Roberto Mancini per Paolo Condò

Su Sky Sport parte Mister Condò, una serie di interviste ai tecnici del nostro Paese. Si parte con Roberto Mancini, stasera alle 23.30: eccone un'anticipazione.

Con Roberto Mancini, tecnico dell’Inter, Paolo Condò inaugura una nuova avventura su Sky Sport: Mister Condò, una serie di interviste ai più grandi allenatori italiani, realizzate da Paolo Condò, firma di Undici e unico giornalista italiano a votare per il Pallone d’Oro.

Si parte venerdì 19 febbraio alle 23:30 su Sky Sport 1 HD, subito dopo la diretta di Bologna-Juventus: per chi non volesse aspettare, l’intervista integrale è già disponibile su Sky On Demand. Un racconto non solo professionale, ma soprattutto umano, supportato dalle illustrazioni a fumetti (di Giuseppe Ferrario), dalle tavole grafiche (di Andrea Gilardi) e realizzato all’interno della suggestiva cornice del Planetario di Milano. Di seguito alcuni passaggi dell’intervista a Roberto Mancini.

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Paolo Condò: Da Jesi a Bologna a 13 anni.

Roberto Mancini: Il ricordo è ancora abbastanza limpido. La voglia di alzare il braccio, la voglia di prendere i gettoni tutte le sere per chiamare a casa, perché non bastava un gettone, ne servivano sette o otto. Di giorno era bello perché c’era il campo, c’erano i compagni, giocare nelle giovanili di una squadra professionistica era il sogno di tutti i ragazzi. Io avevo avuto quella fortuna, quindi il giorno passava bene, la sera un po’ meno perché eravamo in un convitto a Casteldebole, dove spesso c’era la nebbia e abitavamo con altri ragazzi più grandi di noi.

Saresti rimasto volentieri al Bologna dopo la prima stagione e la retrocessione?

Volevo rimanere a Bologna, sarei voluto rimanere a Bologna, perché mi trovavo bene con le persone, con i bolognesi, stavo benissimo. Non avrei mai pensato di lasciare, però, retrocedemmo in B quell’anno lì e il Bologna aveva bisogno di fare cassa e c’erano diverse offerte.

Gli anni di Genova, alla Sampdoria, sono stati i più belli della tua vita?

Eh, si! Nella sfortuna di lasciare Bologna, dov’ero cresciuto calcisticamente, sono andato a Genova e ho trovato un’altra famiglia, praticamente: tutti ragazzi giovani, un grande presidente come Mantovani, un grande direttore sportivo come Paolo Borea, una famiglia vera. Sicuramente, sono stati gli anni più belli di gioventù. Noi vivevamo in simbiosi praticamente 24 ore al giorno.

Sulla Coppa Campioni persa nel 1992 in finale contro il Barcellona?

Quell’anno eravamo molto concentrati sulla Coppa dei Campioni, qualcosa di anche troppo grande, forse. Però, volevamo provare ad arrivare fino in fondo e arrivammo alla finale. Sapevamo che era l’unica chance che avremmo avuto, sapevamo che, probabilmente, dopo quella partita sarebbero cambiate tante cose.

2000: Sven Goran Eriksson of Lazio with Roberto Mancini. Mandatory Credit: Grazia Neri/ALLSPORT
Nel 2000, Sven Goran Eriksson con Roberto Mancini. (Grazia Neri/Allsport)

 

Che tipo di esperienza è stata la Lazio?

Furono tre anni bellissimi, perché cambiai città dopo 15 anni e andai in una città totalmente diversa da Genova dove, all’inizio, era impossibile viverci per uno che arriva da Nervi, era un caos totale. Però dopo uno si abitua e ci vive bene. La Lazio stava costruendo una squadra molto forte, che voleva vincere, il presidente Cragnotti fece degli investimenti enormi. Alla fine furono tre anni importanti, pieni di vittorie e straordinari, forse i più belli della Lazio insieme allo scudetto di Maestrelli. Forse ha vinto anche poco per la qualità dei giocatori che aveva.

La sensazione era che tu non soffrivi la fine di carriera, perché eri ansioso di cominciare una nuova carriera, quella di allenatore: è così?

Si, perché ero stanco, sinceramente. Dopo che vincemmo lo scudetto e la Coppa Italia, ero un po’ stanco. Mi piaceva l’idea di iniziare presto a fare l’allenatore e Eriksson mi diede la possibilità di iniziare con lui come secondo, per fare esperienza. Quello fu un anno un po’ particolare, perché Eriksson venne esonerato a gennaio – aveva già un accordo con la Nazionale inglese per l’anno successivo – e le cose non andavano benissimo, nonostante la squadra molto forte. Pensavo che Cragnotti mi potesse dare la squadra, forse un po’ esagerando, perché ero abbastanza giovane. Poi, però, venne Zoff e io andai via. Eriksson mi chiamò e mi disse che c’era il suo secondo, che allenava anche il Leicester, che gli chiese se mi avrebbe fatto piacere giocare un po’ con loro. Io non facevo niente e sono andato lì, un mese a Leicester. Fu un’esperienza abbastanza breve, perché, poi, arrivò la Fiorentina, con Cecchi Gori.

E cominciò un’altra storia.

Si, cominciò un’altra storia, purtroppo. Purtroppo sì, perché fare il giocatore forse è meglio, è più divertente.

Hai dei rimpianti su Adriano?

Adriano fa parte di quella schiera di giocatori che potevano fare tantissimo, ma che alla fine hanno fatto poco, per colpa loro. È un peccato, perché è un bravo ragazzo e aveva delle qualità fisiche, più che tecniche. Aveva bisogno di essere sempre in condizione, fare una vita da atleta. Giocatori come lui hanno bisogno di essere professionisti al massimo. Purtroppo, su questo lui ha peccato un po’ ed è stato un grande dispiacere. Io, come tutto noi, facemmo a quel tempo qualsiasi cosa per dargli una mano.

MANCHESTER, ENGLAND - JANUARY 31: Manchester City Manager Roberto Mancini gestures during the Barclays Premier League match between Manchester City and Portsmouth at the City of Manchester Stadium on January 31, 2010 in Manchester, England. (Photo by Richard Heathcote/Getty Images)
Nel 2010 a Manchester (Richard Heathcote/Getty Images)

 

Nel 2008 lo scudetto arriva a Parma, in un momento di fortissima difficoltà tua personale.

Per tutta una serie di cose, dopo Liverpool e robe varie.

La società aveva già deciso di cambiare allenatore.

Io non lo sapevo.

A Parma ci fu una tua gioia mentre segnava Ibrahimovic rivolta in maniera molto polemica verso la tribuna.

No, no, era perché eravamo molto sotto pressione: noi eravamo stati molto avanti, ma la Roma aveva recuperato molti punti e noi era da settimane che giocavamo senza Ibrahimovic. Quindi trovarsi all’ultima giornata a giocarsi una partita così importante ci metteva sotto pressione. Soprattutto per la tensione che si era creata nelle ultime settimane.

Il ritorno in Italia, dopo l’esperienza in Inghilterra con il Manchester City: è subito litigio con gli arbitri.

Torni in Italia per fare l’allenatore per un anno, rientri nel clima e o fai finta di niente, oppure… Però, l’Inghilterra sicuramente aiuta, perché in Inghilterra si vive la partita in un altro modo. Uno non sa mai chi è l’arbitro e non se ne preoccupa più di tanto, i giornali non scrivono sull’arbitro, le trasmissioni non parlano dell’arbitro e, quindi, nessun giocatore si preoccupa di questo. Questo sicuramente aiuta e credo che gli arbitri abbiamo un altro atteggiamento, che aiuta, perché non è vero che i giocatori in Inghilterra sono bravi e non dicono mai niente all’arbitro.

Inter Milan's coach Roberto Mancini looks on during the Italian Serie A football match Juventus Vs Inter Milan on January 6, 2015 at Juventus Stadium in Turin. AFP PHOTO / MARCO BERTORELLO (Photo credit should read MARCO BERTORELLO/AFP/Getty Images)
Allo Juventus Stadium (Marco Bertorello/AFP/Getty Images)

 

Hai la sensazione che il calcio moderno sia ben rappresentato da una figura come quella di Thohir?

Sì. Io credo che se le squadre italiane avessero presidenti come Thohir, il calcio italiano potrebbe migliorare molto e tornare ai livelli di una volta. Oggi è difficile per un imprenditore italiano poter fare come ha fatto Moratti per anni: investire tanti soldi non è una cosa semplice. Per anni il campionato italiano è stato il più bello e deve tornare ad essere il più bello.

Sei tornato all’Inter anche perché, nell’immaginario degli interisti, forse Mourinho viene visto come il grande benefattore.

Ha vinto la Coppa dei Campioni. Sicuramente, ha fatto meglio di me.

Però tu sei quello che ha portato l’Inter a vincere di nuovo.

Bisogna essere anche fortunati, beccare la squadra giusta al momento giusto.

Dybala è un tuo rimpianto? Ci hai provato?

Ci abbiamo provato, ci siamo stati dietro, però è impossibile riuscire a prendere tutti. Comunque, Dybala diventerà un campione.

E Kondogbia diventerà un campione?

Si, diventerà un grande.

Ti piacerebbe allenare la Nazionale come rivincita per quello che non hai avuto da giocatore in maglia azzurra? Sarebbe la rivincita perfetta.

Sì, sì, per vincere qualcosa sì. È chiaro che la Nazionale per un allenatore, dopo tanti club, può essere la cosa più bella. Poi, allenare la Nazionale Italiana credo sia bello per tutti, è un grande onore, può capitare, può non capitare, non lo so. Vediamo quello che accadrà.

 

Nelle immagini in testata ed evidenza, sulla panchina dell’Inter contro il Celtic, Europa League 2014/15 (Jamie McDonald/Getty Images)