Il re giallo

Il Villarreal sta vivendo una grande stagione: come il Submarino Amarillo è arrivato in testa a tre anni e mezzo dalla retrocessione in Segunda División.

Diego Simeone, dopo la sconfitta di sabato 26 settembre al Madrigal, forse non ricordava il 13 maggio del 2012. Come dargli torto, del resto. Nei tre anni e mezzo successivi, giusto gli ultimi, lui e l’Atlético Madrid hanno vissuto momenti che dovevano fargli dimenticare per forza quel Villarreal-Atlético 0-1. Il gol di Falcao, allora, non bastò a portare i colchoneros in Champions League. Il Malaga degli sceicchi battè il Gijón e conquistò il quarto posto. Sì, forse Simeone non ha dimenticato quella serata di delusione. Di sicuro non l’hanno dimenticata i tifosi del Villarreal: a causa di quella sconfitta di misura, salutarono la Liga e videro la loro squadra retrocedere in Segunda División a dodici anni dall’ultima volta. Oggi, tre anni e mezzo dopo, l’Atlético ha chiuso il cerchio. Simeone c’è ancora, e il tabellone ha di nuovo segnato l’uno a zero. Solo che stavolta ha vinto il Submarino Amarillo, che grazie a questi tre punti ha cancellato definitivamente la retrocessione del 2012 e si è portato in testa alla classifica della Liga. Per tre settimane, il Villarreal è stato primo, da solo, in campionato: non era mai successo nella sua storia.

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Marcelino García Toral è un uomo che preferisce costruirsi da solo le grandi occasioni. Ha portato il Recreativo Huelva nella Liga e il Racing Santander in Coppa Uefa, ha abbracciato il Real Saragozza in Segunda e l’ha ricondotto in massima serie. Le cose vanno meno bene quando si ritrova a lavorare in un contesto non suo, dove il carattere di self-made-man stride con le pressioni e le esigenze dell’ambiente. Dove non si può partire dal basso. E allora ecco che arrivano l’esonero del Saragozza, all’indomani della promozione, e l’opportunità sfruttata male nel grande club, in quel Siviglia che ha appena licenziato Manzano e si sta avviando ad essere la grande squadra di oggi. Siamo nel febbraio del 2012, e Marcelino ha un grande avvenire dietro le spalle. Il 19 gennaio del 2013, l’allenatore nativo di Villaviciosa guida per la prima volta dalla panchina il Villarreal, che lo ha appena assunto dopo l’addio a Julio Velázquez. Il Real Madrid Castilla batte 5-0 il Submarino Amarillo. Cinque mesi e una sola sconfitta dopo – il Villarreal, dopo il cappotto contro la seconda squadra delle merengues, perderà solo a maggio contro l’Elche –, Marcelino e i suoi ragazzi festeggiano il ritorno nella Liga. Niente male, davvero. Soprattutto all’indomani della fuga post-retrocessione, che ha portato via dal Madrigal, in una volta sola, Diego López, Gonzalo Rodríguez, Nilmar, Borja Valero, Giuseppe Rossi e Marco Ruben.

La festa promozione del Villarreal

Oggi, due anni e mezzo dopo, Marcelino e il Villarreal stanno ancora costruendo insieme la loro grande occasione. Sono quarti con un buon margine di vantaggio sul Siviglia quinto (otto punti), e con soli 5 punti in meno del Real Madrid, nonostante l’organico del Villarreal costi 61 milioni l’anno e quello del Real 431. E nonostante una nuova rivoluzione estiva, figlia di un mercato pensato sulla inevitabile cessione di Luciano Vietto, finito all’Atlético Madrid per venti milioni. Insieme all’argentino, sono andati via Giovani dos Santos, Javier Aquino, Ikechukwu Uche e Gerard Moreno. Per sostituirli, il presidente Roig e Marcelino hanno deciso di puntare su un mix tra usato sicuro e giovani da (ri)lanciare: ecco allora il ritorno in Spagna di Roberto Soldado, l’arrivo dal Malaga di Samuel e Samu Castillejo, quello dal Bursaspor di Bakambu e i prestiti di Adrián López, Denis Suárez e Areola. Dall’Atlético, sempre in prestito, è arrivato infine Léo Baptistão, attaccante reduce da quindici gol in quattro anni di Liga a singhiozzo.

Chi ha giocato al Madrigal è andato via migliore di quando c’è arrivato

Il brasiliano di proprietà dei colchoneros è un po’ il giocatore simbolo della politica di mercato del Villarreal, un club per cui lo stravolgimento nel mercato estivo rappresenta una specie di regola non scritta. Sin dai primissimi approcci con la Liga, il patron Roig – che Forbes mette al ventesimo posto nella graduatoria dei più ricchi di Spagna – ha trasformato il club in una specie di officina per calciatori, che genera e rigenera campioni senza soluzione di continuità. Chi ha giocato al Madrigal è andato via migliore di quando c’è arrivato. La differenza tra oggi e i tempi di Riquelme, Forlán, Nilmar o Pepito Rossi, ma anche di Reina, Cáceres o Borja Valero, è stata proprio la retrocessione del 2012. Prima, Roig faceva lavorare la sua officina con la logica della compravendita: dentro calciatori giovani o meno giovani da inventare come campioni, fuori prodotti finiti pronti per le grandi ribalte. Ovviamente, tutto questo aveva due costi diversi tra loro: uno iniziale per il Villarreal e un altro, molto più alto, per il nuovo acquirente. La crisi e l’estate della retrocessione abbattono un anno di investimenti in entrata e svuotano di colpo gli slot dei campioni da creare e rivendere. O meglio, costringono Roig a svuotare quegli slot a prezzi un po’ più competitivi. Da allora, la sua ossessione è l’equilibrio economico. Mai più capitomboli come quello del 2012. Oggi, il Villarreal si prende dei rischi calcolati. La nuova logica preponderante è il leasing, il prestito. Per le ultime tre stagioni di Liga, Roig e Marcelino hanno acquistato sette calciatori con questa formula. Alcuni sono rimasti al Madrigal a prezzo di costo (Victor Ruiz e Asenjo), altri sono tornati a casa con un nuovo, grande valore di mercato (Óliver Torres, Cheryshev), come nuove stelle riconosciute del pallone.

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Anche gli acquisti “veri” seguono l’iter della valorizzazione, ma rispetto al passato i prezzi sono molto più contenuti. Il più grande investimento degli ultimi tre anni è stato Roberto Soldado, riportato qualche mese fa in Spagna per sedici milioni di euro. Una buona cifra, figlia però della cessione di Vietto. La seconda spesa più alta è stata quella per i “Samus” del Malaga, Samuel e Samu Castillejo. Sedici milioni per entrambi, con la virtuale certezza di poter rientrare dall’investimento nel breve volgere di una o due stagioni ad alto livello, nella Liga e in Europa. Sì, perché questa nuova politica avrà anche il sapore del ridimensionamento, ma intanto ha condotto il club a due qualificazioni consecutive all’Europa League. E a far riaprire di nuovo, alla grande, l’officina del Madrigal. Altri calciatori in prestito vengono da squadre come Psg (Areola), Barcellona (Suarez), Benfica (Adrian Lopez). Questi due indizi dicono tanto sull’efficacia di questa nuova strategia e sulla qualità dello scouting del Submarino Amarillo. Roig, in un’intervista dell’anno scorso, si è sbilanciato: «Torneremo a competere di nuovo con le migliori». Detto, fatto. Il merito, ovviamente, è anche di Marcelino, un allenatore in grado di tirare fuori il meglio da una squadra sulla carta inferiore ai mostri sacri Barça e Real, ma anche ad Atlético Madrid, Valencia e Siviglia, e capace di mettere in fila cinque vittorie consecutive a inizio stagione e sei di fila tra dicembre e gennaio.

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C’è di più oltre i risultati: questo Villarreal gioca un bel calcio. Del resto, non molti anni fa Marcelino veniva definito come “un tecnico audace” e spiegava così la sua filosofia: «Secondo me è necessario che le piccole squadre non puntino solo a difendersi, altrimenti tutto si riduce ad un discorso di individualità. Per me è più importante la squadra, il lavoro condiviso. Se la mia squadra perde la palla, tutti devono precipitarsi a recuperarla. E deve succedere la stessa cosa quando siamo in attacco: undici calciatori devono partecipare alla fase offensiva». Tatticamente, questo manifesto si traduce in un 4-4-2 elettrico, frenetico, verticale. La palla gira veloce, i giocatori raramente superano i due tocchi e si trovano a memoria. Il tutto viene retto da due centri di gravità assoluti. Uno è Roberto Soldado: centravanti vero, ma anche regista offensivo in grado di gestire l’azione e anticipare la giocata mentre tutti gli altri vanno a mille all’ora. Il secondo è invece la grande sensazione di questa stagione, Manu Trigueros. Sensazione, non sorpresa. Perché questo ragazzo, classe ’91, è già alla quarta stagione da cervello del Submarino. Ha iniziato nell’anno della promozione, si è confermato al piano di sopra e ora sta pian piano alzando lo standard del rendimento a livelli d’eccellenza. Per Marcelino è praticamente insostituibile, e lo testimoniano le 50 partite totali dell’ultima stagione e le 68 su 76 delle ultime due edizioni della Liga.

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Il pilastro carismatico della squadra, una figura necessaria data l’età media tendente verso il basso (24,6 quella dell’undici titolare contro l’Atlético, 26,2 quella dell’intera rosa), è il capitano storico Bruno Soriano. Uno da 328 partite con la maglia del Villarreal in dieci anni. Uno che ha esordito con la prima squadra pochi mesi dopo il rigore fallito da Riquelme nella semifinale di ritorno di Champions League. Era il 2006, e il Villarreal sfiorò l’accesso alla finale di Parigi poi vinta dal Barcellona contro l’Arsenal. Il ciclo di quella squadra durò ancora fino alla retrocessione del 2012: in mezzo, il secondo posto del 2008, due partecipazioni alla Champions League e un’altra semifinale europea, persa contro il Porto di Villas-Boas nel 2011. Soriano ha vissuto da dentro tutto questo. Ha giocato con Forlán, Cazorla, Godín. Ha conosciuto il grande Villarreal, l’officina che ha generato e rigenerato un bel gruppo di campioni. Poi ha visto la crisi, il ridimensionamento, l’officina che cambia e diventa una succursale dei grandi club, un parcheggio sicuro dove far crescere, in leasing, i campioni di domani. Soprattutto quelli degli altri. Ma non aveva mai visto il Villarreal arrivare lassù, in cima, a guardare tutti dall’alto in basso. Forse non durerà moltissimo. Di sicuro, però, lui e la sua squadra si sono meritati questo sfizio.

 

Nell’immagine in evidenza, tifosi del Villarreal affollano le tribune del Madrigal. Manuel Queimadelos Alonso/Getty Images