Capitoli di un Mondiale

In attesa della finale tra Nuova Zelanda e Australia, numeri, mete e sogni di un'edizione ricca di record, tra conferme e cadute illustri.

Manca solo l’ultimo atto, la sfida tra gli All Blacks e l’Australia, per mettere la parola fine a questa Coppa del Mondo di rugby, un’edizione ricca di record e che verrà ricordata a lungo. Al di là di chi alzerà il trofeo, si possono già tirare le somme e dare i numeri.

Il solito Emisfero Sud.

Comunque andrà sabato, il vincitore alzerà per la terza volta la Coppa del Mondo e in finale ci saranno due squadre che, in otto edizioni, hanno vinto cinque volte. Se si aggiungono i due successi del Sud Africa, la cui corsa questa volta si è fermata in semifinale, si vede come nella top 4 di questa Rugby World Cup sono arrivate le squadre che hanno vinto sei Mondiali su sette, che diventeranno sette su otto sabato sera. Unica assente l’Inghilterra, che ha pagato scelte politiche suicide e un girone della morte, che avrebbe comunque escluso una delle nazionali più forti al mondo. E, così, l’unica sorpresa — se così può venir definita — è l’Argentina, che ha conquistato la sua seconda semifinale e che è l’unica che a non aver mai vinto. Ma dal 2007, quando davvero hanno sorpreso il mondo, i Pumas sono cresciuti tantissimo e l’ingresso nel Rugby Championship li ha messi ufficialmente tra le Nazioni regine della palla ovale. Insomma, un Mondiale spettacolare, dominato dall’Emisfero Sud, senza sorprese.

La semifinale tra Australia e Argentina.

La caduta delle Sei Nazioni.

Chi è uscito con un pugno di mosche da questo Mondiale è il Sei Nazioni, che per la prima volta nella storia non ha portato neppure una squadra in semifinale. Ma, anche qui, le sorprese sono ridotte al minimo. Ai quarti di finale, infatti, sono arrivate le quattro squadre della Rugby Championship e quattro squadre del Sei Nazioni. Nessuno spazio per gli outsider, ma soprattutto — con l’eccezione dell’Inghilterra, sostituita virtualmente dalla Scozia — ai quarti di finale sono arrivate quelle squadre che negli ultimi anni hanno dominato il torneo continentale. Togliendo la vittoria inglese del 2011, infatti, dal 2004 a oggi in testa al Sei Nazioni sono state Francia, Galles e Irlanda, cioè tre delle quattro europee arrivate ai quarti. Niente sorprese: la rabbia di Galles e Scozia per essere arrivate a un passo dalla vittoria su Sud Africa e Australia, ma la consapevolezza che il gap con l’Emisfero Sud sta crescendo.

South Africa v New Zealand - Semi Final: Rugby World Cup 2015

Effetto Giappone.

La Coppa del Mondo 2015 verrà ricordata anche come l’edizione che ha lanciato il Giappone nell’Olimpo ovale. La vittoria all’esordio contro il Sud Africa è probabilmente il risultato più sorprendente nella storia del torneo, con i successi su USA e Samoa a confermare il bellissimo lavoro fatto in questi ultimi anni. Se la stanchezza non avesse tagliato le gambe ad Ayumu Goromaru e compagni nel secondo tempo contro la Scozia, i quarti di finale sarebbero probabilmente arrivati. Ma il Giappone può vantare il (triste) record di aver mancato il passaggio del turno nonostante tre vittorie e una sola sconfitta. Assieme alla Georgia — seppur in misura decisamente minore — i giapponesi sono stati la sorpresa più bella di questo Mondiale, dando la speranza che, in futuro, l’élite ovale possa allargarsi anche al di fuori dei soliti noti.

L’ultimo folle minuto di Giappone-Sud Africa.

Drammi all’inglese.

Se il Giappone è stato l’acuto che non ti aspetti, l’Inghilterra è stata la nota stonata che sorprende. Mai nella storia della Rugby World Cup la nazione ospitante era stata eliminata nella fase a gironi e l’essere stata inserita in quello che verrà ricordato come “girone della morte” in compagnia di Galles e Australia non può bastare a giustificare il flop. Un Mondiale preparato per quattro anni — sacrificando anche i Sei Nazioni pur di costruire una squadra vincente — cancellato in centosessanta minuti, ma soprattutto da due o tre decisioni sbagliate. In campo, la prima, quella del capitano Chris Robshaw di andare in touche per cercare la meta della vittoria contro il Galles, invece di piazzare una punizione facile che avrebbe dato all’Inghilterra il pareggio. Un pareggio che, guardando la classifica finale, avrebbe significato i quarti di finale. Poi c’è stata l’ammonizione folle del mediano d’apertura Owen Farrell nel finale della partita con l’Australia, quando l’Inghilterra era in rimonta, che ha tagliato le gambe ai britannici e che ha sancito la loro eliminazione. Ma soprattutto, a pesare è stata la politica federale e dell’allenatore Stuart Lancaster di escludere dai convocati i giocatori che giocano all’estero. La terza linea Steffon Armitage, che gioca a Tolone, sarebbe stata fondamentale nei punti di incontro dominati dall’Australia, mentre Nick Abendanon, estremo del Clermont, arrivava da un anno perfetto ed era molto più in forma di Mike Brown, una delle cocenti delusioni mondiali. Pochi errori, ma che hanno fatto la differenza tra un trionfo e un disastro.

Il disastro Inghilterra passa anche dal brutto ko contro il Galles.

Una finale mai vista.

Ritorniamo al futuro e guardiamo alla finale che si giocherà a Twickenham tra All Blacks e Wallabies. Sarà una finale mai vista, perché nonostante i quattro successi in sette edizioni e le sei presenze di Nuova Zelanda e Australia in finale, le due squadre non si sono mai affrontate nell’ultimo atto iridato. Solo nel 2007 (Sud Africa-Inghilterra) le due dominatrici del mondo non avevano mai visto una finale, ma quella di quest’anno è una situazione inedita. Sono, invece, tre i precedenti nella fase a eliminazione diretta tra All Blacks e Wallabies, con l’Australia che ha vinto nel 1999 e nel 2003, mentre la Nuova Zelanda si è imposta quattro anni fa. Nella storia, invece, All Blacks e Wallabies si sono incontrati centocinquantaquattro volte (sarebbero centosettantotto, ma tra il 1915 e il 1928 la Nuova Zelanda schierò il New Zealand XV, formazione non ufficiale), con uno score implacabilmente a favore della Nuova Zelanda. Quarantadue (quarantotto) le vittorie dell’Australia, sette i pareggi e centocinque (centoventitré) i successi degli All Blacks. Insomma, quella di sabato non sarà solo una finale, ma sarà un derby tra due nazioni che si conoscono benissimo e che si sfidano dal lontano 1903.

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Numeri.

Lo sport è passione, vittorie, agonismo, battaglia, tecnica, tattica. Ma anche numeri. Quelli che ogni torneo lascia dietro di sé. Questa Coppa del Mondo non fa eccezione— in attesa di aggiornarli dopo la finalissima. Sono stati 2.341.755 gli spettatori che hanno riempito gli stadi, 263 le mete, 188 le conversioni, 6 i drop e 214 le punizioni messe a segno, per un totale di 2.351 punti segnati — una media di 51 punti nei 46 match giocati fino a ora. Guardando ai singoli, invece, sugli scudi finiscono l’ala neozelandese Julian Savea, metaman con otto mete e che contro l’Australia cercherà di superare i record di Jonah Lomu e Bryan Habana come miglior marcatori in una edizione mondiale. Anche l’australiano Drew Mitchell sogna di segnare in finale per raggiungere (ora è a quota 14) Lomu e Habana (fermi a 15). E se Savea ha segnato più mete, il mediano d’apertura argentino Nicolas Sanchez ha messo a segno più punti, raggiungendo quota 89. In touche attenti all’All’Black Kieran Read, che ha rubato 6 rimesse laterali, mentre l’inglese Anthony Watson è impossibile da placcare, con 11 break conclusi palla in mano. Il seconda linea sudafricano Lodewyk “Lood” de Jager, invece, è il miglior placcatore, con 74 tackle riusciti. Infine, l’Arsenio Lupin iridato è, ma era facile immaginarlo anche senza leggere le statistiche, il flanker australiano David Pocock, che fino a ora ha rubato ben 14 palloni scavando nei punti di incontro.

Le top 5 mete del Mondiale.

Delusioni in maglia azzurra.

L’Italia ai Mondiali ha segnato una media di 18,5 punti, segnato 7 mete, con il mediano d’apertura Tommaso Allan miglior marcatore con 44 punti. Mediamente ha fatto 142 placcaggi, sbagliandone 20. La Coppa del Mondo è finita presto per Sergio Parisse e compagni, che hanno portato a casa due vittorie e due sconfitte. Il minimo sindacale, come detto da più parti, con i successi su Canada e Romania che erano scontati, ma che hanno visto gli azzurri soffrire e rischiare davvero troppo con i nordamericani, mentre l’ottima prova contro i romeni è stata rovinata da un finale pessimo. Poi c’è stata la netta sconfitta con la Francia, con l’Italia mai in partita. Doveva essere il match che avrebbe fatto da spartiacque tra un torneo positivo e uno negativo, è stato quello del naufragio. Infine, con l’Irlanda gli azzurri se la sono giocata fino all’ultimo con un moto d’orgoglio importante, ma in un torneo che ormai — per la spietatezza della matematica — era andato. Dopo quindici anni di Sei Nazioni ci si deve e ci si doveva aspettare due vittorie più nette e tranquille con gli underdog Canada e Romania, mentre solo due anni fa gli azzurri nel Sei Nazioni battevano Francia e Irlanda. Questa volta hanno sognato solo con i verdi, uscendo senza scampo dalla sfida con i transalpini. Un giudizio conclusivo sulla Coppa del Mondo azzurra? Rubiamo le parole al mediano di mischia Edoardo “Ugo” Gori, sicuramente uno dei migliori in campo e nuovo leader della squadra: «Un fallimento».

 

Nell’immagine in evidenza, Rob Simmons dell’Australia si invola verso la meta, nella semifinale contro l’Argentina. Mike Hewitt/Getty Images