Alonso al centro del Chelsea

Per Sarri è «il miglior terzino in Europa».

Al suo ritorno al Chelsea nel 2013 Mourinho dovette fare i conti con l’alba del ricambio generazionale, e tra i temi di cui serviva occuparsi c’era anche quello del terzino sinistro. È da qui – e dai 33 anni di Ashley Cole – che serve partire per comprendere il significato che incarnano oggi le certezze garantite da Marcos Alonso. Era il 2013, si diceva, e Mourinho mise ai margini Cole (una colonna del club: 51 presenze l’anno precedente) per dirottare Azpilicueta sulla fascia sinistra. Era un tampone, una soluzione ad interim: lo spagnolo era stato acquistato per fare il terzino destro, né Di Matteo né Benitez lo avevano mai spostato dalla sua comfort-zone. E infatti l’estate successiva, quella dei preparativi per la stagione 2014/15, portò in dote a Mou Filipe Luis dall’Atlético. Il risultato? Giocò poco e convinse ancora meno, tanto che nonostante il titolo vinto dal Chelsea fece ritorno a casa dopo dodici mesi. Stesso copione l’anno seguente, quando il Chelsea azzardò la scommessa Baba e Azpilicueta fu nuovamente costretto a sacrificarsi a sinistra per metà campionato. Con queste premesse, tre estati dopo si arriva ad Alonso. Sulla panchina dei Blues c’è il neo-arrivato Conte e su suo consenso il club investe 26 milioni per portare a Stamford Bridge lo spagnolo, reduce da due annate di buon livello con la Fiorentina.

Il sospetto, a due anni di distanza, è che a quell’investimento non sia stata riconosciuta sufficiente importanza. Pochi giorni fa, durante la conferenza stampa a seguito della vittoria del Chelsea sul Bornemouth, Sarri ha detto che «Alonso è attualmente il miglior terzino sinistro in Europa». È una frase che almeno a un primo ascolto può essere percepita con diffidenza, perché sebbene ad Alonso sia sempre stato riconosciuto lo status di giocatore di valore, è capitato molto raramente che questa considerazione nei suoi confronti andasse oltre un certo limite. Un sentire comune che senz’altro le ripetute esclusioni dalle liste della Spagna hanno alimentato, visto che Lopetegui ha impiegato un anno e mezzo prima di convocarlo e non gliene sono bastati due per schierarlo da titolare. A rimediare ci ha pensato Luis Enrique, che contro l’Inghilterra – esordio in Nations League – lo ha lanciato dal primo minuto ottenendo risposte generalmente positive.

Con la sua prima stagione al Chelsea, oltre al titolo, Alonso si è portato dietro anche un significativo record personale: con ben sei reti all’attivo è stato il più prolifico tra i giocatori di fascia. Traguardo che ha superato di una unità l’anno successivo, e che in unione a tanti altri aspetti gli è valso la titolarità nella squadra dell’anno eletta dalla Professional Footballers Association. È curioso, fra le altre cose, notare come il primato tra i laterali di sinistra gli sia stato conferito non nell’anno in cui il Chelsea ha vinto il campionato (nel 2017 andò a Rose), bensì in quello in cui è arrivato quinto. Un segnale, forse, di quanto anche in Inghilterra ne avessero sottostimato a primo impatto il valore. Ma soprattutto un attestato di riconoscimento che, con la prima da titolare con la Roja e le lodi pubbliche di Sarri, costringe a riflettere su cosa è oggi e cosa è stato negli ultimi due anni uno dei migliori giocatori della Premier League.

A partire da un appunto già anticipato, ossia il rapporto tra Alonso e il gol. Un dettaglio chiave nel definire la dimensione su cui si sta affermando. È un’attitudine che aveva già lasciato intravedere negli ultimi anni di Bolton e Fiorentina, e che al Chelsea ha maturato e affinato grazie all’affiancamento di compagni di livello superiore – Hazard in primis: il tandem che compongono sarà di vitale importanza per i meccanismi del 4-3-3 di Sarri. Analizzando gli ultimi venti centri di Alonso tra i professionisti, ciò che emerge è la marcata ricorrenza di alcuni elementi. Tolte le cinque punizioni insaccate (col tempo è diventato uno specialista), quasi tutte le reti restanti sono accomunate dalla compartecipazione di errori grossolani dei portieri, deviazioni fortunose e difensori sconfitti sul piano atletico. È davvero molto raro vedergli segnare gol esteticamente gradevoli, di nuovo escluse le punizioni. E c’è altro. Sia quando si inserisce, sia quando raccoglie una respinta, non va mai oltre il tocco di prima: è successo una sola volta (controllo e tiro immediatamente conseguente, contro il Leicester due anni fa) sulle quindici in cui ha segnato da situazioni di movimento. A ciò è da aggiungere che sono frequenti situazioni in cui è il primo ad avventarsi su palloni vaganti o rimpalli in area. Tutti aspetti che fanno di Alonso un terzino piuttosto grezzo in fase di possesso, distinguendolo da giocatori più fini e leggeri come Alaba, Alex Sandro o Marcelo. A farlo rientrare tra i top, nonostante una tecnica di base buona ma non eccellente, contribuiscono infatti i dieci centimetri e gli altrettanti chili in più della media. Sa usare molto bene il suo fisico e ciò diventa un grande vantaggio quando si trova costretto a muoversi in spazi stretti o in situazioni di corpo a corpo; non è un caso che abbia trascorso in Inghilterra la maggior parte della sua carriera finora, e che anche alla Fiorentina, con Sousa, si sia distinto per la sua prestanza fisica. Qui è facile notare questo dettaglio.

Un assaggio della forza e dell’equilibrio di Alonso

Sul suo feeling con la porta, poi, si rende necessaria una considerazione: nel 3-5-2, marchio di fabbrica di Conte, l’esterno tende alla porta ben più di quanto non faccia se schierato in una linea a quattro. Un dettaglio in teoria decisivo per la prolificità di Alonso, che l’anno scorso ha mantenuto una media di tiri a partita nettamente più alta rispetto agli altri top del ruolo – sia in Premier che al di fuori. Eppure quanto mostrato nelle prime uscite con Sarri lascia pensare ad altro. Oggi Alonso partecipa ancora di più alla fase offensiva, tira di più, ha segnato la prima rete e fornito quattro assist, tanti quanti ne aveva forniti durante l’intera scorsa stagione. Insomma, parte da dietro e finisce per essere più presente in avanti. Come si spiega? In generale, andando oltre la dicotomia Conte-Sarri, lo spagnolo mostra una propensione crescente a seguire con la corsa lo svolgimento dell’azione. Si tratta di una caratteristica legata a doppio filo e con le sue doti atletiche e con l’appoggio che i compagni gli danno all’interno del sistema di gioco: Conte la sfruttava in un modo, Sarri lo sta facendo in un altro. Potrebbe giovarne anche Luis Enrique, sebbene con la Spagna il percorso si profili più tortuoso – leggere alla voce: Jordi Alba. La concorrenza in Nazionale è folta e anche dando continuità a questi standard Alonso troverebbe difficoltà ad avere spazio.

La sensazione è che per Alonso sia stata una fortuna aver incontrato Sarri dopo Conte. Le loro sono due metodologie di lavoro differenti ma complementari nello sviluppo di un calciatore, e lo spagnolo ha il background giusto per continuare a crescere. È facile prevedere una sua affermazione definitiva anche alla luce dei risultati raggiunti da Sarri con i terzini: ad Empoli aveva Hysaj e Mario Rui, entrambi finiti a giocare la Champions a Napoli, dove ha valorizzato prima e reso indispensabile poi Ghoulam. Nei prossimi mesi Alonso sarà atteso dal maniacale lavoro sarrista sulla fase difensiva, di cui è già stata data ampia dimostrazione sia in positivo sia in negativo (la gara contro l’Arsenal, nonostante la vittoria, fu piena di occasioni Gunners dovute a errori di piazzamento della linea difensiva). Pochi giorni dopo quella vittoria, in un’intervista a Sky Sports Uk Sarri ha ribadito i suoi princìpi: «Alcuni dei miei giocatori hanno giocato per dieci anni guardando l’uomo, quindi devo cambiare il loro modo di pensare: io voglio difendere guardando soltanto il pallone».

Sarri ha anche sottolineato che Alonso può e deve migliorare molto in fase di non possesso, e lo stesso spagnolo (che tempo fa etichettò la Serie A come «un master in difesa») è parso entusiasta del lavoro con il nuovo tecnico in questa intervista a El País di qualche giorno fa. «Sta andando tutto davvero bene con Sarri, vedo cose simili tra lui e Luis Enrique, il calcio moderno che si gioca oggi: tenere il pallone, il controllo del gioco, ed essere ben posizionati quando lo si perde. Sia quando si attacca che quando ci si difende, lo si deve fare in funzione del possesso. E il posizionamento è fondamentale». Ha ammesso anche di trovarsi meglio nel 4-3-3 piuttosto che nel 3-5-2 di Conte, anche se adesso deve pensare di più e stare più concentrato. Ci sarà del lavoro da fare per Alonso: intese da affinare, davanti e dietro, e un approccio da modulare. Ma ci saranno anche cose che non cambieranno, ché cambiarle sarebbe poco saggio: continuerà a spingere, intanto, e continuerà a battere le punizioni. E a restare invariata, come da due anni a questa parte, sarà soprattutto la sua centralità nel progetto tecnico.

 

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