Stiamo confondendo il tifo per il tennis con quello per il calcio, e non dovremmo farlo

Lettera nostalgica di un appassionato di tennis, sul fatto che adesso tutti guardano Sinner, Alcaraz e i grandi tornei. Ovviamente è un bene per il movimento, ma ha anche i suoi lati negativi.

Alle nove passate di domenica sera, quando Carlitos Alcaraz surfava sulle ultime luci di una lunghissima giornata di primavera e dipingeva con irreale qualità gli ultimi punti del quinto set, avrei voluto che, sulla terra rossa del Philippe Chatrier, qualcuno – discreto ma deciso – arrivasse con il dito e scrivesse: «Non sono nata per condividere l’odio ma l’amore», il verso più celebre dell’Antigone di Sofocle. Non per creare una scena a là Paolo Sorrentino, né per stupire nessuno, ma perché non ci sono parole più adatte a descrivere il tennis giocato a questi livelli e non c’è frase migliore per provare a difendersi da tutto quello che è successo subito dopo e sta succedendo ancora nei commentari virtuali dei social network e in quelli reali dei bar e delle spiagge italiane.

Aprendo Whatsapp alla fine della partita mi sono sentito violato, e lo stesso è accaduto con Instagram, figuriamoci con Facebook. Ho dovuto mettere via il telefono per non leggere i commenti di chi insultava Alcaraz accusandolo di essere arrogante, di chi diceva che tre match point così non si sprecano neanche al glorioso torneo del Turista a Milano Marittima, di chi affermava che le partite sono troppo lunghe e gli appassionati si allontanano, di chi – addirittura – rimproverava la madre di Sinner per essere troppo emotiva e aver distratto il figlio con i suoi sguardi dal box. Ho pensato che, incredibilmente, il tennis mi piaceva di più quando ne parlavo solo con mio babbo e con gli amici del Circolo e ci emozionavamo per le smorzate poetiche di Potito Starace che perdeva – perdeva eh, non vinceva – al quinto set del terzo turno del Roland Garros 7-5 contro Marat Safin, oppure per Daniele Bracciali bombardiere che veniva fermato per il buio mentre stava facendo diventare matto Roddick a Wimbledon. È un pensiero stupido e snob perché è del tutto ovvio che che è più bello adesso, con due italiani nei primi dieci del mondo, con Jasmine Paolini che ha vinto gli Internazionali d’Italia un mese fa e a Parigi in doppio con Sara Errani, oltre a una marea di giocatori in top 100 o giù di lì. È più bello vincere la Fed Cup e due Davis di fila con i giornali che dedicano alla racchetta la prima pagina. Eppure, ripeto, mi piaceva di più prima. Lo ammetto da amante ferito e tradito, che ha visto violato il suo giardino, calpestate le sue rose, che ha trovato qualcuno che stava facendo la pipì sui gerani.  

I nuovi tifosi di tennis sono vecchi tifosi di calcio

Il primo e principale problema della percezione distorta che si ha in Italia del tennis è che una buona fetta di appassionati recenti a questo sport sono tifosi di calcio che ogni tanto declinano le loro frustrazioni su tre o cinque set. L’appartenenza, l’attaccamento a una maglia sono cose fortissime che provo novanta minuti a settimana per dieci mesi l’anno, ma nel tennis non hanno ragione di esistere. E sono solo dannose. Lo dico da ammiratore di Sinner: tra vederlo vincere tre set a zero la finale in un’ora e mezza e l’epifania tennistica avvenuta domenica, io preferisco sempre queste cinque ore. E le preferirò sempre. Perché il tennis è più grande di ogni singolo giocatore. Lo è stato di Rod Laver, di Borg, di McEnroe, di Sampras, di Agassi, lo è stato anche di Federer, Nadal e Djokovic. E i due ragazzi scesi in campo l’altro giorno nel sono la prova vivente. 

«Io penso che il problema non sia l’allargamento del pubblico, che invece è un bene», spiega a Undici Jacopo Lo Monaco, voce del tennis di Eurosport e fresco di commento proprio della finale insieme all’ottima Barbara Rossi. «Ma che le criticità nascano quando qualcuno che non sa niente di una cosa si permette di parlarne e di commentarla. È evidente e sacrosanto che non tutti possono sapere tutto di ogni singolo sport, il punto è che non bisogna sempre per forza dire qualcosa».  

In questi giorni ci si ritrova a parlare di polemiche assurde dopo la finale più lunga – e bella – della storia del Roland Garros. E se non è stata la finale migliore del tennis moderno in assoluto, allora il dibattito si può aprire. A parlare di bellezza in termini di prestazione individuale, il 6-1, 6-3, 6-0 di Nadal contro un disperato Federer, anno 2008, ha pochi eguali per qualità in campo dei giocatori e per dominio di uno dei due; per spettacolo, equilibrio, emozione, e anche una bella fetta di poesia si può andare a pescare l’ultimo atto degli Australian Open 2017 con la domenica mattina italiana illuminata dal nuovo Roger Federer che supera 6-3, ovviamente al quinto, un Nadal commovente e traboccante di talento; non hanno eguali invece l’epica e il pathos di Wimbledon 2019, l’ultima grande partita del tennis pre-Covid, con Djokovic che batte Federer dopo due match point annullati e un pomeriggio giusto un filino più intenso dell’Iliade. Nell’Olimpo delle grandi finali c’è già Sinner-Alcaraz per imprevedibilità, divertimento, qualità, durata, emozioni, ribaltoni, tenacia, e tutti quei valori che rendono tennis, il tennis. Proprio Jacopo Lo Monaco ha vivisezionato la finale insieme a Simone Eterno in Schiaffo al volo, il podcast sportivo di analisi, approfondimento e leggerezza migliore d’Italia insieme a Un Podcast sul Tennis di Teo Filippo Cremonini, Ares Tabellini e Andrea Ortolani che si concentrano di più sul mondo Challenger e giù di lì. 

Arbitrarsi da soli

«Quando commento una partita ho sempre davanti agli occhi il tempo», confessa Lo Monaco. «Perché viene indicato di continuo, eppure domenica non me ne sono accorto. Mi sono divertito così tanto che la giornata è volata. Ricordo che quando commentai la finale degli Australian Open tra Zverev e Thiem non vedevo l’ora che finisse, avrei voluto che annullassero la partita senza dare il trofeo a nessuno dei due. Invece Alcaraz e Sinner se lo meritavano entrambi. Jannik ha messo insieme 193 punti e Carlos 192, aggiudicandosi 28 game a testa (esclusi tiebreak, ovviamente) e una qualità di gioco enorme. Una qualità mostrata fin dal primo game, che è durato una vita. I primi cinque o sei giochi del primo set sono stati giocati a un livello irreale. Quello che mi ha colpito in maniera incredibile è che entrambi, dopo ogni punto, perso o vinto, si girassero sempre verso il team per incoraggiarsi, per caricarsi, per non andare mai giù di morale nemmeno un quindici. Ho letto di uno studio psicologico sui primi 25 giocatori del mondo: i primi cinque sono quelli che dopo ogni punto hanno sempre pensieri positivi e questo rallenta il battito cardiaco e aiuta la respirazione. A pensarci adesso è ovvio ma come fai a metterlo in pratica durante la finale di uno torneo dello Slam?». 

Chiunque altro, tranne Sinner, avrebbe perso 6-0 il quinto dopo quel pugno in faccia del quarto set. E chiunque altro. tranne Alcaraz, non avrebbe trovato la forza di giocare così un game cruciale e un super tie-break pesantissimo dopo aver servito invano per il match. La superiorità del tennis di questo livello rispetto agli altri sport abita anche in alcuni piccoli dettagli che, nella partita di domenica scorsa, si sono ripetuti tre volte, più o meno uguali ma sempre unici e luminosi: Sinner e Alcaraz hanno corretto la giudice di sedia Eva Asderaki assegnando il punto all’avversario, senza dire un ecumenico e paraculo facciamo due palle,  in momenti cruciali della partita. Mostrando una correttezza e una goduria nel competere ad armi pari che non si trova davvero in nessun altro sport, fuori da ogni retorica, e dimostrando che si sarebbero potuto arbitrare da soli. 

«Siamo abituati al calcio in cui tutti alzano la mano per ogni singolo fallo laterale ma penso anche al volley in cui tutti negano i tocchi a muro e poi vengono smentiti malamente dagli Instant replay o alla scherma in cui indipendentemente da come sia andata la stoccata si urla insieme per esultare. Sinner e Alcaraz sono stati qualcosa di straordinario anche in questo, soprattutto perché hanno dimostrato correttezza non in un momento di transizione o di grande vantaggio e svantaggio ma in punti cruciali, di equilibrio e tensione. In un torneo di quarta categoria i giocatori sarebbero passati sopra al segno con il piede…». 

La tv e il grande pubblico

Per quanto riguarda il grande pubblico che (finalmente) guarda il tennis, Lo Monaco non ha dubbi: «Penso che sia corretto trasmettere in chiaro partite come quelle di domenica perché è il migliore spot per questo sport e perché bisogna pensare che in chiaro non la vedano solo gli appassionati più recenti, ma anche semplicemente gente che non può permettersi di avere degli abbonamenti. D’altro canto il tennis in questo momento vive un momento d’oro e sembrano non esserci limiti ai prezzi che si possono fissare per delle partite dal vivo perché, nonostante gli aumenti, i campi sono sempre pieni. Però nell’ottica di facciamo vedere il tennis a più persone possibili allora questo deve valere per la televisione come per i match dal vivo. È un’utopia, ma sarebbe bello immaginare dei settori del centrale di Roma a prezzi più accessibili o magari venduti tramite lotteria o con agevolazioni per chi ha un reddito più basso e non potrebbe mai comprarseli». 

Per concludere dall’alto del podio inesistente che mi sono costruito e dalla superiorità delle domeniche di bambino sacrificate non andando in spiaggia per vedere tutte le finali di Wimbledon che potevo, quella di domenica è stata la partita di tennis più bella che io abbia mai visto insieme alla finale di Wimbledon 2019. Se dovessi dire invece la partita di tennis in cui sono stato più felice non avrei alcun dubbio: Pete Sampras batte Andre Agassi 6-7, 7-6, 7-6, 7-6 ai quarti di finale 2001 degli Us Open, ancora registrata su un vecchissimo vhs che consumai anno dopo anno, ammaliato dai passettini brevi di Agassi e dal suo rovescio e dal dritto di Sampras, sudatissimo e moro che mi insegnavano che il tennis è uno sport nato non per condividere l’odio ma l’amore. In definitiva, grazie Jannik e grazie Carlos, è stato bello nonostante vi abbiano visto anche tutti gli altri, bisognerà imparare a condividervi con tutto il mondo. 

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