Il Manchester United non sa vendere bene

Solo quattro operazioni in uscita hanno portato in cassa più di 20 milioni di sterline.

Secondo l’ultima Football Money League pubblicata da Deloitte, il Manchester United ha il terzo fatturato più alto tra le società calcistiche, 666 milioni di euro derivanti in gran parte dagli accordi commerciali (circa il 47%). Una voce che incide poco sul bilancio del club inglese è senza dubbio il calciomercato in uscita. Basta scorrere l’elenco di tutti gli affari negli ultimi anni per rendersi conto che cessioni e plusvalenze non sono le specialità del management di Old Trafford. Solo quattro trasferimenti sono stati conclusi per una somma superiore ai 20 milioni di sterline (circa 24 milioni di euro): Cristiano Ronaldo al Real Madrid nel 2009 (94 milioni di euro), Di María al Psg nel 2015 (63 milioni), David Beckham nel 2003 al Real Madrid (37 milioni) e Morgan Schneiderlin all’Everton nel 2017 (24 milioni di euro). In realtà, anche Mkhitaryan è stato venduto per una cifra importante (34 milioni), ma il suo passaggio all’Arsenal nel gennaio 2018 va considerato come uno scambio alla pari con Alexis Sánchez.

Le altre operazioni in uscita hanno avuto costi molto più bassi, esiste una sorta di cronologia delle minusvalenze: Depay è stato comprato per 34 milioni di euro e poi rivenduto per 16, Kagawa è arrivato per 16 milioni di euro e ceduto per 8, Blind è tornato all’Ajax dopo quattro stagioni con un prezzo leggermente inferiore a quello d’acquisto (17 milioni di euro contro 16). Evidentemente, il business plan del Manchester United non prevede che il player trading possa essere una risorsa, oppure più semplicemente l’attuale dirigenza non ha ancora capito come si può vendere bene sul mercato, a parte poche – anche se eclatanti – eccezioni.