L’ultimo Ibra a Parigi

Ha fatto vincere il PSG, ha reso famosa la Ligue1 nel mondo. Ora, però, Ibrahimovic è invecchiato. Cosa rimarrà di lui a Parigi?

Quando Zlatan Ibrahimovic firmò col Paris Saint-Germain nel 2012, gli chiesero se conoscesse la Ligue 1. «Non conosco la Ligue 1», rispose, «ma la Ligue 1 conosce me». Tre anni dopo, si potrebbe andare ancora oltre e dire: la Francia non ha mai visto nessuno come lui. Zlatan ha fatto più di chiunque altro per trasformare il Psg in uno dei club europei più credibili.

Eppure, per lui potrebbe essere tempo di lasciare. Vivo a Parigi, spesso prendo la metro attraverso la città fino al Parco dei Principi e, specialmente quando il Psg gioca contro le grandi squadre, ho notato che Zlatan dimostra sempre più i suoi 33 anni. Ho sentito Arsène Wenger parlare del dominio di Zlatan sullo spogliatoio parigino come un potenziale “handicap”. Forse dovrebbe lasciare la città quest’estate ed essere ricordato come la più grande leggenda di sempre del club, piuttosto che offrirci un’ultima stagione in fase calante.

Ha continuato a trattare Parigi con l’aria di sufficienza che di solito la città riserva al resto del mondo

Quando i qatarioti comprarono il Psg nel 2011, non erano sicuri che perfino tutti i loro soldi potessero risollevare questa squadra – con pochissima storia, che giocava in un campionato di seconda fascia – fino a raggiungere l’élite europea. Nell’estate del 2012 i qatarioti furono felicissimi, e probabilmente un po’ sorpresi, di strappare Zlatan al Milan.

Marco Verratti di recente ha raccontato il suo primo incontro con lo svedese. Il giorno in cui arrivò a Parigi, furono entrambi presentati ai media. Ibra non aveva mai sentito parlare di Verratti. L’italiano si presentò per primo sul palco, in una specie di “primo atto” di riscaldamento. Quando uscì dalla conferenza stampa, lo svedese, che stava aspettando il suo turno, disse: «Ah, sei tu il ragazzino che mi ha fatto perdere tempo?» Era uno scherzo, più o meno. Zlatan è arrivato con l’atteggiamento di uno che, parcheggiandosi qui, stava facendo un favore al club e alla Francia. Ha continuato a trattare Parigi con l’aria di sufficienza che di solito la città riserva al resto del mondo. Imparare il francese non era contemplato. Troppo cheap. E coerentemente, l’invettiva post partita contro un arbitro nel marzo scorso, sulla Francia che era un «Paese di merda» che nemmeno si «meritava il Psg», era tutta in inglese.

Tutti i 30 gol (in 34 partite) della prima stagione parigina, la 2012/13

Ma quest’aria sprezzante era giustificata. Il Psg che si era trovato di fronte non era al suo livello. Quando è arrivato, l’allenatore era Carlo Ancelotti. Nel dicembre 2013, quando era già al Real Madrid, mi disse: «Al Psg devi costruire tutto a partire da un livello basso, molto basso». La sua squadra, spiegò, era stata divisa in fazioni etniche: «Avevamo i sudamericani, i francesi, gli italiani. I rapporti non erano semplici. I giocatori non erano abituati ad avere una mentalità vincente».  I calciatori si aspettavano di lasciare il centro di allenamento per l’una di pomeriggio, subito dopo la sessione del mattino: «Cambiare tutto questo non è stato semplice. È stato importante avere Ibrahimovic, il giocatore migliore e, allo stesso tempo, il più professionale. È stato un modello per gli altri durante gli allenamenti, perché si concentrava in ogni momento».

Zlatan ha dato al Psg professionalità, gol e tre scudetti francesi di fila. Ma gli ha anche dato un nuovo status globale. All’improvviso un club francese schiera un giocatore che non è soltanto grande, ma unico (nessuno fa gol con mosse di karate) e molto più interessante, come persona, di Messi o Cristiano. La sua meravigliosa autobiografia, Io, Ibra, ha vinto un importante premio letterario svedese ed è diventata un classico calcistico di culto. Mentre la maggior parte dei calciatori parla usando luoghi comuni, Zlatan ricorre a un gergo della strada, tamarro, a volte volgare, ma pieno di arguzie. L’ha preso in prestito dal suo eroe, Mohammed Ali. La gente in tutto il mondo si occupa di Zlatan e così, ora, si occupa un po’ anche del Psg.

«Quelle but!» Lo scorpione contro il Bastia, giornata 10, stagione 2013/14, la più prolifica della sua carriera

Il nuovo club franco-qatariota voleva giocare coi più forti d’Europa. E per molti giocatori del Psg questa era una nuova esperienza. In questo, la grande sicurezza di Zlatan e il suo credere in se stesso più che in ogni altra cosa sono stati stati senza prezzo. A marzo ho partecipato a una intervista Tv che Wenger ha dato al conduttore Darren Tulett per il canale BeIN Sport. «In una grande squadra», ha detto Wenger, «prima di una partita importante devi sederti nello spogliatoio e hai bisogno di qualcuno a cui affidarti e pensare “Ok, anche se non va tutto bene, lui può farcela”. Come era Zidane nella nazionale francese a cavallo tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei 2000. Può giocare male, fare una pessima partita, ma poi ti segna tre gol. È quello che succede con questo genere di ragazzi: sono decisivi».

Eppure una figura come Zlatan può essere una presenza opprimente. Si aggira per il campo con lo sguardo accigliato, come un peso massimo che guarda allenarsi i pesi piuma, rimproverando qualunque compagno che faccia qualcosa di stupido (il povero Javier Pastore è spesso una vittima). Gregory Van der Wiel, il terzino destro del Psg, dice che se crossa con un attimo di ritardo, Zlatan glielo fa notare subito.

Verratti, alla domanda se sia difficile guadagnare la fiducia di Zlatan, risponde: «No, devi solo passargli la palla e va tutto bene. Ogni volta che mi grida e si sbraccia, io sento ciò che mi sta dicendo, senza preoccuparmi della forma. Zlatan dà molti consigli e non parla mai senza motivo. Mentalmente, ti obbliga sempre a essere al massimo».

Wenger però è più critico. «Sembra che la sua leadership sia fuori questione. E qualche volta io credo che un carattere così forte possa nuocere all’espressione delle qualità degli altri giocatori. Il suo dominio del team è forte a tal punto da rischiare di diventare un handicap. Quando un giocatore diventa molto, molto forte c’è sempre quel problema». Qui Wenger stava probabilmente pensando a Thierry Henry, che nei suoi ultimi anni all’Arsenal tendeva a soffocare i giocatori più giovani, come Van Persie.

Poiché il gioco del Psg passa attraverso Zlatan al centro e in attacco, le altre punte della squadra giocano interamente al suo servizio, ai margini dell’attacco. Wenger dice: «Cavani per me è un attaccante centrale, non un’ala. Soffre un po’ del fatto di stare in una posizione non del tutto naturale per lui». Perfino l’allenatore del Psg Laurent Blanc sembra sopraffatto da Zlatan. Pochi altri calciatori hanno il permesso come lui di fare pause occasionali a metà stagione per andare a cacciare cervi o fare tour in motoslitta in Svezia.

Fino a che Zlatan ottiene risultati, il suo status privilegiato all’interno del club è sicuro. E, contro avversari minori, dà ancora risultati: la sua doppietta nella finale della Coppa di Francia contro il Bastia il 16 aprile scorso ha completato una serie di tredici gol in sette partite per Svezia e Psg. Al 16 maggio ha segnato 106 gol per il Paris in meno di tre stagioni; solo tre gol in meno rispetto al più grande cannoniere della storia del club, il portoghese Pauleta (superato poi il 4 ottobre, ndr).

OMG, il missile contro l’Anderlecht nel 2013

Ma contro le squadre migliori del mondo, Zlatan non sembra più un fuoriclasse. Il Psg ha sconfitto il Chelsea nel secondo girone di Champions League, ma l’allenatore del Chelsea José Mourinho (un amico e un eroe per Zlatan) ha mostrato ancora una volta come annientare lo svedese: difesa altissima per tenerlo lontano dalla tua area di rigore. Quando Zlatan è bloccato vicino alla linea di metà campo, non ha più l’accelerazione per liberarsi e creare problemi. In otto partite contro le squadre di Mourinho, non ha mai segnato. In 35 partite nei gironi eliminatori della Champions League ha fatto solo sette gol.

L’età e gli infortuni recenti sembrano averlo prosciugato. Sta diventando soltanto un bomber, più che un giocatore totale come era in passato. I data analyst di Opta mi hanno fornito delle statistiche che mostrano come, mentre il tiro di Zlatan è diventato sempre più preciso nel corso degli anni, lui è sempre meno centrale nella circolazione della palla del Psg. Per la stagione attuale, fino al 10 aprile la sua media era di soli 0,14 assist a partita, meno della metà che nelle due stagioni precedenti. Ha anche completato meno passaggi nell’ultimo terzo di campo. E sta diventando più statico e centrale: mentre nelle due stagioni precedenti aveva una media combinata di 1,3 cross a partita, quest’anno era solo di 0,4.

Mentre il suo tiro è diventato sempre più preciso nel corso degli anni, lui è sempre meno centrale nella circolazione della palla

Zlatan sa che la fine è vicina. «Ho un contratto fino al 2016» ha detto. «Avrò 34 anni la prossima stagione e dopo non mi vedo ancora continuare a giocare ai massimi livelli». La questione è in realtà se riuscirà a fare ancora un’altra stagione al Psg. Il giornale svedese Aftonbladet ha rivelato che all’inizio di aprile ha chiesto un visto di lungo periodo per l’America. Potrebbe profilarsi sullo sfondo la Major League Soccer. E dopo lo aspetta una mezz’età a caccia, sull’isola al largo di Stoccolma che si è comprato per il suo ritiro.

Il presidente del Psg Nasser El-Khelaifi ha ammesso di pensare «ogni sera» al post Ibra. Parigi potrebbe non riuscire mai a sostituire Zlatan. Di sicuro non lo dimenticherà mai.

 

Nell’immagine, Ibra prima di Psg-Bayer, Champions League 2013/14 (Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)