Tre cose sulla trentaduesima giornata di Serie A

L'idea di calcio futuristica di Douglas Costa, i leader silenziosi della difesa del Milan e l'Inter che segna meno del Benevento.

Imprevedibilità furiosa 

È il 43’ di un primo tempo in cui la Juve sta controllando la Sampdoria senza però riuscire a cavarne molto. La gara procede senza grossi sussulti fino al momento del cambio tra Pjanic e Douglas Costa. Quello del brasiliano è un piccolo mistero tutto bianconero. Fino a quel momento gli uomini di Allegri avevano avuto un pio di occasioni ma niente di eclatante, con la Samp che lentamente si affacciava dalle parti di Buffon. Poi i problemi di Pjanic e l’ingresso dell’esterno che cambiano il volto della gara.

In pochi secondi, dall’occasione in proprio all’assist per Howedes

Costa è una freccia infuocata, un’idea di calcio ultrarapido, futuristico a suo modo. Nel tempo dei calciatori bionici e della velocità incessante, il brasiliano appare come l’unico tra i bianconeri (dalla dipartita dell’Alex Sandro che conoscevamo) a fare lo stesso gioco di superuomini come Cr7, Messi, Bale o i Sané e Sterling di casa City. La squadra di Allegri trova con il suo ingresso una diversa vitalità; una pericolosità che fino a quel momento era rimasta inespressa. Oltre ai tre assist – uno ogni 156 minuti, miglior media in Europa – una serie di giocate in proprio con cui sfiora il gol personale. Costa impressiona perché ha un vortice sotto i tacchetti quando parte palla al piede. Il brasiliano è l’imprevedibilità furiosa di una corsa che non può essere frenata. Non è la genialità di Dybala, non è la forza di Higuaín, non sarà nemmeno l’aggressività di Mandzukic, ma è qualcosa di unico che in molti vorrebbero avere oggi in Europa. Termina la sua gara da 9 con tre assist, due tiri in porta, l’83% di precisione nei passaggi e la sensazione sempre più netta che la Juve non possa più fare a meno del suo sinistro, delle sue finte, della sua intelligenza calcistica superiore.

L’importanza della difesa

Prima di Juventus-Milan 3-1, l’ultima sconfitta in campionato dei rossoneri era datata 23 dicembre 2017, Milan-Atalanta 0-2. Il match prenatalizio era stato anche l’ultimo da titolare per Mateo Musacchio, poi relegato in panchina per nove incontri consecutivi di Serie A. Molte persone si erano quasi dimenticate di lui, ma non Gennaro Gattuso, che dopo sei buoni minuti disputati contro il Chievo da subentrato lo aveva elogiato così: «Musacchio mi ha emozionato, non è contento perché gioca poco, ma è un ragazzo semplice, un vero sudamericano, un leader, se vede qualcosa di storto in spogliatoio non fa passare nulla. È uno vero, che parla faccia a faccia e gli auguro il meglio, sono questi gli atleti e gli uomini che piacciono a me».

Anche Cristián Zapata, in rossonero dal 2012, si può considerare un leader dello spogliatoio. E proprio la “strana coppia” Musacchio-Zapata, titolare contro il Napoli per la squalifica di Leonardo Bonucci e l’infortunio di Alessio Romagnoli, ha bloccato l’attacco di Maurizio Sarri ribaltando le previsioni della vigilia, quando veniva ricordata la stagione 2011/12 del Villarreal, retrocesso dopo aver schierato, per 17 partite, Musacchio e Zapata insieme dal primo minuto. Il colombiano ha ricevuto il secondo miglior voto su Whoscored (7.50) dietro a Gianluigi Donnarumma (8.06) e si è reso protagonista di sette spazzate, due contrasti vinti e altrettanti passaggi intercettati. Quattro, invece, le spazzate per l’argentino. «Li vedo ogni giorno e so come lavorano e come si allenano. A volte li vedo con la faccia triste perché a nessuno piace stare fuori, ma sapevo di poter contare su di loro», ha detto Gattuso.

La parata scudetto (per la Juventus)?

Quando poi, al minuto 92, Musacchio è stato scavalcato dal colpo di testa di Lorenzo Insigne, ci ha pensato Donnarumma a dire di no ad Arkadiusz Milik, blindando la porta del Milan per la seconda volta nelle ultime tre partite. La solidità difensiva è il marchio di fabbrica di Gennaro Gattuso: da quando l’ex centrocampista ha sostituito Vincenzo Montella, ormai un intero girone fa, la media gol subiti dai rossoneri in campionato è scesa da 1,28 a 0,94 a partita.

La dipendenza dell’Inter

Nel 2018, in campionato, l’Inter ha segnato 16 gol. Il Benevento, ultimo in classifica con 14 punti, ne ha fatti 18. Basta questo dato per evidenziare la crisi offensiva della squadra di Luciano Spalletti, che da quando ha sistemato la difesa (a Bergamo, nello 0-0 contro l’Atalanta, si è vista una retroguardia a tre) si è scoperta sterile in attacco. O meglio, troppo dipendente da Mauro Icardi e Ivan Perisic.

Uno degli errori sottoporta di Perisic nell0 0-0 di Bergamo

I due hanno siglato la metà dei gol della stagione nerazzurra (24 su 50) e hanno firmato le ultime due vittorie, in goleada, contro Sampdoria (5-0, quattro reti per Icardi e una di Perisic) e Verona (3-0, doppietta dell’argentino e firma del croato). Poi si sono fermati, e con loro si è fermata anche l’Inter, che non terminava tre partite consecutive senza segnare da sei anni. L’ultima partita dei nerazzurri in cui a trovare la via della rete sono stati giocatori diversi da Icardi e Perisic risale al 24 febbraio, quasi due mesi fa: Inter-Benevento 2-0 grazie a Milan Skriniar e Andrea Ranocchia.