La valigia di El Shaarawy

Il Faraone ricomincia dalla Roma, dopo troppe stagioni vissute in disparte. Maturità, consapevolezza, tranquillità: a 23 anni, come si rilancia una carriera.

Una valigia piccola e compatta. Il primo scatto da romanista è questo. “ROMA!!! #El92 #ASRoma #daje”. Le dita della mano destra tese a V, quelle dell’altra mano poggiate sul trolley. La valigia che El Shaarawy si è portato dietro, e con cui si fa immortalare appena arrivato a Fiumicino, è la metafora del momento della sua carriera. È tutto lì il suo carico. Di prospettive, concessioni, traguardi. Solo poco tempo fa, la sua valigia era molto più grande, il suo bagaglio molto più pesante. Per infortuni, incomprensioni, contesti frustranti, circostanze varie ed eventuali, ne ha smarrito gran parte. El Shaarawy, quando arriva a Roma, sa che quella valigia è il suo punto di partenza, sa che è arrivato il momento di conservare le cose che ha, e individuarne, guadagnarne, conquistarne altre.

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Una foto pubblicata da Stephan El Shaarawy (@stewel92) in data:

Tra campionato e coppe, la Roma ha vinto solo una delle ultime 12 partite. Il momento critico dei giallorossi non aiuta El Shaarawy, ma al tempo stesso lo deresponsabilizza in parte. Non gli si chiede di cambiare le sorti di una stagione, perlomeno non subito. L’italo-egiziano ha bisogno di ritrovare confidenza con se stesso e con i compagni, dopo due anni e mezzo brutti, e non esiste altro aggettivo possibile. Ci sono tanti modi per poterlo fare, come ci sono tanti modi per credere in lui: la Roma lo ha preso in prestito con diritto di riscatto. Ma ha comunque versato 1,4 milioni al Milan.

Appunto, il Milan, dove tutto doveva sublimarsi e tutto si è azzerato. Nell’estate 2014 il Milan ne sottolineava il peso con questo comunicato: «Il presidente Berlusconi ha salutato ad uno ad uno i giocatori, con un’attenzione particolare nei confronti di Stephan El Shaarawy». Doveva essere il segnale di una stagione importante, dopo averne praticamente persa una. È stata quella del ritorno al gol in A dopo 622 giorni (a Genova, sponda Samp, l’8 novembre 2014), e poco altro. Ancora infortuni, il metatarso, ancora poco campo. Un anno dopo, la scorsa estate, a precisa domanda Mihajlovic risponde: «El Shaarawy può fare l’interno di centrocampo». Una pedina tra tante. Il contenuto della valigia si era già assottigliato, quella stessa valigia che di lì a poco avrebbe preso un volo per Montecarlo.

I 14 gol di El Shaarawy nel girone di andata 2012/2013.

In cinque campionati e mezzo disputati interamente in prima squadra (uno a Padova in B, quattro con il Milan, quello a metà con il Monaco), El Shaarawy ha segnato 30 reti, considerando anche due nei playoff di Serie B. Di queste 30 reti, la metà – 14, per la precisione -, le ha segnate nel girone di andata 2012/2013, quella in cui il Milan si resse sulle sue giocate e sulle sue intuizioni. In buona parte, fu grazie a lui se i rossoneri riuscirono a strappare il terzo posto a fine stagione. Ma, nel girone di ritorno, il Faraone segnò solo due reti. Quando, a metà aprile, Allegri lo fece partire dalla panchina contro il Napoli, preferendogli un Robinho quasi dismesso, gli interrogativi si moltiplicarono. «El Shaarawy aveva bisogno di ricaricare le batterie – la spiegazione post-gara di Allegri -, a livello fisico e mentale. Soprattutto mentale».

In quel «soprattutto mentale» c’è molto delle difficoltà incontrate nei tempi successivi da El Shaarawy, tempi in cui la parola che fluttua con insistenza è “tranquillità”. Lo si è sentito dire dal suo agente, da Galliani, dai compagni di squadra, come De Sciglio. E lui, quando si è trasferito nel campionato francese, lo ha detto chiaramente: «Al Monaco ho ritrovato serenità. L’ambiente di Milano non faceva più per me. Non parlo del Milan, ma di tutto quello che gira intorno al calcio a Milano. Non è bello sentire certe cattiverie, certe voci destabilizzano una persona anche se cerca di resistere».

Nel 2012 segna questo gol straordinario allo Zenit, diventando a 19 anni e 342 giorni, il più giovane giocatore del Milan ad aver segnato una rete in Champions League.

C’è stato il peso di un’improvvisa celebrità da gestire, una bomba che non è facile disinnescare se esordisci in Serie A a 16 anni e tutti parlano di te a 19. Un peso che non ha tentato di nascondere: «Quando vedi i calciatori ti viene da dire: ma come fanno a essere così presuntuosi? L’ho pensato anch’io mille volte. Poi ti ci trovi dentro, con la gente che ti chiede foto e autografi, che ti pompa, e cominci a sentirti un fenomeno anche se non vuoi».

AC Milan v Torino FC - Serie A

L’extra campo allunga le sue ombre sul campo. Ma anche lì dentro ci sono trappole pericolose. Clarence Seedorf, prima di allenare il Milan, aveva svelato la più insidiosa: «Spero che con El Shaarawy non si faccia l’errore di Pato, che lo hanno fatto trascinatore quando ancora doveva dimostrare tanto». Ecco la data simbolo, che tiene intrecciate le storie dei due: 21 settembre 2011. El Shaarawy è appena arrivato a Milano dopo una stagione strepitosa a Padova. Si gioca Milan-Udinese: dopo 20 minuti Pato accusa un dolore muscolare. El Shaarawy si prepara in fretta, entra, segna la rete dell’1-1.

È pronto, è già pronto, anche se non ha compiuto ancora 19 anni. Si dice questo, e poi a Padova ha già terminato il suo apprendistato. 9 reti, veneti ai playoff, devastante quando Dal Canto comincia a schierarlo esterno nel 4-3-3. Realizza gol splendidi, come una bella conclusione al volo al Novara, un fantastico coast-to-coast a Empoli, una deliziosa finalizzazione contro l’Ascoli. Ma, soprattutto, è un trascinatore, perché incide nei momenti chiave delle partite, e nelle partite più importanti. Nel 3-3 del Padova a Varese, che manda i veneti alla finale playoff, ci sono due suoi gol pazzeschi, emozionanti.

La doppietta a Varese, nei playoff di B del 2011.

La valigia si è ingrossata rapidamente, e pure in fretta si è ridotta. Ecco, la fretta, forse sua, forse del Milan, dei tifosi e della stampa, globale, accecante, compulsiva, e quindi fastidiosa. A 23 anni, El Shaarawy non si definisce più giovane, ma dice: «Ormai sono in una categoria di mezzo». C’è una certa gravità nell’utilizzare quell'”ormai”, la constatazione del passare di un tempo che doveva farlo re e che invece ne ha fagocitato la vitalità. «I periodi di difficoltà aiutano a crescere e a maturare, ed è quello che sta succedendo a me. Bisogna essere forti e consapevoli delle proprie qualità», ripete, ripeteva, quando le cose hanno preso a girare male.

Da questa consapevolezza ci aspettiamo che El Shaarawy riparta, e che questa consapevolezza possa, in una certa misura, influenzare tutto l’ambiente romanista. La valigia è salda nelle sue mani, è piccola, ma dentro è riuscito comunque a ficcarci cose importanti. Le qualità. La stima di Conte, che ha continuato a convocarlo e a farlo giocare nei mesi passati, indizi decisivi nell’anno dell’Europeo. La fiducia di un gruppo, quello giallorosso, e di un tecnico, Spalletti, che ha subito iniziato a chiamarlo “Faraone”. Non tutto è perduto.

 

Nell’immagine in evidenza, El Shaarawy in ritiro con la Nazionale a Coverciano, lo scorso novembre. Claudio Villa/Getty Images