Di nuovo al potere

Dopo 16 anni, la Dinamo Kiev supera la fase a gironi di Champions: il ritorno in alto della squadra che fu di Sheva, tra intrecci ed equilibri con la politica.

Quando una rivale diventa il principale barometro degli umori di casa, allora le cose non stanno girando benissimo. Così è successo nell’ultimo decennio alla Dinamo Kiev, il cui spazio ai vertici del calcio ucraino è stato progressivamente cannibalizzato dallo Shakhtar Donetsk, che in tempi recenti ha vinto la Coppa Uefa (2009), ha raggiunto i quarti di Champions (2010) e, lungo il quinquennio 2010-2014, ha lasciato alla Dinamo solo una misera Supercoppa Ucraina. Indirettamente, lo Shakhtar era arrivato a decidere la politica del club di Kiev: nell’aprile del 2014, uno 0-2 casalingo contro gli uomini di Lucescu era costato il posto alla leggenda Oleg Blokhin, la cui gestione di leggendario aveva avuto ben poco.

Un mese dopo, la vittoria (2-1) della Coppa Ucraina a scapito degli arci-rivali aveva promosso il subentrato Sergei Rebrov da traghettatore a vero e proprio allenatore. Le cronache locali narrano di come siano stati i giocatori a recarsi direttamente dal patron Irhos Surkis, fratello minore di Hryhoriy, attuale vice-presidente della UEFA con un passato da numero uno della Dinamo Kiev (1993-1998) e della Federcalcio Ucraina (1998-2012), per chiedere la conferma di Rebrov. I risultati sono andati oltre qualsiasi aspettativa, con la vittoria del campionato ottenuta con un ruolino immacolato recante il numero zero alla voce sconfitte. In più, il double grazie al successo in Coppa (la doppietta mancava dalla stagione 2006-07) e il passaggio agli ottavi di Champions League per la prima volta dal 1999/2000. Ieri sera è arrivata l’ufficialità grazie al comodo 1-0 rifilato al Maccabi Tel Aviv in uno Stadio Olimpico deserto a causa della squalifica per l’aggressione razzista avvenuta lo scorso 20 ottobre nel match contro il Chelsea, quando tifosi ucraini aggredirono un gruppo di supporter dei Blues, la maggior parte di colore.

Chelsea FC v FC Dynamo Kyiv - UEFA Champions League

Assieme ad Andriy Shevchenko, Rebrov è stato la punta di diamante della Dinamo Kiev 3.0 di Valeri Lobanovsky. Nelle prime due versioni (1973-1982 e 1984-1990) erano arrivati, oltre a svariati titoli nazionali, anche due trionfi europei, la Coppa delle Coppe (1975 e 1986). A metà anni 90 però a Kiev c’era ancora bisogno del vecchio colonnello, perché le cose non funzionavano più. «La Dinamo vive», furono le parole pronunciate al momento del suo insediamento, «perché possiede tradizione, fondamenta solide e soprattutto la volontà di tornare dove le compete». Non sbagliava. Il 5 novembre 1997 gli ucraini umiliarono 4-0 al Camp Nou il Barcellona di Louis Van Gaal (tripletta di Shevchenko, sigillo finale di Rebrov). La stagione successiva eliminarono ai quarti di Coppa Campioni i detentori del Real Madrid e si fermarono solo in semifinale di fronte al Bayern Monaco, che pareggiò 3-3 a Kiev e vinse 1-0 in Germania.

Poi la generazione d’oro del calcio ucraino emigrò all’estero e tutto si concluse. Sia Rebrov che Shevchenko videro la propria carriera incagliarsi in Inghilterra (Tottenham il primo, Chelsea il secondo) prima di rientrare alla base, con la “piccola” differenza che nel mentre Sheva aveva scritto pagine importanti nella storia del Milan. Rebrov, reduce pure da un flop in Turchia con il Fenerbahce, sembrava la persona meno adatta per una carriera da allenatore. Schivo, poco comunicativo, lo status di icona del club non forniva garanzie adeguate per poterlo guidare in maniera proficua.

L’1-0 al Maccabi che ha regalato la qualificazione della Dinamo agli ottavi.

Le ragioni che trattenevano la dirigenza della Dinamo Kiev dal confermare Rebrov, a dispetto degli inizi confortanti, erano però di altra natura. Rebrov è di etnia russa, le sue origini si trovano nella regione del Donbass, e infatti il suo debutto da calciatore è avvenuto con la maglia dello Shakhtar Donetsk, nel campionato sovietico anno 1991, l’ultimo disputato prima del crollo dell’URSS (vinse il CSKA Mosca e, per la cronaca, il capocannoniere fu un nome poi noto agli appassionati di calcio italiani, Igor Kolyvanov). In un Paese spaccato tra nazionalisti e filo-russi, finito in fiamme dopo l’Euromaidan (i disordini civili scoppiati dopo la sospensione, da parte del governo ucraino, di un accordo di associazione tra il paese e la UE), esistevano legittimi dubbi sulla serenità con la quale Rebrov avrebbe potuto ricoprire un simile incarico a tempo indeterminato. Tanto più che, proprio il giorno in cui era diventato ufficialmente il nuovo allenatore della Dinamo Kiev, un membro del parlamento ucraino era stato rapito fuori dal municipio di Horlivka, la città natale di Rebrov, quindi torturato e ucciso da militanti filo-russi. Poco tempo dopo la città sarebbe entrata a far parte dell’auto-proclamata Repubblica Democratica di Donetsk.

Come però riportato da Aleksandr Holiga su FourFourTwo, «in un paese scosso da tensioni etniche, la radicalizzazione o meno di queste ultime è sempre un fattore molto personale.  La realtà è più complicata della mera contrapposizione tra bianco e nero». Rebrov, con la riservatezza che lo ha sempre contraddistinto, non hai amato parlare davanti ai microfoni di queste vicende, e l’unica concessione è arrivata dopo un 5-2 all’Everton lo scorso marzo in Europa League. «Non importa da dove provengo», ha detto, «il mio cuore batte per l’Ucraina».

FC Dynamo Kyiv v Chelsea FC - UEFA Champions League

Il calcio in Ucraina è legato a doppia mandata con la politica. Prima della crisi, in testa al campionato c’era il Metalist Kharkiv, crollato repentinamente dopo la caduta del premier Viktor Yanukovich e la conseguente fuga all’estero del presidente del club Sergey Kurchenko, molto vicino all’ex primo ministro. Nello stesso periodo è fiorito come mai accaduto prima il Dnipro Dnipropetrovsk, massima espressione del nazionalismo ucraino (mentre le rose di Shakhtar e Metalist diventavano colonie brasiliane e quella della Dinamo Kiev un’autentica multinazionale, il Dnipro ha sempre mantenuto una forte componente autoctona). Il Dnipro che lo scorso maggio ha conteso l’Europa League al Siviglia deve la sua fortuna al politico-oligarca Igor Kolomoyskyi, nemico giurato di Vladimir Putin (da lui definito “nano schizofrenico”) arrivato, in qualità di governatore dell’Oblast di Dnipropetrovsk, a mettere taglie da 10mila euro per ogni militante filo-russo catturato, nonché a proporre l’installazione di 30mila chilometri di filo spinato elettrificato per “proteggere l’Ucraina dall’invasione dell’Est”.

Nel mezzo il potentissimo boss dello Shakhtar Rinat Akhmetov, che ha tentato di barcamenarsi nel ruolo di pacificatore nei mutevoli scenari della politica ucraina, ma che le ultime cronache danno in difficoltà finanziarie a causa della guerra nel Donbass. Del resto, da oltre un anno lo Shakhtar, dopo il bombardamento della Donbass Arena, gioca le partite casalinghe a Lviv (Leopoli), una delle roccaforti del nazionalismo ucraino. Non certo il massimo come terreno amico, ma a livello ambientale comunque meglio della capitale Kiev, che ospita invece club minori quali Metalurg e Olimpik Donetsk. Una situazione anomala denunciata a più riprese dal tecnico Lucescu, che ha parlato di “torneo surrogato” e “campionato artificiale”. In più, le elezioni presidenziali in seno alla Federcalcio ucraina hanno visto l’uscita di scena di Anatoly Konkov, uno degli uomini più fedeli ad Akhmetov.

Pur essendo stata innegabilmente avvantaggiata dagli eventi, la Dinamo Kiev è ritornata al top anche grazie a meriti propri, da ascrivere in primo luogo a Rebrov. L’ex gemello del gol di Shevchenko ha lavorato molto a livello tattico e attitudinale, plasmando una squadra coesa e lavorando molto sulla fase di possesso palla, cercando di diversificare il più possibile lo spettro di soluzioni offensive dei propri uomini rispetto al recente passato, tatticamente più rigido e prevedibile. Il tutto senza ricorrere in maniera massiccia al mercato, anche perché il materiale a disposizione era già notevole, partendo dal tridente d’attacco Yarmolenko-Kravets-Lens per arrivare al sempre elegante Veloso, ex Genoa, in mediana, e al centrale difensivo Dragovic, uno dei perni della nazionale austriaca qualificatasi tra gli applausi a Euro 2016.

Chelsea FC v FC Dynamo Kyiv - UEFA Champions League

In estate ha salutato la compagnia l’olandese Lens, ma il suo sostituto, il paraguaiano Derlis González (acquistato dal Basilea, come Dragovic), non l’ha fatto rimpiangere, aggiungendo per contro più dinamismo e creatività all’azione della squadra. La stella rimane però Andriy Yarmolenko, devastante la passata stagione con 19 gol e 22 assist (considerate tutte le competizioni), numeri nettamente migliori delle altre due stelle del campionato ucraino, Douglas Costa e Evgen Konoplyanka, entrambe emigrate in estate rispettivamente al Bayern Monaco e al Siviglia. E se Douglas Costa, solo 4 reti in campionato e tante partite saltate per infortunio nella passata stagione, è diventato un crack nelle mani di Guardiola, è legittimo chiedersi dove potrebbe arrivare Yarmolenko nelle mani di un maestro di simile caratura. Scartato a 13 anni per ragioni fisiche proprio dalla Dinamo Kiev, il club lo ha ripescato anni dopo con la nomea di nuovo Shevchenko – così lo descrisse uno scout del club all’epoca – che lo ha seguito per anni, fin quando è diventato chiaro che, come tipologia di giocatore, Yarmolenko sia più un tipo alla Robben. Due anni fa aveva dichiarato che avrebbe lasciato la Dinamo Kiev solo dopo averla riportata sul tetto d’Ucraina, ma è ancora lì, perché strappare un giocatore a una società in mano a un’oligarca richiede un sacrificio economico di notevoli proporzioni. Adesso che il giocatore ha rilanciato ingaggiando come agente Mino Raiola, la palla è tornata ai fratelli Surkis.

Il repertorio di Yarmolenko.

Anni di complesso d’inferiorità hanno lasciato comunque degli strascichi in casa Dinamo Kiev. In estate la squadra ha perso la Supercoppa ucraina contro lo Shakhtar Donetsk, facendo affiorare antichi fantasmi, ovvero la scarsa lucidità nel gestire la pressione. L’immagine di uno Yarmolenko in stato catatonico che, dopo essersi scambiato la maglia con Stepanenko, la getta a terra sconvolto, ha rappresentato un segnale molto chiaro in tal senso, oltre ad aver scatenato un turbine di polemiche. Oramai Shakhtar-Dinamo è un costante testa a testa non solo per la vetta del campionato, ma anche nel campo delle accuse. Con una Federcalcio zeppa di uomini filo-Dinamo (per non parlare del già citato vice-presidente della UEFA), la squadra di Donetsk ha gioco facile nel sostenere come il vento di Kiev condizioni il calcio ucraino. La mancanza di chiarezza regolamentare in determinati ambiti (basti pensare che l’utilizzo dei giocatori in prestito nei match contro la società proprietaria non è regolamentato dalla Federcalcio, come accade ad esempio in Inghilterra, ma viene gestito autonomamente dai club) completa il quadro. Pressione interna quindi per la Dinamo, alla quale si aggiunge quella della UEFA dopo i già citati fatti contro il Chelsea che, salvo improbabili colpi di scena, vedranno gli uomini di Rebrov disputare gli ottavi di Champions a porte chiuse. Bella ma ancora fragile, la Dinamo Kiev. Visti però gli ultimi anni, per ora, basta e avanza così.

 

Nell’immagine in evidenza, i giocatori della Dinamo Kiev festeggiano il gol di Dragovic nella partita contro il Chelsea dello scorso 4 novembre. Mike Hewitt/Getty Images