginostra, si è chiusa da tempo nella sua riserva indiana – oggi è meglio dire bolla – al riparo dai bombardamenti esterni.

Quella sinistra che associava freudianamente le sconfitte politiche e culturali negli anni del berlusconismo e, ora, del populismo, ai momenti peggiori della squadra del cuore, uno su tutti il fantozziano 4 a 2 con cui la Lazio fece perdere lo scudetto all’Inter di Cuper il 5 maggio 2002. Era appunto una pazza Inter, capace di vittorie epiche e scivoloni tremendi, genio e sregolatezza, o meglio, culo e sfiga. La canzone fu presentata con una festa il 25 settembre 2003, nella versione scritta da Paolo Barillari e Dino Stewart, cantata dai giocatori e il titolo pare fosse stato un’idea del presidente Moratti.

Esteban Cambiasso è stato uno dei giocatori-simbolo dell’era-Moratti: in totale, ha accumulato 431 presenze in gare ufficiali con l’Inter tra il 2004 e il 2014, e ha realizzato 51 gol (Paco Serinelli/AFP via Getty Images)

L’anno scorso, prima dell’inizio del campionato la società ha deciso di togliere l’inno dal cerimoniale nerazzurro, sostituendolo con “C’è solo l’Inter”, scritta da Elio e Graziano Romani. Stando alle fonti ufficiali l’arrivo in panchina di Conte non c’entrava nulla con la scelta, anche se è stato lui a dire nel video di presentazione accanto ad Alessandro Cattelan e al presidente Steven Zhang: «Basta parlare di pazzia, l’Inter sarà regolare e forte».

Prendiamolo come uno stravagante esempio di cancel culture, una rimozione di un prodotto musicale contrario alla nuova linea del club. Del resto a chi interessano più oggi gli interisti radical che cantavano «Lo sai per un gol / io darei la vita» dalla tribuna vip? I Lerner, i Mentana, i Gino e Michele, manco vengono più inquadrati dalle telecamere di Sky durante l’intervallo. È un altro mondo, un’altra Milano e quindi un altro modello culturale. Ora Sky inquadra solo Conte, come star basta e avanza lui, e gli interisti di sinistra hanno fatto la fine di Hong Kong.

Lautaro Martínez è uno dei giocatori più forti e decisivi dell’Inter di Conte: si è trasferito in Italia nel 2018, e da allora ha messo insieme 87 presenze in competizioni ufficiali e 33 gol (Miguel Medina/AFP via Getty Images)

Dubito qualcuno ne sentirà la mancanza, ma la pazzia amata dell’Inter, quella è altra cosa. L’augurio per il campionato che sta per cominciare è che l’Internazionale rimanga sì regolare e forte, ma senza perdere quella mattaneria che fa parte del dna del club, nascosta pure nel carattere dark del nostro mister premier Conte. Una sorta di tremendismo, vocabolo importato dal gergo sportivo sudamericano – che indica chi non vince sempre ma costituisce un osso duro da battere per tutti – e adottato dai tifosi granata per qualificare il Torino nelle sue alterne sfortune.

Così, pazza e tremendista, sogno la squadra che come ogni estate potrebbe vincere campionato e coppe, facendo incazzare gli juventini, oppure perdere malamente, aizzando la Schadenfreude dei cugini milanisti. E quando di grazia gli stadi torneranno a riempirsi, mentre la voce di San Siro snocciolerà le formazioni in campo, il coro partito stanotte da Ginostra arriverà a essere cantato sugli spalti, pronti a essere travolti dall’insolito destino: «Vivila / questa storia vivila / può durare una vita / o solo una partita / pazza Inter amala».

Da Undici n° 34