El fútbol diferente

Viaggio a Eibar, dove tutto è diverso. La complicata scalata verso la prima volta nella Liga, e la paura di non arrivarci per questioni amministrative. Tra stipendi al minimo e uno stadio che sembra il giardino di un condominio.

Con la storia Eibar non ha avuto molto da dirsi. Una società di calcio fondata nel 1940 in un piccolo paese di 27.000 abitanti nell’entroterra basco, noto per anni per la produzione di armi (i calciatori della squadra sono detti “armeros”). A 46 km da Bilbao, a 54 da San Sebastian: se sei di Eibar, devi scegliere da che parte stare, Athletic o Real Sociedad. Guardi oltre perché la storia, quella vera, si è fatta da quelle parti. Hai la maglia rossoblù, perché negli anni Quaranta ti venne donato il completo del Barcellona, e da allora quelli diventarono i colori ufficiali. La storia, quella degli altri, riflessa sulle tue maglie. Il primato di diciotto stagioni consecutive in seconda serie, dal 1988/89 al 2005/06. Pagine di calcio scritte in periferia.

Però. Però Eibar è un “equipo diferente”, rimarca il presidente Alex Aranzábal. Diverso. «Non si spende più di quanto si guadagna». Non è ideologia né retorica, a Eibar funziona così e basta. I soci del club sono circa 4.000, ma nessuno ha grosse concentrazioni di capitale. Il 25 maggio 2014, l’Eibar è stato promosso per la prima volta nella Liga. Con il budget più basso dell’intera categoria: poco meno di 4 milioni di euro. Ma la promozione è stata eib10festeggiata solamente il 15 luglio. Nessuna partita, il tabellone non segnava un risultato, ma una cifra: 1.700.000. Sono gli euro richiesti dalla Lega Calcio spagnola per l’aumento del capitale sociale dell’Eibar: troppo bassi i 422.000 euro del club. Una condizione necessaria per l’iscrizione al campionato, pena la retrocessione in terza serie. «Con il calcio spagnolo nel caos finanziario, è ingiusto che le regole penalizzino un club solido», attacca Aranzabal. Ma come reperire i soldi, date le scarse disponibilità economiche del club? Si apre una sottoscrizione popolare (“Defiende al Eibar”), mediante la vendita di quote al prezzo di 50 euro ciascuna. Vengono raccolti quasi 2 milioni, all’appello rispondono quasi 10mila azionisti da circa 50 Paesi del mondo. Tanti soci con piccole quote, perché il limite di spesa per le azioni del club era fissato a 100.000 euro: un centesimo di più avrebbe assicurato il diritto di voto. Meglio morire che vendersi, dicono a Eibar.

La città sorge proprio nel cuore dei Paesi Baschi, nella regione di Guipúzcoa. Capisci che stai arrivando quando vedi fronteggiarsi cinque montagne, e in basso fa capolino un avvallamento del fiume Deva. Lì dentro è la città, quasi invisibile nel cunicolo naturale. Si sta stretti a Eibar, come nel piccolo stadio Ipurúa: 5.250 spettatori, persino la seconda squadra del Real Madrid disputa le sue partite in una struttura più grande. Non c’è un parcheggio, i giocatori lasciano le loro auto dove c’è posto. Accanto al campo principale, c’è un piccolo terreno per gli allenamenti: sono posizionati dei secchi per raccogliere l’acqua piovana, utile per annaffiare i campi. Pur sempre un modo per risparmiare. Ma Ipurúa, che sorge nel quartiere da cui prende il nome, è un gioiellino, dotato anche di licenza Uefa. Impossibile ampliarlo di molto, anche se i lavori in corso, una volta completati, aumenteranno la capienza fino a 6.267 posti: ci sono dei rilievi collinari intorno, e poi le costruzioni. Basse palazzine bianche dietro una curva, mentre sulla Tribuna Norte si affacciano due enormi edifici a mo’ di torre. Ipurúa è questo, un campo che sembra planato lì per caso, che non c’entra nulla con il resto: conficcato, a fatica, in un punto qualsiasi del mondo.

eib4

Lo scorso anno, l’Eibar è arrivato terzultimo con 35 punti: a pari merito con Deportivo e Granada, ma con una classifica avulsa sfavorevole, che sanciva la retrocessione del club. Invece, le regole della Lfp che avevano rischiato di invalidare la prima storica promozione hanno permesso al club di conservare la categoria, grazie all’esclusione dell’Elche per debiti. Nelle prime due gare di campionato, i baschi hanno raccolto due vittorie, contro Granada e Athletic Bilbao. «Ipurua è sempre stato un posto particolare. Qui la tifoseria non si lamenta mai. Incita la squadra a prescindere dai risultati», precisa José Antonio Rementeria, giornalista del Diario Vasco. «Sin dagli anni Ottanta e eib6Novanta, con il club in seconda divisione, questo stadio è stato sempre complicato per gli avversari, perché trovavano una squadra che si chiudeva in difesa. Giocava così perché i calciatori avevano meno tempo per allenarsi: anche se erano professionisti, avevano un lavoro oltre al calcio». Gaizka Garitano, 39 anni, l’allenatore che ha portato l’Eibar nella Liga, è tifoso dell’Athletic Bilbao. Però il magnetismo di Ipurúa lo ha rapito sin dalla prima esperienza da giocatore, nel 1998/99. Poi Garitano è tornato per quattro stagioni, dal 2001 al 2005, diventando capitano della squadra e, nell’ultimo anno di permanenza, sfiorando la promozione (quarto posto). Da mediano, l’impronta difensiva della squadra gli si è appiccicata sin da subito. Così, da tecnico, ha costruito il primo posto in campionato, con una retroguardia che ha incassato solo 28 gol in 42 partite. Il portiere Xabi Irureta, il giocatore di maggior valore della squadra, ha vinto il Trofeo Zamora, che il quotidiano Marca consegna al numero uno che ha incassato meno reti in campionato. Per la quarta volta, un portiere dell’Eibar si è aggiudicato il premio, dopo José Ignacio Garmendia (vincitore nel 1991/92 e nel 1995/96, quasi vent’anni con gli armeros) e Manuel Almunia (2001/02). Nessuna squadra, in Segunda División, ha collezionato più Zamora. Dopotutto, Eibar ha una squadra con una tradizione calcistica importante: da qui sono passati due campioni del mondo come Xabi Alonso e David Silva, anche se in annate differenti.

Garitano è tornato a Eibar, nelle vesti di allenatore, nel 2009, come vice. Dopo due anni alla guida della formazione B, nel 2012 il passaggio in prima squadra. Promozione centrata al primo colpo: dalla terza serie alla seconda, dopo la vittoria nei play off contro l’Hospitalet. Ha scavato da subito nell’animo dei giocatori. Poche parole, molti significati. Garitano, in fondo, è rimasto il capitano della squadra, anche se, nell’aspetto fisico, qualcosa è cambiato: i capelli più radi, le rughe visibili. Non conta. Conta la forza interiore. Garitano allena quella dei suoi giocatori: prima l’anima, poi le gambe. «Se non corriamo più degli altri, se non ci impegniamo più degli altri, non possiamo competere», ripete ai suoi. L’Eibar è considerato la cenerentola del campionato, viste le poche risorse da spendere sul mercato. Garitano eib9non dispera, ha già molto di più di qualsiasi altro avversario: la fiducia nel suo gruppo. Riconferma gran parte della rosa dell’anno precedente. Arrivano cinque svincolati e sei giocatori in prestito, soprattutto giovani da altre squadre, visto che da due anni a questa parte la cantera dell’Eibar è stata chiusa perché i costi erano diventati insostenibili. Il monte ingaggi è il più basso di tutto il campionato, molti giocatori guadagnano lo stipendio minimo di 60.000 euro a stagione. Garitano integra alla perfezione nello spogliatoio i nuovi arrivati. I nomi non contano, le individualità sbiadiscono. C’è la squadra, il gruppo, l’unità. Tutto al singolare. In campo ci deve essere sintonia, intesa. Da costruire prima della partita: «Nel nostro spogliatoio c’era sempre grande entusiasmo, si respirava sempre un’aria di festa. Eravamo tutti sempre di buonumore, si scherzava, si rideva». Ma non si sgarra: Garitano vuole una squadra di asceti del calcio. «Qui vogliamo solo giocatori umili. Non sono ammessi individualisti, cerchiamo di evitare qualsiasi conflitto. La nostra unità è tutto, senza di essa non siamo niente. Qui non è ammesso arrivare tardi agli allenamenti. Qui non è ammesso lamentarsi se non si gioca titolari. Qui non è ammesso lanciare una bottiglietta quando si viene sostituiti. Qui non possiamo permetterci i lussi e i vizi del calcio di oggi».

L’Eibar batte l’1-0 all’Alavés, la sirena dell’Alfa suona e i baschi vanno in Primera División.

L’Ipurúa infiamma l’Eibar, l’Eibar infiamma l’Ipurúa. La squadra inizia a vincere, una, due, cinque, dieci partite. Senza nomi di peso: pochi hanno esperienza di Primera, tra cui Abraham e Diego Rivas. Il capitano, Añibarro, 35 anni, ha militato sempre nei campionati minori. La sirena dell’Alfa mugola sempre con più frequenza. Saluta ogni gol della squadra di casa, è qui da meno di una decina di anni. La sirena era quella della fabbrica dell’Alfa, importante industria siderurgica della città, e scandiva gli orari di lavoro. Poi, lasciata la storica sede di calle San Andrés, è finita all’Ipurúa. Jota Peleteiro, in prestito dal Celta Vigo, è stato la rivelazione dell’anno e si è imposto come miglior marcatore della squadra con 11 reti. Suo è stato il gol che, nella serata piovosa del 25 maggio, ha regalato la promozione. È finita, o forse è appena iniziata. L’Eibar per la prima volta nella Liga, la città più piccola di sempre a sbarcare in prima divisione. Spodestata Almendralejo, sede della squadra dell’Extremadura. Un posto nella storia, finalmente.