La cura

Il ritorno di Francesco Acerbi, il difensore che ha battuto due volte il cancro, e oggi è uno dei migliori difensori del campionato italiano

L’otto luglio 2013 Francesco Acerbi diventa un calciatore del Sassuolo. Dopo una stagione abbastanza mesta, passata tra Milano e Verona – sponda Chievo –, la squadra di Di Francesco è un luogo potenzialmente ideale per ricominciare a giocare a calcio con continuità. Mentre sta svolgendo le visite mediche con lo staff emiliano gli viene diagnosticato un tumore al testicolo. È il 14 luglio e viene operato dopo pochi giorni all’ospedale San Raffaele di Milano. Il 15 settembre debutta contro il Verona in campionato; il Sassuolo perde 2 a 0 in campo, ma per Acerbi è una bella vittoria.

A volte la vita sembra accanirsi, bastarda, sui percorsi delle persone. A dicembre, durante un controllo antidoping dopo un match contro il Cagliari, Acerbi risulta positivo alla gonadotropina corionica. Arriva una squalifica per doping, ma il peggio è dietro l’angolo. La gonadotropina, una sostanza utilizzata per la cura del cancro ai testicoli, è presente in una quantità più alta della norma. Non essendo in quel momento in cura, scatta la squalifica, ma la sostanza potrebbe implicare anche un riacutizzarsi della malattia; ed è proprio quello che accade. Francesco prende a battagliare su due campi distinti: da una parte le cure per debellare il tumore , dall’altra il ricorso contro la sospensione cautelare per doping. Vince su entrambi, ottenendo l’idoneità per tornare a giocare: «Ho fatto quattro cicli di chemioterapia, un’esperienza che mi ha fatto crescere perché accanto a me ho visto tante persone che soffrono. La malattia mi ha fatto riflettere su tanti aspetti della vita e mi ha dato lo slancio per ritornare».

È il 25 ottobre 2014, Acerbi segna il primo gol dal ritorno in campo; è il secondo in carriera. 944 giorni dopo il primo in maglia Chievo

C’è un intervista di Francesco Acerbi a Quelli che il calcio di quasi un anno fa (dopo la guarigione dal secondo tumore) che dovrebbe far riflettere sulla spettacolarizzazione che il mondo del calcio costruisce, costantemente, intorno alle storie che riguardano gli uomini di sport. A volte pare ci sia una certa forzatura rispetto a quello che accade nel macrocosmo sportivo e calcistico. L’intervista in questione non è, di per sé, nemmeno troppo dissimile da molte altre viste in precedenza: il presentatore Nicola Savino cerca di illustrare al pubblico di una tv generalista, non sempre avvezzo alle notizie riguardanti il calcio non giocato, cosa sia accaduto in due anni di vita di questo ragazzo dall’aspetto normalissimo. Acerbi sembra teso, a tratti quasi imbarazzato: tutto avviene in una cornice vagamente surreale, fatta di sorrisi tirati di giovani ragazze in body brandizzati Roma, vecchie glorie della tv e della musica e comici che scherzano su superflue domande fatte in passato al giocatore del Sassuolo.

In tutta questa mise-en-scène televisiva ciò che risalta è la pacatezza di Acerbi. Ogni tanto arrossisce di fronte alla telecamera; forse a causa di quegli scambi di battute che paiono forzati e a cui il calciatore non sa bene come replicare. Il mondo del calcio tratta questioni delicate come un tumore in un modo strano, naïf, con titoli come “Ho vinto il derby con il male”, come se fossero calembour da prima pagina.

Ci sono affermazioni che sembrano venute fuori per caso, come quando gli viene suggerito di essere stato fortunato a essere capitato al Sassuolo proprio in quel momento, contrapponendo la costruzione famigliare della squadra emiliana a un, per contrasto, potenziale comportamento de-umanizzante di altre società, dichiarazione senza fondamento e vagamente avventata.

Di quest’intervista colpisce principalmente l’equilibrio e la moderazione con cui il difensore del Sassuolo risponde alle domande. In maniera schietta Acerbi ammette di aver fatto degli errori in passato; in particolare nella sua esperienza rossonera, ha creduto di essere arrivato, di aver raggiunto l’apice. Il tutto troppo in fretta. Lui usa le parole: «Mi ero seduto, me ne sbattevo», quasi accenna un sorriso quando si rivede in maglia Milan – lui che milanista lo è sempre stato, e che non ha fatto in tempo a farsi vedere in maglia rossonera dal padre, scomparso nel 2012 mentre era ancora al Chievo. Arrivato a Milano nel momento in cui la squadra di Allegri chiudeva l’ultimo ciclo importante, si è ritrovato proiettato in una dimensione forse troppo più grande di lui, senza essere ancora consapevole in maniera completa di quale atteggiamento debba avere un ragazzo di ventiquattro anni per riuscire a fare bene in una realtà così importante. Il fatto, poi, di essere arrivato nell’anno in cui il Milan cedeva uno dei propri centrali più forti di sempre deve averlo aiutato ancora meno.

Nella stessa intervista al programma Rai dichiara di aver «appena cominciato a giocare a calcio». Non è un’assurdità, piuttosto una dichiarazione per rendere l’idea di quanto l’abbia reso differente ciò che è successo negli ultimi due anni. La realtà dell’affermazione sta nella nuova vita di Acerbi, nel suo modo differente di approcciarsi al lavoro. È la sua personale agnizione; il guardarsi nuovamente e scoprire la propria, definitiva identità. Non è più il difensore un po’ spaccone che vuole tutto e subito come ai tempi del Chievo. Cresciuto attaccante nel mito di Weah, il ragazzo di Vizzolo Predabissi, ha ripreso a mostrare le doti che l’hanno portato, prima, a debuttare in A con il Chievo e, successivamente, ad approdare al Milan.

Sicuro e un po’ spaccone

Quello che gioca oggi nel Sassuolo di Di Francesco è realmente un giocatore nuovo? Sembrerebbe di sì. Dal ritorno in campo, Acerbi ha avuto una crescita esponenziale. Non meraviglia affatto che sia uno dei migliori centrali della Serie A per rendimento medio. Rientra tra i primi dieci per numero di palloni intercettati a partita, secondo per occasioni in cui riesce a mettere in offside l’avversario, tra i primi cinque per numero di clearences per match. Nel match dello scorso venti dicembre in casa contro il Carpi, è risultato migliore in campo. Sembra tornata la promessa che aveva fatto vedere cose ottime ai tempi di Reggio Calabria – con Atzori in panchina –, o il difensore pieno di sicurezza della prima apparizione in maglia clivense.

ace12

Nonostante Di Francesco proponga un calcio di derivazione zemaniana – una versione rivista e migliorata del calcio offensivo del boemo –, il suo 4-3-3 ripone attenzione massima anche all’aspetto difensivo. In particolare contro le grandi del campionato, il Sassuolo gioca a compattarsi basso sotto la linea della palla, con grande attenzione alla fase di non possesso. Con le linee strette e la squadra a copertura della metà campo, Acerbi riesce a dare il meglio. Non dovendo scappare a coprire la profondità, avendo nella velocità il proprio tallone d’Achille, riesce a gestire il reparto facendo affidamento sul senso della posizione, in cui eccelle. Forte fisicamente, ha spesso vita facile negli uno contro uno.

Già a metà della stagione in corso, Acerbi si sta avvicinando sensibilmente al proprio defence score migliore. È curioso notare come utilizzi pochissimo il tackle: Acerbi preferisce aspettare l’avversario, sembra instaurare una battaglia mentale in cui aspetta la prima mossa dell’attaccante. In questo approccio si nota lo studio dei movimenti con il corpo di Nesta, che lui stesso ha citato come propria fonte d’ispirazione al momento dell’arrivo al Milan. Si riesce a notare, nonostante la “bellezza” non sia materia da apprendere facilmente, come Acerbi abbia studiato alla scuola di Alessandro Nesta le tempistiche di aggressione all’avversario. Non gli somiglia, non ha la stessa capacità di intervenire in tackle, ma riesce a risultare efficace quando deve sradicare il pallone dai piedi dell’avversario in corsa.

Il debutto di Acerbi con la maglia della Nazionale

L’ottima capacità in fase d’impostazione ne fa un difensore versatile, che a ventisette anni e con una serie di grandi battaglie vinte potrebbe essere definitivamente maturo per un nuovo grande salto. Il fatto che sia diventato una sorta di “persona nuova” rientra in una specie di cliché da cui sarebbe giusto fuggire, eppure non è lontano dalla verità. Nelle interviste usa espressioni come «maturo», «senso della vita», per indicare la trasformazione passata attraverso la malattia. Una trasformazione che si specchia in campo. Acerbi ha ripreso a comandare la propria vita, così come la difesa di un Sassuolo ormai slegato dallo status di sorpresa.

 
 

Nellimmagine in evidenza, Acerbi durante Italia-Albania del novembre 2014 (Claudio Villa/Getty Images); nel testo, Acerbi durante la cura