Come Ducati ha cannibalizzato la MotoGP

La casa motoristica italiana è diventata padrona in pista, con i trionfi di Bagnaia ma anche con la competitività dei team di sviluppo. Una storia di successo che ha ragioni ben precise, e che parte da lontano.

Nel mondo del calcio l’importanza dell’allenatore è al centro di lunghi dibattiti. C’è chi ritiene il suo ruolo secondario perché a scendere in campo sono i calciatori e chi invece evidenzia il gran contributo, tattico, atletico e motivazionale fornito dai mister. Nelle moto invece il pilota ha sempre avuto il sopravvento, perché l’incidenza della guida è sempre stata considerata superiore alle qualità del veicolo affidatogli dai meccanici. Il dominio esibito nell’ultimo biennio dalla Ducati e le difficoltà palesate da talenti del calibro di Marc Márquez e Fabio Quartararo (campione 2021), azzoppati dalle scarsamente competitive Honda e Yamaha, ha finito con cambiare convinzioni radicate nel tempo. Nel 2023 le moto della Casa di Borgo Panigale hanno riscritto il libro dei record della classe regina: 17 GP vinti e altrettante pole (di cui 15 di fila) in 20 round, oltre a 43 podi totali. Per di più sul gradino più alto del podio delle gare tradizionali sono saliti sei ducatisti differenti e un settimo, Alex Márquez, si è aggiudicato due Sprint, le gare del sabato su distanza ridotta a cento chilometri. Addirittura in otto occasioni l’anno scorso il podio è stato monopolizzato dalle Ducati, che al Mugello e in Malesia ha conquistato pure la medaglia di legno e, non contenta, in Germania ha agguantato tutte le prime cinque posizioni, imitando quanto fece per l’ultima volta la Honda nel 2003.

Simili numeri non fanno che avvalorare la tesi della superiorità delle Desmosedici, diventata l’oggetto del desiderio dell’intera griglia, tanto da indurre Márquez a salutare la Honda dopo 11 anni e a rinunciare a un anno di un contratto che gli fruttava 12 milioni di euro. Una supremazia che porta il nome e cognome di Gigi Dall’Igna, che nel 2014 rilevò da 110 Filippo Preziosi il ruolo di Direttore Generale di Ducati Corse. Artefice degli ultimi successi Aprilia, l’ingegnere ottenne carta bianca dall’Amministratore Delegato Claudio Domenicali per riportare Ducati ai vertici che non assaporava dal 2007, quando salì in cima al mondo con Casey Stoner.

La prima grande intuizione di Dall’Igna fu approfittare delle concessioni previste dalla federazione motociclistica internazionale e dalla Dorna per permettere ai team più deboli di colmare il ritardo da Honda e Yamaha. Le fondamenta del dominio attuale bolognese furono gettate con la Desmosedici GP15, una moto completamente diversa dalle Ducati che l’avevano preceduta, a livello di motore ma anche per le ali che aumentarono il carico aerodinamico, incrementando di conseguenza il grip. «Siamo cresciuti stagione dopo stagione», ha ricordato più volte Dall’Igna, «innovazione dopo innovazione, facendo una cosa che nessuno aveva fatto prima: sviluppare la parte sportiva assieme a quella tecnica. Molti dei piloti che corrono sulle Ducati hanno cominciato la loro carriera in MotoGP in sella a una Ducati, si sono costruiti con noi e noi con loro». Oltre a incrementare la potenza dei motori, fino a superare i 360 km/h, gli ingegneri Ducati hanno dato sfogo alla fantasia, realizzando soluzioni che si sono inserite nei vuoti regolamentari, migliorando la resa in ogni aspetto: dalle ali aerodinamiche al “cucchiaio” (il water deflector montato sotto la forcella per raffreddare la gomma posteriore) fino agli abbassatori per tenere schiacciata la moto a terra.

Tutto questo però non sarebbe stato possibile con due sole moto in pista nei weekend, visto che nel resto dell’anno i piloti non possono salire sulle MotoGP, tranne nei miseri giorni di test ufficiali. Ne sa qualcosa la Yamaha che nel 2025 vorrebbe tornare ad avere quattro posti in griglia, raddoppiando le attuali moto, così da poter raccogliere più dati utili per lo sviluppo. E proprio la disponibilità di otto Ducati in MotoGP è una delle chiavi della supremazia delle rosse, non a caso iniziata nel 2022 quando Gresini Racing lasciò l’Aprilia per diventare team clienti Ducati. «Per noi i team satelliti sono importantissimi», ha precisato Dall’Igna, «non solo dal punto di vista economico, ma anche tecnico, perché ci permettono di avere più dati e più info a supporto dello sviluppo, ma anche perché possiamo investire su giovani piloti». Per gestire il tutto, i due piloti del team Pramac sono direttamente sotto contratto con Ducati Corse: per un triennio sono stati Johann Zarco e Jorge Martín, ma nel 2024 il francese lascia il posto a Franco Morbidelli (che però è a mezzo servizio per l’infortunio di gennaio a Portimão in cui ha battuto la testa). Proprio Pramac l’anno passato è diventato il primo team indipendente a conquistare il titolo mondiale a squadre nella storia della MotoGP, precedendo il team ufficiale, con il Mooney VR46 sul terzo gradino del podio.

Francesco Bagnaia è arrivato in Ducati nel
2019, con il team satellite Pramac Racing.
A inizio 2024, dopo aver vinto due titoli
mondiali, ha rinnovato con la Ducati fino al
2026 (Ronny Hartmann/AFP via Getty Images)

Da quando nel 2002 la MotoGP prese il posto della 500 non era mai accaduto che un unico costruttore monopolizzasse i gradini del podio della classifica a squadre. L’ennesima riprova della forza delle Ducati, su cui sale quest’anno Márquez, propostosi al team Gresini dove già correva il fratello Alex: la formazione gestita da Nadia Padovani, vedova di Fausto Gresini, dispone del roster più titolato, sommando gli otto Mondiali vinti da Márquez senior con i due del fratellino. Con questa mossa lo spagnolo cerca l’aggancio a quota nove con Valentino Rossi, dopo un quadriennio che gli ha fruttato appena tre vittorie anche per colpa dell’infortunio all’omero destro, operato quattro volte. Ma soprattutto Márquez vuole ritrovare quel piacere di guida che le lacune della RC213V palesate nell’ultimo biennio, quando comunque è stato il miglior pilota Honda in classifica, gli avevano tolto. «Sono entusiasta di questa nuova sfida», ha detto all’annuncio. «Non è stata una decisione facile perché sarà un grande cambiamento sotto tutti gli aspetti. A volte nella vita bisogna uscire dalla propria zona di comfort e mettersi alla prova per continuare a crescere. So che dovrò adattare molte cose nel mio stile di guida e non sarà facile».

Il quarto posto nel test di Valencia a novembre ha escluso crisi di rigetto ma le prime sessioni del 2024, pur chiuse nei quartieri alti, hanno ridimensionato la sua gioia: a Sepang è stato sesto ma distanziato di 588 millesimi da Pecco Bagnaia, a Losail quarto attardato di 383 millesimi dall’italiano. L’impressione è che la Desmosedici GP24 in dotazione ai due piloti ufficiali e ai due Pramac sia già molto più performante della GP23 che toccherà invece ai team Gresini e VR46 – quest’ultimo quest’anno a Marco Bezzecchi affiancherà Fabio Di Giannantonio. Un vantaggio di cui godranno il bicampione del mondo uscente Bagnaia e il suo compagno Enea Bastianini, l’anno scorso condizionato dall’infortunio al primo Gran Premio, ma anche Martín, arresosi nel 2023 soltanto all’ultimo appuntamento. Le GP24 appaiono l’unico elemento in comune tra Bagnaia e Martín, come testimonia anche il loro rendimento: l’anno scorso lo spagnolo, decisamente più esplosivo, vinse nove Sprint contro le quattro del rivale. Bagnaia, però, ha conquistato più successi domenicali (7 contro 4) e quasi il doppio dei podi (15 contro 8). Oltretutto nell’intero anno Bagnaia è caduto appena sette volte, rispetto alle 29 scivolate di Marc Marquez e alle 16 di Martín. Valori che testimoniano la scarsa propensione all’errore di Bagnaia nelle giornate di venerdì e sabato, come riconosciuto da Giacomo Agostini: «Un aspetto che mi piace molto di Bagnaia è il lavoro che compie nelle prove: non si impegna a fare il giro veloce, pensa a mettere a posto la moto. D’altro canto si chiamano prove perché devi provare a mettere a punto la moto, non serve dare tutto».

A parte Martín e l’incognita infortuni, possibili in una stagione contrassegnata da 21 round (due in Italia, al Mugello a giugno, a Misano a settembre) per 42 gare, l’ostacolo principale sulla strada per la conquista del terzo Mondiale di fila di Pecco potrebbe essere Bastianini, secondo nei test in Qatar e terzo in Malesia. Peraltro, con entrambi in scadenza di contratto, Bastianini e Martín sono in lizza per il posto restante nel team ufficiale per il 2025, con l’altro ipotecato da Bagnaia.

Da Undici n° 55