L’identità

Il Clásico è il match tra le due squadre più forti e spettacolari del mondo: come coesistono madridismo e barcelonismo nella sfida più globale del pianeta?

Il 13 ottobre 1999 al Camp Nou si gioca Barcellona-Real Madrid. Il Real, dopo aver vinto le prime due, ha collezionato quattro partite senza vincere. Il Barça ne ha persa una sola e si presenta allo scontro diretto da capolista, con 6 punti di vantaggio. È strafavorito, con van Gaal in panchina ha trovato un mix di equilibrio e bel gioco, alla vigilia si prevede una partita a senso unico. Invece finirà 2-2, una notte resa famosa dal dito sulle labbra di Raúl, che zittisce il Camp Nou dopo aver trovato il gol del pareggio a quattro minuti dallo scadere.

La sintesi di quella partita.

Perché questo Clásico? Perché è l’ultimo giocato al Camp Nou senza Iker Casillas e Xavi in campo. Pensateci: quindici anni, ininterrottamente, con due giocatori sempre presenti, che sono qualcosa in più di due semplici giocatori. Ha un significato più complesso di un Juve-Inter senza Del Piero e Zanetti o un Liverpool-United senza Gerrard e Giggs. Casillas e Xavi erano gli alfieri del madridismo e del barcelonismo, hanno raccolto l’eredità di Raúl e Puyol, che a loro volta erano i discendenti dei vari Hierro, Sanchís, Butragueño da una parte, Guardiola, Bakero dall’altra.

Può sembrare un discorso anacronistico: Madrid-Barça è la partita globale, l’appuntamento universale, come può essere una gara cruciale di un Mondiale o una finale Nba. In campo vanno i migliori al mondo, è un All Star Game del calcio: Ronaldo, Messi, Neymar, Bale, per chi vive il Clásico dall’esterno potrebbero indossare qualsiasi maglia, dell’una o dell’altra squadra, addirittura cambiare spogliatoio da un tempo all’altro. Lo show resterebbe intatto.

Nella partita che ha abbattuto le distanze, sono proprio le distanze a contare maggiormente

Ma in Spagna la percezione cambia. Il Clásico non è Clásico solo perché si sfidano le due superpotenze del calcio spagnolo. Lo è perché si affrontano due realtà diametralmente opposte, da sempre. È uno scontro di valori: nella partita che ha abbattuto le distanze, sono proprio le distanze a contare maggiormente. Castigliano contro catalano, monarchia contro indipendenza, conservatorismo contro progressismo. Solo l’Old Firm, con la contrapposizione nella stessa città di cattolici e protestanti, può vantare un significato simile nella geografia del calcio europeo. Non è un caso che Lorenzo Amoruso sia entrato nella storia di quella partita, in quanto primo capitano cattolico dei Rangers.

L’accoglienza del Camp Nou riservata a Luís Figo nel 2002, tra bottiglie di whisky e teste di maiale.

L’orgoglio di appartenenza, il madridismo e il barcelonismo, e nella stessa misura l’antimadridismo e l’antibarcelonismo, sono segmenti inestinguibili nelle due città. Lo vedi negli stadi, per le strade, parlando con la gente, persino nel risiko della stampa sportiva: Marca e As sono smaccatamente pro Madrid, El Mundo Deportivo e Sport pro Barcellona. Le due società, del resto, hanno una forma di azionariato popolare singolare nel calcio moderno, che rende l’appartenenza ai club fattuale, ancor prima che ideologica.

La realtà del campo, però, difficilmente mette in mostra l’importanza che hanno questi sentimenti nell’economia della costruzione di un dream team. Nel Barcellona la questione è meno netta, per una più spiccata propensione a sovrapporsi a Barcellona città, e quindi a custodire l’idea della catalanità, esemplificata dal “més que un club”. Gli stessi soci blaugrana spesso aderiscono al club per motivi che vanno al di là di quelli prettamente sportivi. Però il tutto si innesta su una situazione preesistente, non è una specifica strategia della società. La stessa cantera ha un concetto di gioco alla base, non sottintende la trasmissione di valori e sentimenti blaugrana, che vadano al di là dell’indossare una maglia di calcio. Anche se Messi è a Barcellona da quando aveva 13 anni, non è certamente il veicolo della catalanità nel mondo.

Real Madrid v Barcelona - Copa del Rey Final

A Madrid, l’arrivo di Florentino Pérez ha accelerato questo processo. I burrascosi addii nel 2003 di Hierro e Del Bosque, madridisti doc, ne è un segnale inequivocabile. Ma anche Pérez ha cercato di rendere questa disgregazione il meno evidente possibile. Lo ha fatto inserendo uomini dal madridismo conclamato nell’organico del club, come Valdano e Butragueño. O anche con risultati disastrosi, come la politica degli “Zidanes y Pavones”: per ogni galáctico, ci doveva essere un canterano in prima squadra, a riprova della volontà di salvare l’immaginario castigliano del club. Fu una catastrofe perché il risultato fu la spaccatura dello spogliatoio: «Non c’era comunicazione tra i compagni», disse poi Zidane.

E sì, c’entra molto la politica nello scontro tra Real Madrid e Barcellona. È risaputo come il Camp Nou sia lo scenario della rivendicazione dell’autonomia catalana, dallo sventolio della estelada al motto “Catalonia is not Spain”, l’immagine visiva più vivida ed efficace delle spinte filoseparatiste. Nel Clásico 2012, al minuto 17 e 14 secondi, i tifosi blaugrana cominciarono a scandire il grido “Independencia, independencia”. Il 1714 è l’anno in cui Barcellona fu conquistata dalle truppe borboniche, con la successiva abolizione dell’ordinamento governativo catalano. È incredibile pensare come la squadra più vincente nel mondo degli ultimi anni mantenga vivo un intreccio calcio-storia-politica unico al mondo. Così come fecero scalpore le posizioni antagoniste di Oleguer, ex difensore del Barça, che rifiutò persino la convocazione con la Nazionale spagnola.

L’urlo “Independencia, independencia” del Camp Nou.

Negli anni della dittatura di Franco, la senyera era proibita, così come era bandito l’utilizzo della lingua catalana. L’opposizione franchista alla Catalogna si allungava, va da sé, anche al calcio: nelle semifinali della Coppa del Generalissimo (come era chiamata allora la Coppa del Re) del 1943, il Barcellona batté il Real all’andata per 3-0. Al ritorno, però, i calciatori blaugrana trovarono un clima ostile, anzi intimidatorio: gli venne fatto capire che quella partita avrebbero dovuto perderla. «Non dimenticate che alcuni di voi hanno la possibilità di giocare grazie alla generosità del regime, che vi ha perdonato nonostante la vostra mancanza di patriottismo», fu detto ai giocatori del Barça. Il Real Madrid vinse 11-1.

Ora, come si coniuga tutto questo con gente come Bale e Neymar, pagata profumatamente dai rispettivi club per fare la cosa che gli riesce meglio, cioè giocare a calcio? Come si combina con il fatto che il Real Madrid ha 87 milioni di like su Facebook e il Barça 91, cioè quasi il doppio della popolazione spagnola? Come si concilia questo con un’audience potenziale da mezzo miliardo di persone in tutto il mondo?

Real Madrid CF v FC Barcelona - La Liga

È evidente che questa partita corra su due binari diversi, incomunicabili. Però non necessariamente uno esclude l’altro: si può diventare globali, e globalizzanti, senza perdere la consapevolezza di essere parte di un gruppo che si poggia su un’identità, ancor prima che sui semplici colori di una maglia. E non si pensi che sia solo la spinta indipendentista del Barcellona a tenere viva questa dicotomia. Ancelotti, poco dopo la vittoria della Champions, ha detto: «El madridismo es una forma de vivir, de sentir». Mourinho, invece, non è stato mai pienamente accettato per i suoi comportamenti, ritenuti troppo distanti dall’ideale di señorio proprio del club. Da mantenere anche in campo: gli episodi di agonismo esasperato, come accaduto in passato a Marcelo e Pepe, vengono puntualmente stigmatizzati.

Resta il fatto che l’assenza di Casillas e Xavi, al di là del loro valore squisitamente tecnico, ha fatto discutere in Spagna, e ancor di più la mancanza di un giocatore che possa definire il ruolo di Casillas o Xavi. Certo, madridismo e barcelonismo sono beni comuni, inestinguibili in quanto patrimonio comune del tifo. Senza il significato che incarnano, Madrid-Barça varrebbe qualcosa in meno.

 

Nell’immagine in evidenza, Gareth Bale e Jordi Alba in Barcellona-Real Madrid dello scorso 22 marzo. David Ramos/Getty Images
Nell’immagine in testata, sciarpe in vendita prima del Clásico. Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images