Rivelazioni

Sei nomi non convenzionali da quattro grandi campionati europei: i calciatori più sorprendenti di questa prima parte di stagione.

Rivelazioni

Sergi Roberto Carnicer, aspirante dopo-Xavi o dopo-Iniesta, è arrivato al Barcellona grazie a un fax. La vicenda è singolare: il giovanissimo Sergi è la stella assoluta delle giovanili del Gimnàstic di Tarragona, e viene messo nel mirino dagli scout delle due grandi di Spagna. La prima richiesta al Nàstic arriva dal Real Madrid, il giorno dopo ecco un’offerta del Barça, appunto via fax. Per la famiglia Carnicer, culé da generazioni, non c’è alcun dubbio sulla scelta. Il percorso di Sergi Roberto nella Masia è segnato dal suo incontro con Luis Enrique, che lo allena nel Barcellona B dal 2009 al 2011. Il tecnico asturiano stravede per lui, lo schiera da titolare e ne intuisce le qualità da calciatore universale, roba che gli torna in mente quando torna alla base ed eredita la panchina del Tata Martino. Con Lucho, Sergi raddoppia il suo minutaggio in campo, diventa un elemento importante nel turnover del Barça, e, soprattutto, si ritrova a seguire le orme del suo allenatore, trasformandosi in terzino destro. In blaugrana può succedere, pure se ti senti un centrocampista d’attacco. La pensa così lo stesso Sergi: «Volevo giocare, e alla fine mi sono adattato al nuovo ruolo che Luis Enrique aveva in mente per me. Ho sempre agito da mezzala con compiti offensivi, mi sono ritrovato esterno basso senza avere il tempo di studiare i movimenti. Oggi, però, sento di aver interpretato bene questa posizione e le indicazioni del mister, anche perché i terzini del Barcellona attaccano e si muovono parecchio con e senza palla».

Sergi Roberto, nonostante vaghi tra il suo ruolo naturale e quello di difensore destro, non dimentica la sua prima vocazione. Si capisce bene dal match contro il Getafe (video in basso con super assist per Suarez), il primo dopo un infortunio, e dalle statistiche di questa sua prima stagione da titolare: 50 passaggi corti di media a partita con accuracy dell’88%, un gol in Champions League e tre assist decisivi. A corredo del tutto, l’investitura di Del Bosque, ct della Spagna: «Lo stiamo seguendo, potrebbe anche essere convocato per gli Europei del prossimo giugno».

Sergi Roberto è quello che fa il colpo di tacco.

Enganche è una filosofia di vita, un modo di essere. Per Wikipedia, es posiblemente la posición más importante del fútbol moderno. In Argentina, poi, questo ruolo è una specie di investitura religiosa destinata a pochi eletti. Manuel Lanzini, ituzainguense del West Ham, appartiene a questo gruppo, ma con regole tutte sue. El Clarin, già nel giugno del 2013, sosteneva il fatto che Lanzini fosse un enganche con su fórmula, per la precisione «con gol». A due anni di distanza, l’ex bimbo prodigio del River Plate sembra destinato a reinventare ancora, di nuovo, le regole di questo ruolo, e a trasportarlo sul terreno della praticità. Il fatto che questa riscrittura stia avvenendo sui campi della Premier League è la conferma che serviva, la certificazione definitiva: Manuel Lanzini studia da campione. Non tantissimo tempo fa, il suo manager al West Ham Slaven Bilic disse ai media di volerlo «proteggere durante questo suo primo anno in Inghilterra». Per l’allenatore croato, la stagione in esilio negli Emirati con l’Al Jazira avrebbe potuto rappresentare un handicap non da poco per un calciatore alle prese con i primi approcci di calcio europeo.

Nulla di più sbagliato, per fortuna sua e del West Ham: Lanzini ha avuto un adattamento rapidissimo ai ritmi e allo stile del campionato inglese e ha addirittura migliorato il suo gioco in funzione del lavoro di squadra. Nella sfida vinta contro il Chelsea, l’argentino ha giocato 49 volte il pallone con 28 passaggi riusciti, 7 duelli vinti e 6 palle recuperate. L’enganche con su fórmula secondo Lanzini attacca e difende, insieme, e sempre ad alto rendimento. L’altra caratteristica atipica riguarda la posizione in campo, mai fissa: Lanzini, contro i Blues, ha agito lungo tutta la fascia sinistra, mentre nel match di Upton Park con l’Everton ha svariato in zona centrale senza offrire un reale punto di riferimento. Nel video sotto, Liverpool-West Ham, lo troviamo praticamente sempre a destra, e lo vediamo anche segnare. Il West Ham vincerà 2-1, ed è la prima affermazione degli Hammers ad Anfield dal 1963. Per cancellare cinquantadue anni bastava Lanzini, un Enganche. Sì, però solo a modo suo.

Manuel Lanzini contro il Liverpool. In 16:9, col cursore Playstation e la musica Blues.

Sebastien Haller è un calciatore perfettamente calato nella sua epoca: attivissimo sui social (Facebook, Twitter, Instagram) e deciso nel compiere una scelta, quella di rilanciarsi con un prestito in Olanda, che possiamo enfaticamente definire come non convenzionale, cosmopolita e, appunto, moderna. In realtà, Haller ha semplicemente fatto la scelta giusta, e lo dicono i numeri: dieci mesi all’Utrecht, 29 presenze e 19 gol. Niente male, soprattutto per uno che in due stagioni e mezzo di Ligue 2, con la maglia dell’Auxerre, aveva messo insieme otto reti in 57 partite. L’esperienza in Olanda ha rilanciato anche la sua carriera con la France Espoirs, che in italiano vuol dire Francia “speranze” e che è il modo romantico con cui i francesi identificano, anche ufficialmente, la nazionale Under 21: Haller aveva esordito (con gol) nel novembre del 2013, per poi saltare praticamente tutto il girone di qualificazione all’Europeo 2015. Il trasferimento e il rendimento in Olanda hanno fatto ricredere il ct Pierre Mankowski, che ora lo schiera titolare: quattro gol nelle ultime sette partite, anche se la statistica è un po’ annacquata dalla tripletta realizzata contro l’Estonia a marzo.

Il giovane Sebastien Haller veniva paragonato a David Trezeguet, ma i suoi idoli erano Didier Drogba e Titì Henry. Fatte le dovute proporzioni, il Sebastien Haller di oggi mette insieme le qualità dell’ex Juventus e una spruzzata degli altri due: senso del gol e capacità di attaccare in verticale la difesa restano le skills di riferimento, ma non manca la propensione al lavoro tipico dell’attaccante moderno, che tiene bene palla, fa salire la squadra e premia gli inserimenti altrui. Per il futuro già si parla di Inghilterra, per la precisione di Aston Villa, ma intanto il Galgenwaard Stadion lo coccola come un vero e proprio idolo, tanto da consegnargli già nello scorso maggio, a soli cinque mesi dal suo arrivo, il David Di Tommaso Trophy, trofeo di Calciatore dell’anno per i tifosi dell’Utrecht.

Sebastien Haller con la maglia dell’Utrecht.

A inizio stagione, Jaume Domenech era il terzo portiere del Valencia dopo l’australiano Matthew Ryan, acquistato dal Bruges per 7 milioni di euro, e l’istituzione Diego Alves. Oggi, Jaume è il secondo miglior portiere della Liga per il rapporto tra tiri subiti e parate effettuate (84,6%), dietro al solo Keylor Navas. Una bella storia, cominciata con gli infortuni dei due numeri uno che lo precedevano nelle gerarchie e proseguita poi con le grandi prestazioni di questo venticinquenne cresciuto nel vivaio dei Taronges. Al momento, Ryan e Diego Alves sono ancora indisponibili, ma la sensazione comune è che la porta del Valencia abbia trovato un nuovo padrone. Jaume, a sua volta, ha già detto di non voler più mollare il posto che si è conquistato: «Sono arrivato qui grazie al lavoro, e sto continuando a migliorarmi per rimanere titolare anche quando la concorrenza aumenterà».

La prima partita di Jaume da titolare è quella contro lo Sporting Gijón del 12 settembre, ed è un po’ l’anticipazione del rendimento eccellente che mantiene ancora oggi. Il Valencia subisce per tutta la gara, ma il suo portiere è praticamente insuperabile. Al 74esimo il capolavoro definitivo, un’incredibile tripla parata su azione d’angolo dei padroni di casa. Quando blocca finalmente il pallone, Jaume esulta, e lo fa anche alla fine di quel match, vinto grazie a un gol di Paco Alcácer nei minuti finali. Anche oggi, dopo ogni intervento decisivo, Jaume non si contiene. È plateale, sanguigno, trascinante, da buon canterano e tifoso valencianista. L’ha ammesso anche in un’intervista: «Quando ho l’opportunità di giocare sono super-contento. Vivo sempre una grande emozione se indosso la maglia del Valencia». Gli unici non particolarmente felici dell’esplosione di Jaume sembrano essere gli australiani, che si chiedono se il loro connazionale Ryan, una volta rientrato, possa di nuovo riconquistare il posto da titolare. A occhio, l’impresa pare davvero complicata.

Il percorso di Jaume Domenech con il Valencia.

Virgil Van Dijk è arrivato al Southampton a tempo praticamente scaduto. Il suo è stato un trasferimento costoso e perciò molto discusso: i Saints hanno speso 13 milioni di euro, tra l’altro il 1 settembre, e hanno fatto dell’ex di Groningen e Celtic il secondo difensore olandese più costoso della storia dopo Jaap Stam. Una responsabilità niente male, minimizzata dall’interessato («Non mi mette affatto pressione, ero curioso solo perché volevo conoscere la lista di coloro che mi hanno preceduto») e immediatamente stemperata dal suo impatto con il Southampton e l’Inghilterra: sette partite di Premier, due gol e il titolo di giocatore del mese per i tifosi dei biancorossi dell’Hampshire. Oltre a questi ottimi numeri basic e al titolo platonico del St. Mary Stadium, anche le statistiche approfondite raccontano del magic moment di Van Dijk: 2 tackle, 3 palle intercettate e 8 interventi difensivi di media ogni novanta minuti. Una sorpresa, sì, ma non per il manager olandese Ronald Koeman, che dopo l’esordio (con gol) del suo connazionale in Swansea-Southampton già “avvertiva” i media sulle sue qualità e sui suoi margini di miglioramento: «Oggi ha giocato una partita perfetta, si è sentito subito a suo agio con i compagni di reparto. È stata la sua prima partita del suo primo anno in Premier League, non potrà che fare meglio di così».

L’ex difensore e goleador del Barça non ha esagerato: Van Dijk, oggi, è il miglior difensore del campionato di Nicolás Otamendi, Vincent Kompany, Eliaquim Mangala e John Stones. Eppure, parole sue, deve ancora migliorare: «Voglio essere più costante, ridurre al minimo i miei errori». Atteggiamento umile e “giusto”, soprattutto per un ragazzo ancora giovane (25 anni il prossimo luglio) e che a qualcuno qui in Italia ritorna in mente proprio per uno dei suoi momenti di smarrimento: in Inter-Celtic dello scorso anno, Van Dijk si fa espellere per doppia ammonizione al 36esimo del primo tempo. Roba vecchia, lontana dagli attuali, altissimi standard di rendimento con il Southampton. L’approdo in Inghilterra lo ha definitivamente lanciato, gli ha aperto le porte della nazionale olandese, in cui ha esordito lo scorso 10 ottobre, ed ha in qualche modo stimolato il suo lato politically incorrect: in un’intervista, Van Dijk ha dichiarato di «aver imparato più in cinque partite con i Saints che in due anni di Premiership scozzese».

Una videocompilation di gol di Virgil Van Dijk. Che di mestiere fa il difensore centrale.

Yoshinori Muto è uno che preferisce andare piano, che ha scelto di salire un gradino alla volta. Oggi gioca nel Mainz, ma avrebbe potuto finire addirittura al Chelsea. Dice di aver rifiutato un’offerta dei Blues: «Ho preferito non andare a Londra, non mi sono sentito pronto. Voglio crescere gradualmente». Muto è un centravanti, ma è anche dottore in economia presso l’università di Keio. Ha lasciato il Giappone solo dopo la laurea, ma intanto aveva messo a segno 23 gol in 51 partite di J League e aveva stregato i suoi due allenatori al Fc Tokyo, Ranko Popović e Massimo Ficcadenti. Lo slavo, oggi alla guida del Real Saragozza, lo descrive così: «Muto è uno dei calciatori più intelligenti che abbia mai conosciuto. Lui è diverso da tutti gli altri perché viene da una buona famiglia e ha la buona educazione di chi frequenta l’università. Queste sono cose che non si possono insegnare». L’ex tecnico della Reggina, invece, mantiene alta la bandiera dei tatticisti italiani e parla di campo e di gioco, seppur con lo stesso tono entusiastico: «Yoshi mi ha subito impressionato per la forza fuori dal comune. Appena imparerà a stare bene in campo, potrà diventare un grande calciatore». Muto arriva in Germania e conferma ancora la sua dimensione di ragazzo impeccabile fuori dal campo: Tobias Sparwasser, dirigente del Mainz, ha ammesso di non aver mai presentato a stampa e tifosi un calciatore «vestito meglio» nella sua carriera.

Il fatto è che Muto, però, dimostra di saperci fare anche in campo, esattamente come avveniva in Giappone: dodici presenze in Bundes, sei gol e due assist. E poi il giorno della grande impresa, la tripletta nella sfida in casa dell’Augsburg. Tre gol che dicono molto sullo stile di Muto, attaccante essenziale con un gran senso della posizione che studia da centravanti completo. Le prime due reti sono in realtà due tocchi a porta spalancata, due conclusioni facili dopo azioni seguite alla perfezione. Il terzo gol è invece più costruito, meno elementare: stop di sinistro, palla spostata e tiro di destro (deviato) a battere il portiere. Il telecronista inglese del video è evidentemente esaltato dall’hat-trick che sta nascendo sotto i suoi occhi: «This is the moment… Muto is the hero». In assoluto ha un po’ esagerato, ma non per il Giappone: Muto, infatti, è il secondo giocatore nipponico a siglare una tripletta in Bundesliga. Il suo predecessore è Naohiro Takahara nella partita tra Eintracht Francoforte e Alemania Aachen del Dicembre 2006.

La tripletta di Muto contro l’Augsburg.

 

Nell’immagine in testata, Virgil Van Dijk esulta dopo un gol in Southampton-Leicester City del 17 ottobre 2015. (Jordan Mansfield/Getty Images).
Nell’immagine in evidenza, Sergi Roberto con la maglia del Barça durante Siviglia-Barcellona del 3 ottobre 2015. (Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images).