Una voragine nel Madrid

Da quando Claude Makélélé ha lasciato il Real Madrid nel 2003, nel centrocampo delle merengues si è avvertita una mancanza, fisica e mentale.

Nel 2003, il grande obiettivo di Florentino Pérez, la vittoria della Décima, si arenò in semifinale contro la Juventus. Nonostante la conquista della Liga, Pérez decise di disfarsi di Vicente Del Bosque. E di un giocatore vitale nell’economia di squadra: Claude Makélélé, rimpiazzato in estate con David Beckham. A chi gli chiedeva del francese, Pérez rispondeva: «Non ne avvertiremo la mancanza: ha una tecnica nella media, non è molto rapido e il 90 per cento dei suoi passaggi lo distribuisce in orizzontale o all’indietro». Zinedine Zidane aveva un’altra opinione: «Perché dare un’altra mano di vernice dorata sulla tua Bentley quando stai perdendo il motore?».

Il fatto che Makélélé fosse il giocatore più prezioso di quella squadra è stato sottolineato, dagli anni, da molti dei giocatori del Real. «Chiedete a qualsiasi giocatore del Madrid di allora chi fosse quello più importante in squadra – dice Hierro, all’epoca capitano -. Lo sapevamo tutti che era Claude, e lo è stato per anni, anche se la gente magari non lo notava».

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Per molti, la partenza di Makélélé ha segnato in negativo il destino immediatamente successivo del Madrid, che da allora ha cominciato a soffrire l’egemonia del Barcellona. La mentalità di Pérez, enfatica, forse arrogante, ha limitato di molto la competitività delle merengues, affollando di nomi l’organico della squadra, nel frattempo privata di calciatori in grado di assicurare equilibrio e solidità. Così, mentre il Barça aveva in Xavi un elegante interprete di centrocampo, poi sostituito da Busquets, il Real sottovalutava la questione, o ricorreva a soluzioni sconclusionate come Gravesen e Pablo García. Per tornare a vincere la Champions, il Madrid ha dovuto aspettare il 2014, quando Carlo Ancelotti ha saputo creare il giusto bilanciamento tra talento e disciplina tattica.

Ma anche in tempi più recenti, il centrocampo dei blancos è stato continuamente disboscato, ricostruito, rivoluzionato. Alla stagione di successi del 2014 è corrisposto un altro restyling, con la partenza di Di María e Xabi Alonso e l’arrivo di James Rodríguez e Toni Kroos. Così Ancelotti si è ritrovato obbligato a far coesistere in campo un parco giocatori dalle spiccate doti offensive (Karim Benzema, Cristiano Ronaldo, Gareth Bale, James, Isco, Modrić e Kroos). Nella stagione 2014/15, ha schierato 11 diversi terzetti di centrocampo, con il risultato di incassare 17 gol in più del Barcellona. È andata meglio nelle 22 occasioni in cui Ancelotti ha schierato un centrocampista difensivo: il Madrid ha perso solo tre volte, e altrettante ha subito più di una rete.

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Benítez ha trovato l’identica situazione, con in più un Illarramendi appena tornato alla Real Sociedad. L’ex Napoli è partito con il suo canonico 4-2-3-1, schierando Modrić e Kroos in mediana. Ma il Real di Benítez si è espresso al meglio quando è sceso in campo con il 4-3-3, con Casemiro a centrocampo: un esempio della riuscita di quella disposizione, l’1-0 contro il Psg. Ma, contro il Barça, Benítez è tornato al 4-2-3-1, con risultati disastrosi, aprendo di fatto la strada alla fine della sua avventura.

 

Nell’immagine in evidenza, Claude Makélélé affronta Valeri Karpin in un Real Madrid-Celta Vigo del 2001. Firo Foto/ALLSPORT