Un grande giocatore sarà subito anche un grande allenatore?

Con Zidane che potrebbe vincere la sua terza Champions, Gerrard ha appena firmato con i Rangers e a Pirlo è venuta «voglia»: è la strada giusta?

Tra le cose che ricordo meglio del mio Erasmus a Southampton ci sono le voxpop – brevi interviste alle persone che camminano per strada – per il corso di giornalismo sportivo radiofonico del mercoledì pomeriggio. Le facevo lungo Above Bar Street, la via dello shopping e dei mercatini di Natale, che dal centro della città porta verso il mare passando per un’anacronistica torre medievale chiamata Bargate. Il 2 dicembre 2015 la notizia calcistica del giorno, in Inghilterra, era che Gary Neville aveva firmato per diventare il nuovo allenatore del Valencia. Gary Neville, difensore del Manchester United dal 1992 al 2011, era un collaboratore del ct inglese Roy Hodgson e, soprattutto, uno stimato commentatore di Sky Sports. La domanda per la voxpop era semplice: «Cosa ne pensi di Gary Neville al Valencia?». Il primo intervistato, un signore sulla cinquantina che mi aveva assicurato di seguire il calcio, non rispose subito, ma strabuzzò gli occhi e poi disse: «Cosa? Gary Neville al Valencia? In che senso, stai scherzando?». Più del non essere al corrente della notizia o di quella sorta di spocchia tutta inglese per cui non esiste altro campionato oltre la Premier League, il senso delle sue parole era soprattutto: ma chi glielo fa fare a Gary Neville, che da quando ha smesso di giocare ha sempre lavorato in tv ed è pure bravo, di iniziare ad allenare, per giunta a stagione in corso, una squadra come il Valencia?

Gary Neville è stato esonerato dal Valencia il 30 marzo 2016, quattro mesi più tardi, dopo 10 vittorie, 7 pareggi e 11 sconfitte. Adesso è tornato a fare il commentatore per Sky Sports, e il Guardian l’ha preso come esempio estremo di una categoria che negli ultimi giorni ha accolto un nuovo nome, Steven Gerrard. La categoria è quella dei grandi calciatori che iniziano la carriera da allenatore partendo da una grande squadra. L’ex capitano del Liverpool è diventato il nuovo tecnico dei Rangers di Glasgow e in Inghilterra si sono già chiesti: sarà un Gary Neville o uno Zinédine Zidane, che invece da quando siede sulla panchina del Real Madrid, gennaio 2016, ha vinto due Champions League di fila e il prossimo 26 maggio a Kiev potrebbe alzare la terza?

Gerrard ha 37 anni e ha smesso di giocare nel 2016. Non è all’esordio come allenatore (in questa stagione ha guidato il Liverpool Under 18, terzo in campionato ed eliminato ai quarti di finale della Youth Uefa League dal Manchester City ai rigori), ma in un certo senso si può dire che lo sia. Di sicuro i Rangers rappresentano una bella sfida per iniziare una seconda carriera, quella in panchina, che sembra destinata a seguire le orme della prima, cioè al Liverpool. Poche settimane fa i Gers hanno perso 5-0 l’Old Firm contro il Celtic che, grazie a quel risultato, ha vinto la sua settima Scottish Premiership di fila. A Gerrard è stato chiesto di provare a invertire questo trend, ma siccome i Rangers portano ancora addosso le ferite del fallimento societario del 2012, in molti si sono domandati perché l’ex Reds si sia preso un tale rischio. «Un nome grosso in panchina può attrarre grandi giocatori», ha scritto la Bbc. «Se Steven Gerrard telefona e chiede: “Vuoi venire ai Rangers?”, la maggior parte dei calciatori è già per strada», ha aggiunto Eurosport.

Con Gerrard che ha già preso la sua decisione, ci sono altri due fuoriclasse dell’ultimo decennio del calcio mondiale intenzionate, almeno a parole, a seguirne il cammino. Si tratta di Andrea Pirlo e Frank Lampard. L’italiano ha parlato durante il Premio Facchetti: «Se c’è una cosa che mi ha trasmesso l’aver lavorato con Antonio Conte alla Juventus, con la sua ossessione di farci vedere e rivedere continuamente video, è la passione per il lavoro di allenatore. Mi è venuta un po’ voglia di diventare allenatore». L’ex Chelsea si è invece confidato al Guardian, dichiarando di aver iniziato il corso per la licenza Uefa lo scorso settembre e di volerne mettere in pratica i frutti nelle giovanili dei Blues. Lampard però ha sottolineato: «Non mi sono dato un limite di tempo. Per diventare allenatore non basta schiacciare un pulsante, bisogna imparare molte cose. Per come la vedo io, non esistono scorciatoie». Come giudicare, allora, la scelta di Gerrard, di Gary Neville e di molti altri che queste scorciatoie sembrano averle prese?

Il Liverpool Under 18 di Gerrard ha battuto i pari età del Manchester United negli ottavi di finale della Youth Uefa League

Nella storia recente del calcio, il primo è stato Pep Guardiola, che dopo una sola stagione da allenatore del Barcellona B ha preso i catalani nel 2008/09 e li ha subito portati alla vittoria del triplete. Guardiola, che con due Champions League, tre Mondiali per club e sette campionati tra Spagna, Germania e Inghilterra ha plasmato il modo di giocare più famoso del mondo, ha sempre detto di essersi ispirato a Johan Cruijff: «Senza di lui non sarei qui». L’olandese rappresenta un altro esempio, ma di un’altra epoca, di “scorciatoia” vincente: calciatore e campione d’Olanda nel 1983/84 con il Feyenoord, duecento giorni dopo tornò all’Ajax come allenatore pur senza patentino e, con un bottino di due coppe dei Paesi Bassi e una Coppa delle Coppe in due stagioni e mezza, si lanciò verso le quattro Liga e la Champions League conquistate sulla panchina del Barcellona tra il 1990 e il 1994.

Ma per un Cruijff, un Guardiola e uno Zidane che sono riusciti a vincere al primo colpo, ci sono molti più tecnici dal lato “Gary Neville” a spaventare Gerrard e tutti i futuri emulatori. Pochi giorni dopo la prima Champions League di Guardiola al Barça, il Milan chiuse l’epoca d’oro di Carlo Ancelotti e ufficializzò Leonardo come allenatore per la stagione successiva, quella 2009/10. Il brasiliano, fino a quel momento scout e agente per i rossoneri in Brasile, fu annunciato in diretta televisiva da Adriano Galliani e si parlò addirittura di “modello Guardiola”. Leonardo rimase al Milan solo un anno, chiuso al terzo posto in classifica, e anche nei seguenti sei mesi all’Inter non lasciò grandi ricordi se non la vittoria della Coppa Italia in finale contro il Palermo. Nello stesso biennio la Juventus si affidava a Ciro Ferrara (esonerato dopo 21 giornate) e la Roma a Vincenzo Montella, promosso dai giovanissimi per sostituire Claudio Ranieri e alla fine della stagione 2010/11 sesto in Serie A.

Il 4-2-fantasia del Milan di Leonardo: Seedorf, Ronaldinho e Pato alle spalle di Borriello

Dopo aver ottenuto buoni risultati con Catania, Fiorentina e Sampdoria, Montella si è guadagnato la chiamata di un’altra grande squadra, il Milan. I rossoneri negli ultimi anni sono il club italiano che più di tutti ha sperimentato in panchina: dopo la parentesi non esaltante di Leonardo, Clarence Seedorf è passato dall’essere un centrocampista del Botafogo a guidare il Milan nell’arco di due giorni nel gennaio 2014, mentre Filippo Inzaghi e Cristian Brocchi hanno compiuto il passo dalle giovanili alla prima squadra, senza esperienze pregresse, tra scetticismo iniziale e brutte figure finali. Stiamo semplicemente parlando di allenatori scarsi? Inzaghi, ripartito dal Venezia in Serie C, ha subito conquistato la promozione in B e quest’anno è in corsa per il doppio salto di categoria consecutivo. L’abusato termine gavetta, in fin dei conti, serve.

Proviamo allora a togliere la parola “subito” dalla domanda di partenza. Un grande giocatore sarà anche un grande allenatore? Tra i vincitori delle 17 Champions League del nuovo millennio, oltre ai nomi di Guardiola e Zidane, compaiono quelli di Vicente Del Bosque, Carlo Ancelotti, Frank Rijkaard, Jupp Heynckes e Luis Enrique. Grandi giocatori che, prima di salire sul tetto d’Europa, hanno intrapreso un percorso che li ha portati un po’ al Real Madrid Castilla (cinque anni), un po’ alla Reggiana, un po’ allo Sparta Rotterdam, un po’ al Borussia Mönchengladbach e un po’ al Celta Vigo. Ancelotti ha fallito alla Juventus, per esempio, così come l’ex braccio destro di Guardiola alla Roma. Non sono diventati subito grandi allenatori, ma – esattamente come sostiene Lampard – hanno imparato sbagliando e, col tempo, hanno fatto fruttare le qualità che mettevano in campo da giocatori (due di loro hanno vinto la Coppa Campioni, uno Mondiale ed Europeo, altri due numerosi campionati nazionali).

Ecco: quali grandi giocatori sono più indicati per diventare anche grandi allenatori, posto che nella maggior parte dei casi bisogna passare dalla gavetta? Si può provare a tracciare una sorta di identikit. Innanzitutto, i grandi giocatori quanto devono essere grandi? Cruijff a parte, Pelè non si è mai seduto su una panchina e Diego Armando Maradona, Marco Van Basten e Michel Platini non hanno vinto nulla: via le leggende, dunque. I ruoli: prendendo in considerazione i 58 tecnici diversi che dal 2000 a oggi hanno vinto Champions League, Coppa Uefa/Europa League, Mondiali, Europei e lo scudetto nei cinque principali campionati del Vecchio Continente (Italia, Inghilterra, Spagna, Francia e Germania), uno su due (48%) era un centrocampista. Non è una novità, ma i numeri sono una conferma. E allora, anche se quasi sicuramente non vinceranno la Champions al primo tentativo, Gerrard, Pirlo e Lampard – giocatori di grande personalità, dote non irrilevante – possono guardare con ottimismo alle loro carriere da allenatori.