Perisic al varco

Quella appena cominciata è la stagione della verità per il croato.

Mentre il sipario su Inter-Torino cominciava a calare, dopo che la squadra di Spalletti aveva incassato due gol, facendosi rimontare e gettando al vento un brillante primo tempo, un nerazzurro ha disteso la mano, ha afferrato i compagni e ha provato a trascinarli con sé, lontano dalla confusione che sembrava averli ormai imprigionati. Che esista un calciatore nella squadra in grado di elevarsi dal grigiore e di guidare il gruppo nel momento di difficoltà è un fatto normale che non dovrebbe stupire, semmai è interessante notare chi è il soggetto in questione. E in questo caso, è colui che finora leader lo era stato solo nelle intenzioni di Spalletti piuttosto che nei fatti, colui che nell’Inter è riconosciuto come il giocatore discontinuo per eccellenza, il campione che però non ha mai dimostrato di essere davvero e del tutto tale, uno che è ormai simbolo della squadra ma più per una continua variazione del resto che per meriti propri. Insomma, Ivan Perisic.

 Alla fine del match contro il Torino, prima Perisic si mette in proprio, assumendosi il compito di portare avanti il pallone e tirare, nonostante il crescente brusio del Meazza. E il successivo sguardo del croato al pubblico è indicativo circa il senso di responsabilità acquisito durante l’ultimo anno. Poi ci riprova: come accade nella pallacanestro, è il giocatore incaricato di prendersi l’ultimo tiro della partita, quello più pesante.

Due gol e un assist nelle prime quattro partite di campionato sono per certi versi un bottino scontato, in linea con il suo repertorio: da due stagioni infatti Perisic tocca quota 11 reti stagionali, dopo i 9 segnati alla prima annata in nerazzurro. Sono però dati rilevanti perché ribadiscono l’importanza del croato per la squadra di Spalletti, tutt’altro che scontata, perché il cambiamento estivo dell’Inter avrebbe potuto oscurare la sua luce: sul mercato, la priorità infatti è stata aggiungere calciatori con il gol nei piedi (Keita, Politano, Lautaro, Nainggolan) utili a sopperire alle carenze dello scorso anno in termini di distribuzione dei gol nella rosa (solo Perisic e Icardi sono andati oltre i 4 centri) e che in linea teorica, quindi, avrebbero potuto scoraggiare il croato, mettendo in discussione la sua titolarità.

Invece, il fatto che Perisic abbia cominciato sul livello dell’anno scorso, anzi, che sia migliorato nonostante la concorrenza più folta, potrebbe confermarne la crescita sotto il profilo psicologico. L’impressione infatti è che fin qui sia stato più presente, partecipe e interessato al destino dell’Inter, come se lentamente si fosse reso conto che dipendesse fortemente dalle sue prestazioni e, soprattutto, dal suo atteggiamento. L’interruttore di Perisic in questo inizio di campionato non si è alzato ad intermittenza, ma è rimasto perennemente acceso.

L’influenza di Perisic nell’attacco dell’Inter non è cambiata, nonostante l’abbondanza della rosa nel reparto offensivo: la metà delle azioni passa da sinistra, la sua zona di competenza (nell’immagine, la distribuzione delle iniziative dei nerazzurri contro il Torino)

 

Il passaggio fondamentale nella carriera di Perisic, indispensabile per valutarlo oggi sotto una luce diversa, è stato il Mondiale. Era una rampa di lancio da percorrere: a metà poteva scivolare indietro e tornare al punto di partenza, oppure arrivare alla sommità e spiccare il volo. L’impressione è che sia giunto fino in fondo, perché ne sembra uscito migliore rispetto a come era entrato nel torneo. Non tanto dal punto di vista tecnico, dove i pregi e i difetti sono rimasti gli stessi nella loro evidenza, quanto, appunto, da quello psicologico. Il Mondiale ha fortificato Perisic perché lo ha visto come uno dei protagonisti principali, lo ha così convinto di essere un giocatore di massimo livello, in grado di competere per i trofei, e non solo ben figurare, come aveva fatto fino a quest’estate: da quando è all’Inter, infatti, non ha mai gareggiato per un titolo.

Ed è indicativo il fatto che in Russia si sia messo in luce nei momenti di difficoltà della squadra, piuttosto che in quelli esaltanti: il leader è tale quando riesce ad isolarsi dai problemi, e, di più, a trascinare i compagni fuori dall’oscurità. Ciò che ha provato a fare contro il Torino, quando l’Inter era in confusione, riuscì due volte al Mondiale: contro l’Inghilterra, in una fase in cui la Croazia sembrava pagare le fatiche delle precedenti sfide prolungate ai supplementari, Perisic è salito in cattedra e ha segnato il gol dell’1-1 che ha poi invertito l’inerzia della partita, inclinandone il piano fino al 2-1 nei supplementari di Mandzukic. E poi di nuovo in finale contro la Francia ha siglato il momentaneo pareggio, posticipando la marea avversaria che di lì a poco si sarebbe alzata. Insomma, è stato decisivo nei momenti in cui era chiamato a misurarsi con una dimensione superiore e ignota, con il rischio di ritrovarsi inadeguato. Una paura, pare, sconfitta.

Il gol all’Inghilterra racconta due cose: primo, la ferocia con cui si avventa sul pallone conferma la volontà di Perisic di essere decisivo, di conquistarsi il palcoscenico anche quando potrebbe provocare vertigini; secondo, il taglio profondo in area che un tempo era una rarità, ora è più frequente, ed è un significativo miglioramento tattico

Così, se prima Perisic rimaneva nella penombra della sua incostanza, ora una nuova luce sembra illuminarlo. Al Mondiale si è accesa, ma a direzionarla è stato Spalletti durante l’ultima annata nerazzurra, eleggendo Perisic a guida della squadra, a titolare indiscusso e indiscutibile. Il tecnico toscano ha concesso un credito pressoché illimitato al croato per convincerlo che nell’Inter non è uno dei tanti, ma uno da cui ne dipendono le sorti. Così Perisic, a 29 anni, sembra aver raggiunto un equilibrio interiore: prima pretendeva un ruolo da protagonista ma tendeva a fuggire dalla responsabilità che ne derivava, mentre ora ha abbracciato il ruolo da capofila, anzi, è ciò da cui trae linfa.

Le prestazioni contro il Torino e il Bologna, in particolare, ma anche quella contro il Parma dove è stato l’unico a reagire dopo il gol subito, sono una prima, piccola ma significativa conferma del fatto che per Perisic sembra ormai giunto il tempo della maturità. Ha giocato buone gare non solo per i gol, ma per la pienezza e la costanza del contributo durante i novanta minuti di gioco:  attualmente nella rosa nerazzurra è infatti il calciatore con il rating di Whoscored più alto (7.45), ovvero è il più brillante e incisivo. Ed è rilevante notarlo perché significa che sta limando il suo principale difetto: la discontinuità durante la partita, l’altalena tra le improvvise fiammate e i lunghi momenti di letargo, e per esteso, durante la stagione. Lo dimostra la crescita della precisione delle sue giocate, attestata in campionato al 77,6%, un passo in avanti rispetto al 74,6% di media nei precedenti tre anni nerazzurri. Anche nella gara peggiore, Inter-Parma, la Lega lo ha premiato come miglior giocatore, perché al netto del gol fallito nel primo tempo, con 8 tiri e due passaggi chiave, ai punti Perisic è stato il più vivo tra i nerazzurri. E non è un caso che dopo il gol di Dimarco sia riuscito a creare l’unica occasione, crossando radente per Icardi, che però era in ritardo in area.

La sfera tattica influenza positivamente quella psicologica, ed è una missione che Spalletti ha accolto dal primo giorno in cui ha allenato il croato. Lentamente gli sta imponendo un’evoluzione del suo gioco, basata sulla “centralità”, che assume un doppio significato: Perisic deve essere centrale sia nello spogliatoio che fisicamente in campo. Cioè, anziché rimanere incollato alla linea laterale come se fosse un rifugio sicuro in cui può fare ciò che gli riesce meglio (il dribbling secco, muscolare, e il cross fulmineo verso il centro) ed evitare il rischio di non rispettare le attese, viene spinto da Spalletti verso il centro, e stimolato ad una partecipazione più profonda nell’azione. Solo così può aggiungere sfaccettature al suo gioco – i passaggi chiave in zone centrali, gli scarichi utili a fortificare il possesso, le conclusioni nel cuore dell’area – altrimenti monotematico, e dunque completare il percorso di maturazione.

Il nuovo Perisic si sta convincendo ad occupare altre zone di campo. Si noti la posizione di partenza nell’azione del gol al Torino, in alto a destra: quando comincia dalla difesa, il croato è già in zona centrale.

Se in campionato Perisic sembra essere ormai consapevole della sua leadership, la Champions è il banco di prova definitivo, il luogo in cui dovrà compiere un ulteriore salto di quota. Perché è un territorio oscuro sia per l’Inter, che manca da sei anni, che per lo stesso Perisic, che vi ha partecipato solo due volte in carriera (con il Borussia Dortmund, nel 2011/12 e, fino a gennaio, nel 2012/13). E poi, perché in Europa oltre alla qualità tecnica per le sorti delle squadre è determinante la consapevolezza nei propri mezzi dei giocatori e la profondità della leadership dei migliori, tra i quali risulta Perisic.

È quindi un bivio, la Champions, per il croato: e stando alla prima partita con il Tottenham, al netto di un problema fisico che lo ha condizionato, ha dimostrato di aver ancora qualche metro di strada da percorrere davanti a sé. Con gli Spurs è infatti riemersa la vecchia versione discontinua e decentrata rispetto alla gara, sia come atteggiamento che come posizione in campo. Perisic ha concluso soltanto 13 passaggi, e con il 53,9% di precisione è risultato il peggiore tra i nerazzurri, al punto da meritarsi la sostituzione da parte di Spalletti. Ecco quindi il varco: la Champions, dove Perisic potrà lasciare la sensazione di incompiutezza oppure superarsi definitivamente, trascinando l’Inter, e di conseguenza se stesso, al tavolo della nobiltà del calcio.