Non è Siviglia

Tra una Champions vissuta da comparsa e un campionato zoppicante, che succede alla squadra andalusa? E quanto incidono gli errori di Emery?

In estate, a El País, Unai Emery spiegava così la decisione di restare a Siviglia: «Il Siviglia giocherà la Champions. Il Napoli mi aveva offerto un progetto economico importante, ma senza Champions. E anche dal West Ham mi era arrivata una proposta molto importante». Dopo due Europa League vinte di fila, un’esigenza comprensibile, ma anche la consapevolezza di avere tra le mani una squadra già capace di imporsi in Europa. Perché, dunque, non provarci anche in Champions? Non per nulla, il gruppo in cui è finito il Siviglia, con Juventus, Manchester City e Borussia Moenchengladbach, è definito il più interessante della fase a gironi, quello più equilibrato.

Invece il Siviglia in Champions è uscito dai giochi abbastanza presto, e l’unica speranza rimastale, con novanta minuti ancora da giocare, è il terzo posto che vale l’Europa League. Dopo la vittoria al debutto, contro il Borussia, sono arrivate quattro sconfitte, tutte abbastanza nette. Con l’aggravante di troppi gol subiti: fanno undici in quattro partite, quasi tre a gara. Alle delusioni di Champions non è corrisposto un ruolino in campionato incoraggiante: il Siviglia è decimo, dopo essere rimasto sul fondo della classifica per le prime cinque partite, quando non era riuscito a vincerne nemmeno una. Oggi sembra aver trovato una certa regolarità: ne vince una ogni tre. Anche se pareggia troppo poco, e quindi perde ancora un po’ spesso. Ma perché il Siviglia ha stupito in negativo, rivelandosi come una delle maggiori delusioni di questa Champions? Ed Emery, a questo punto, può ancora pensare di essere in grado di allenare una big?

Il Siviglia sconfitto 2-0 allo Juventus Stadium, lo scorso 30 settembre.

Cominciamo col dire che Emery non era digiuno di Champions, dove ci era stato già tre volte, due con il Valencia e una con lo Spartak Mosca. Solo alla prima occasione, nel 2010/2011, ha superato la tagliola dei gironi, salvo arrestare subito la sua corsa negli ottavi contro lo Schalke. Un bilancio non brillantissimo: considerando anche le partite di questa stagione con il Siviglia, Emery ha collezionato 24 panchine, vincendo appena 7 volte. Ma possiamo accettare l’idea che Emery non aveva mai avuto una squadra all’altezza come quella che ha oggi.

Il primo problema, indubbiamente, riguarda i cambiamenti estivi. Inutile girarci intorno: in estate sono andati via i due migliori giocatori della squadra, Carlos Bacca e Aleix Vidal. Su Bacca è superfluo soffermarsi: centravanti capace di fare tutto, di segnare con frequenza, e di saperlo fare da solo, cosa tutt’altro che scontata. Vidal, invece, era il calciatore più “emeriano” a sua disposizione. Lo dice lui stesso: «Avere esterni con tanta corsa è una delle chiavi principali del mio gioco, qualcosa che ho imparato guardando il Superdepor». È bastato che Vidal passasse un anno con Emery perché approdasse in una big come il Barcellona, dove figura un’altra “creazione” di Emery, Jordi Alba. Entrambi giocatori che il tecnico del Siviglia ha reinventato come terzini, sfruttando la loro capacità di corsa e sovrapposizione.

Forse il calciatore più talentuoso degli andalusi, Konoplyanka.

Non che il Siviglia non si sia mosso per colmare le perdite, ma, probabilmente, ne ha sottovalutato l’importanza. In attacco si è pensato di ricorrere a un buon giocatore per rimpiazzare Bacca: ne hanno presi due, Immobile e Llorente, e sembrava che potesse bastare. Nessuno dei due ha avuto un impatto felice, anche perché (più il secondo del primo) sono troppo statici per quello che prevedeva Emery: il valore aggiunto di Bacca era la capacità di creare spazi non convenzionali. Nemmeno l’opzione di schierare due attaccanti, come è accaduto in due occasioni a inizio stagione, ha funzionato. Non c’è da sorprendersi, così, se Emery nove volte su dieci schiera titolare Gameiro (l’anno scorso utilizzato con il contagocce), che non avrà le stimmate da goleador ma che è premiato, rispetto alla concorrenza, per via di maggior movimento e velocità.

Per rimpiazzare Vidal, invece, si è ricorso a un ventaglio di scelte. L’acquisto di punta è stato Konoplyanka, che aveva incrociato il Siviglia nell’ultima finale di Europa League con il Dnipro. L’ucraino sarebbe stato perfetto per rimpiazzare un giocatore come Reyes, più che Vidal: la sua è una rapidità di pensiero, più che di falcata. Rispetto al neoblaugrana, ha sicuramente più qualità, però caratteristiche totalmente diverse. Per doversi adattare a quello che gli chiedeva Emery, ci ha messo del tempo, tanto che nelle prime sette partite ha cominciato appena una volta da titolare. Rimane però una delle note più liete dell’inizio di stagione del Siviglia: pian piano sta trovano più spazio e l’azione del 2-1 contro il Real Madrid fa capire come sia sulla strada giusta per integrarsi all’interno dell’idea di gioco. Per questo, l’arrivo di Krohn-Dehli può essere letto alla luce dell’idea di prendere un’alternativa affidabile e più pronta, perché con un’esperienza solida nella Liga, maturata a Vigo. Ma anche il danese sta faticando a trovare una continuità di rendimento. I suoi inserimenti sono più oculati, non rabbiosi come quelli di Vidal, tanto che la sua carriera racconta di un progressivo accentramento in campo. Dopo qualche esperimento non esaltante, Krohn-Dehli è tornato a fare la mezzala, ruolo con cui si è imposto nel Celta. Di Kakuta, poi, non c’è traccia: ha giocato appena 30 minuti.

La vittoria in campionato per 3-2 con il Real Madrid.

In questa situazione di stallo, Emery ha puntato su Mariano, un calciatore preso dal Bordeaux nell’indifferenza generale (anche se non pagato poco, 3,5 milioni di euro). 30 anni il prossimo giugno, arrivato in Europa dal Brasile relativamente tardi (a 26 anni), Emery ha preso a schierarlo titolare essenzialmente perché giocatore rapido e instancabile. Non è un caso che l’abbia paragonato, nella crescita mostrata allenamento dopo allenamento, proprio a Vidal. È singolare che Emery abbia speso parole importanti per un giocatore che all’inizio non aveva praticamente mai considerato. Un problema, il secondo che emerge, che gli viene rinfacciato: una gestione dei giocatori un po’ confusionaria. Immaginate se Emery fosse davvero arrivato in Italia, e alle polemiche continue ad ogni formazione diversa. Ma nemmeno a Siviglia i continui cambi sono ben accetti: l’impressione è quella di un tecnico che brancola nell’incertezza, convinto del fatto che cambiare giocatori sia la scorciatoia più efficace per cambiare risultati. Come pure si nota nella continua rotazione dei difensori centrali, che non è servita a molto: il Siviglia ha sempre difeso male, sin da agosto (quando, per dire, ha preso cinque reti in Supercoppa Europea dal Barcellona e sei in amichevole dalla Roma).

L’impiego sistematico di Mariano sulla fascia destra, inoltre, ha relegato Coke in panchina, sorte che tocca regolarmente, negli ultimi tempi, anche a Reyes: i due capitani sevillisti fuori dall’undici titolare. Una doppia scelta che ha rotto il rapporto tra tecnico e tifoseria: dopo una sconfitta, dare la colpa a Emery, anche con pesanti insulti, è diventata la norma. «Ma non posso spiegare ai tifosi la logica che c’è dietro un cambio», ha risposto, incalzato dalle critiche. Un altro interrogativo che emerge su Emery: non è mai sembrato rapportarsi da una posizione di forza, ma ha sempre cercato di giustificarsi, come se le critiche dall’esterno lo avessero delegittimato. «Il Siviglia andrà avanti con o senza Emery», ha detto a un certo punto alla stampa, creando uno scenario di precarietà a livello personale che la società non aveva neppure lontanamente ipotizzato.

La Supercoppa Europea, e i cinque gol incassati.

Cosa emerge da queste valutazioni, se dovessimo evidenziare le carenze di Emery? Innanzitutto, una premessa: che il suo modo di giocare esige un certo tipo di calciatori, una necessità più ingombrante di quanto accade in media. E poi due cose, in particolare. La prima, l’abbiamo appena vista: non ha spalle larghe, forse non abbastanza per sorreggere il peso di una big. Che è qualcosa che si intravede anche nella sua modesta carriera da calciatore: «Quando non mi convocavano, ero sollevato, perché avvertivo troppo la pressione. Ero abbastanza codardo. I dubbi mi lasciavano ai margini». A Siviglia è andato in confusione dopo poche ma significative sconfitte, lui che pure aveva credito quasi illimitato dopo aver vinto due Europa League. Con queste premesse, potrebbe riuscire davvero a gestire la pressione attorno alla panchina di un Milan o di un Real Madrid?

La seconda è che Emery ha dimostrato di avere una fisionomia da allenatore precisa: bravissimo quando c’è da curare la crescita dei giocatori, meno preparato nell’integrare rapidamente e in fretta nuovi giocatori. La gestione di campioni, inserire, farli coesistere, farli rendere al meglio potrebbe risultargli ostica. Perlomeno, in tempi brevi: dare in mano a Emery uno squadrone e chiedergli di vincere subito potrebbe essere un azzardo.

 

Nell’immagine in evidenza, José Antonio Reyes a Tbilisi, prima della Supercoppa Europea contro il Barcellona. Chris Brunskill/Getty Images