Sir Alex Rosenborg

A Trondheim, ancora oggi, i successi sono basati sulla filosofia di Nils Arne Eggen, l'alter ego norvegese di Ferguson, allenatore dei bianconeri per sei volte tra il 1971 e il 2010.

Nella mitologia norrena il troll è una creatura umanoide di aspetto irsuto e modi rozzi che vive nelle foreste del Nord Europa. È sostanzialmente benevolo, ma ama sollazzarsi tirando qualche piccolo scherzo agli esseri umani, senza alcun distinguo per genere, censo o fama. Troillongan in norvegese significa “bambini dei troll”.

Nell’era moderna, questi bambini indossano calzettoni bianchi, pantaloncini neri e una maglia bianca con una piccola scritta in alto a sinistra che recita RBK, acronimo di Rosenborg Ballklub, ovvero la società calcistica più famosa e titolata dell’intera Norvegia. Di casa a Trondheim, nel loro periodo più fulgido i Troillongan hanno rinnovato la tradizione di queste creature leggendarie facendo i dispetti ad alcuni potenti d’Europa. Incluso uno dei più grandi di sempre, Arrigo Sacchi. Ma quando il profeta di Fusignano era incappato in questi troll guidati da uno Jötunn (gigante dalla forza sovraumana dalla cui razza hanno avuto origine le citate creature) che rispondeva al nome di Nils Arne Eggen, ne era uscito talmente frastornato da avere difficoltà persino ad articolare una frase grammaticalmente corretta in italiano. «Dobbiamo concentrarci sulla Coppa Italia: non abbiamo rimasto altro». Post partita di Milan-Rosenborg 1-2, sesta giornata del girone D della Champions League 1996/97.

Milan-Rosenborg 1-2.

I rossoneri non erano la prima vittima illustre della squadra di Trondheim, né sarebbero stati l’ultima. Ma il contesto (in campo c’erano Baggio, Maldini, Baresi, Boban, Savicevic), gli sviluppi (il passaggio del turno proprio ai danni del Milan) e le prospettive (prima volta nella storia ai quarti di Champions) hanno posto la partita di Milano un gradino sopra tutte le altre, tanto che nella sua storia del calcio norvegese il giornalista sportivo Oddleiv Moe ha dedicato addirittura un intero capitolo al Mirakelet på San Siro (Il miracolo di San Siro) messo in atto dal futuro pilota di aerei di linea Harald Martin Brattbakk e dall’imprenditore (oggi commercia salmoni) Vegard Heggem. L’artefice di tutto, però, sedeva in panchina.

Il miracolo di San Siro fu messo in atto
da un futuro pilota di aerei di linea
e da un attuale commerciante in salmoni

Non si può comprendere il Rosenborg senza conoscere Nils Arne Eggen. Originario di Orkdal, cittadina che ospita la più antica linea ferroviaria (oggi solo turistica) che funziona ancora con la corrente alternata, insegna calcio dall’età di 30 anni, quando un grave infortunio lo aveva costretto ad un precoce ritiro dall’attività professionistica. Le sue idee tattiche si abbeverano alla fonte del calcio totale di Rinus Michels («Ho fatto mio il suo principio di movimento degli attaccanti, sempre orientato verso la porta, mai – come talvolta accade nel 4-4-2 – verso la bandierina del calcio d’angolo, perché da lì non si segna»), rielaborate però con sano pragmatismo nordico, dal momento che in Norvegia epigoni di Cruijff non se ne sono mai visti.

Eggen è titolare nel Roseborg che nel 1967 vince il primo titolo della sua storia, poi nel ’71 centra l’accoppiata coppa-campionato al suo primo anno da allenatore. Sette stagioni dopo torna a Trondheim per riportare il club nella massima divisione. Nel 1986, dopo una periodo sabbatico nel quale si dedica esclusivamente all’insegnamento, accetta l’offerta del Moss, club di seconda divisione, conquistando la promozione al primo anno e il campionato in quello successivo, per poi rientrare in grande stile al Rosenborg, centrando tra il 1992 e il 2002 dieci vittorie consecutive della Tippeliga (nel ’98 in panchina ci fu il suo assistente Trond Sollied a portare avanti una serie arrivata fino a 13). Nel 2010, infine, il ritorno per la sesta volta sulla panchina dei Troillongan per stabilire un nuovo primato, ovvero vincere il titolo senza perdere un solo incontro.

Video celebrativo del titolo nazionale del 2010.

Eggen appartiene alla vecchia guardia, non teme il rumore dei nemici e se questo aumenta anno dopo anno non è un problema che lo riguarda. Sottopone i suoi uomini a una preparazione atletica che ricorda quella del film Gunny, e la lingua non è meno tagliente del personaggio interpretato da Clint Eastwood. Un giorno, dopo una sconfitta contro il Molde, mentre stringeva la mano in diretta televisiva al tecnico degli avversari, commentava: «Complimenti, giocate un puro calcio di fondoschiena (ma l’espressione era più colorita, nda)». Il termine, rævva-fotball, è diventato di uso comune in Norvegia.

Con un simile curriculum, è scontato che ogni successore di Eggen al Rosenborg si senta come David Moyes al primo giorno di allenamento da tecnico del Manchester United post-Ferguson. Un’ombra che preme, una pressione che schiaccia, e non è un caso che negli ultimi tredici anni siano stati 11 gli allenatori transitati da Trondheim, quando in passato per raggiungere una simile cifra trascorreva in media un quarto di secolo. Hanno perso tutti, anche chi ha vinto. Åge Hareide se ne è andato dopo la doppietta campionato-coppa per allenare la Norvegia, in cerca di un’esperienza meno sfibrante. Ola by Rise è stato licenziato dopo essersi qualificato alla Champions e aver vinto l’ennesimo titolo, arrivato però solo per differenza reti sul Vålerenga grazie a un gol di Frode Johnsen all’ultimo minuto dell’ultima giornata: un sacrilegio per chi era abituato a mettere almeno una decina di punti tra sé e i rivali. Per Joar Hansen è stato incaricato e licenziato due volte.

Il Rosenborg oggi: la festa #1.

Il suo primo sostituto, Per-Mathias Høgmo, si è dimesso a metà stagione per eccesso di stress. Knut Tørum ha fatto cacciare Mourinho dal Chelsea (pari a Stamford Bridge nei gironi di Champions 2007-08) ma un paio di mesi dopo ha seguito il destino del portoghese. Lo svedese Erik Hamrén è stato criticato perché vinceva ma giocava male, l’emergente connazionale Jan Jönsson (un gioiellino il suo Stabæk campione norvegese 2008) invece perdeva giocando bene. Un tourbillon nel quale anche i direttori tecnici saltavano come tappi di champagne, mentre la concorrenza piano piano si rafforzava e riusciva a sfilare con frequenza sempre la corona dal capo dell’antico sovrano. Dal 2010, il Molde di Ole Gunnar Solskjær e Tor Ole Skullerud, e lo Strømsgodset di Ronny Deila, hanno tenuto i troll a digiuno per cinque anni, evento che non si verificava dai primi ’80.

La fame è stata saziata un paio di settimane fa da Kåre Ingebrigtsen, forse il primo allenatore immune dal peso di una tradizione troppo pesante, perché di questa tradizione, o meglio, dell’uomo che ha contribuito a crearla, ne è un’appendice diretta. Ingebrigtsen infatti, oltre a essere stato agli ordini di Eggen in campo per otto stagioni prima di emigrare al Manchester City, è cresciuto sotto l’ala protettiva del tecnico di Orkdal, diventando una sorta di Eggen 2.0 tanto sotto il profilo tattico quanto metodologico. Quella di Ingebrigtsen è una storia che recentemente si ascolta a ogni latitudine, ovvero quella del traghettatore che, a dispetto delle intenzioni iniziali, viene poi confermato alla guida della squadra anche per le stagioni successive.

In carica dal 21 luglio 2014, l’attuale allenatore del Rosenborg avrebbe semplicemente dovuto preparare la strada al settimo ritorno di Eggen, ma nel frattempo l’ormai ultrasettantenne maestro ha subito un trapianto di reni ed è costretto ad una emodialisi quotidiana. Via libera quindi al suo discepolo, che ha confermato il ritorno al marchio di fabbrica dell’età dell’oro, il modulo 4-3-3, già comunque reintrodotto dal predecessore “Perry Hansen”, irrobustito però da una preparazione militaresca, con un aumento di circa il 40% della durata delle sessioni di allenamento e un incremento di esercizi per migliorare capacità tattiche e resistenza dei giocatori.

Alexander Søderlund: tutti i gol del 2015.

Il nuovo corso del Rosenborg è all’insegna del back-to-roots, che significa il ritorno a una squadra dalla forte identità locale, con pochissimi stranieri e quasi tutti provenienti da paesi culturalmente affini quali Svezia, Danimarca e Islanda. A metà stagione è stato rispedito a casa il talentino scozzese classe 96 Liam Henderson in quanto, a detta di Eggen, «riusciva a giocare ad alto livello per 10 minuti e questo non è sufficiente per un ragazzo di 19 anni». Il contingente non scandinavo si è così ridotto a zero. Chi simboleggia pienamente lo spirito del nuovo Rosenborg è Alexander Søderlund, attaccante che in carriera ha cambiato 8 maglie in altrettanti anni prima di riuscire a sfondare. In Italia è transitato da Treviso e Lanciano senza mai scendere in campo, e quando l’ha fatto nell’allora Serie C1 con il Lecco gli sfottò hanno sopravanzato gli applausi. In tribuna al Ceppi-Rigamonti si ironizzava su fisico e movenze del biondo di Haugesund, definito un attaccante da gambe sotto il tavolo più che un centravanti di sfondamento. A fine stagione blu-celesti in C2 e Søderlund a casa, nella terza serie norvegese. Quattro anni e mezzo dopo è capocannoniere del campionato (22 gol) e titolare in nazionale.

Il Rosenborg oggi: la festa #2.

Non sarà lui a riportare il Rosenborg ai fasti degli anni 90, né nessun altro degli uomini agli ordini di Ingebrigtsen. È cambiato il Rosenborg, è cambiato il calcio. Lo hanno rubato, ama ripetere Eggen. «È il capitalismo applicato al pallone, e ha rovinato il gioco. Ai grandi non interessa formare i giocatori, si limitano a comprarli, investono milioni su milioni anche per giocatori mediocri. Una gigantesca idiozia. Mi piace il calcio quando è coniugato con il verbo costruire».