Quando si è giunti a fine carriera, non c’è niente di più difficile di passare direttamente dal campo alla panchina: allenare i propri compagni di squadra senza prima aver abbandonato la mentalità del calciatore. Per avere conferma basta chiedere a Diego Pablo Simeone, per tutti El Cholo: una settimana dopo la sua ultima partita da centrocampista per il Racing Club de Avellaneda, esordisce da allenatore con una sconfitta nel derby contro l’Independiente (doppietta di un giovanissimo Agüero). È il febbraio 2006, Simeone ha solo 35 anni e non ha neppure avuto il tempo di pensarci: il Racing era ultimo in classifica e aveva bisogno di un cambio alla guida tecnica.
L’inizio della sua nuova carriera non è entusiasmante: in meno di 6 anni cambia ben 5 club argentini, con la parentesi di mezza stagione al Catania, condotto alla salvezza. Qualche successo (un Torneo Apertura con l’Estudiantes, un Clausura con il River Plate), ma anche molte polemiche e sconfitte. A dicembre 2011 Simeone è un allenatore per alcuni già bruciato, per altri ancora poco pronto: persino Lo Monaco, all’epoca dirigente del Catania, tra mille complimenti lo definisce un capitano non giocatore. Per la svolta c’è bisogno di un grande amore del passato: a Natale, infatti, il tecnico argentino si regala il ritorno all’Atlético Madrid. A chiamarlo è il direttore sportivo Caminero, suo compagno di centrocampo nei colchoneros che vinsero la Liga nel 1996.
Simeone raccoglie una squadra confusa e disorganizzata, solo decima in classifica, ma ricca di talento: è curioso osservare, a posteriori, che quell’Atleti aveva già grandi giocatori, da Courtois a Falcao, passando per Arda Turan e Godin. A fine stagione, infatti, dopo appena 5 mesi dall’arrivo del Cholo, il capitano Gabi alza al cielo l’Europa League. I principi di Simeone sembrano andare oltre il calcio: l’impegno come valore non negoziabile, la disciplina come strumento per superare i propri limiti. In una parola, “cholismo”. Nella stagione successiva l’Atlético vince Supercoppa Europea e Coppa del Re, ma è nel 2013/2014 che il lavoro del tecnico argentino diventa un modello studiato da tutta Europa. I colchoneros vincono la Liga davanti al Barcellona ed arrivano a pochi secondi dalla vittoria della Champions League, un sogno distrutto dal pareggio di Sergio Ramos al 93’ e dai tre gol dei Blancos nei supplementari.
Lo stile di gioco di Simeone si basa su un 4-4-2 fatto di linee compatte e strette, in cui tutti i giocatori sembrano legati insieme come in un biliardino o una falange oplitica. La squadra si muove sempre all’unisono, non lascia mai spazi in zona centrale, è sempre in superiorità numerica nella zona del pallone e appena riconquista il possesso può contare sul contropiede veloce, all’epoca affidato a un Diego Costa devastante.
In questa stagione Simeone sta alternando il solido 4-4-2 degli anni passati con il 4-3-3: in questo caso sulla sinistra invece di Oliver Torres c’è Carrasco, una vera ala per creare il tridente con Torres e Griezmann. Con il nuovo modulo Koke è più dentro al gioco da interno sinistro e Gabi si allarga sulla destra.
Da una vetta così grande forse si può solo scendere: la dirigenza comincia a cambiargli la squadra e di quel grande ciclo rimangono in pochi. Dopo un anno di transizione, l’estate del 2015 sembra riaccendere l’entusiasmo: arrivano J. Martínez, Vietto, Carrasco e Savic, tornano Filipe Luís e Oliver Torres. Forse per la prima volta Simeone ha a disposizione una rosa ricca e piena di alternative, ma si trova in difficoltà: l’Atlético Madrid deve allontanarsi dalle sue radici per assecondare le caratteristiche dei giocatori più associativi, come Griezmann e O. Torres.
I colchoneros, infatti, in questa stagione effettuano circa il 30% in più di passaggi corti a partita rispetto al 2014. Da squadra che preferiva lasciare il pallone agli avversari, l’Altético adesso arriva spesso al tiro da azioni di possesso palla consolidato e tende ad usare un po’ meno il contropiede. La solidità difensiva rimane, certo, ma Simeone sembra a metà di una transizione: indeciso tra 4-4-2 e 4-3-3, il suo Atlético non è più intenso e martellante come una volta, sebbene stia cercando di aumentare la pressione nella trequarti avversaria. «Non sempre vincono i più bravi, ma quelli che lottano»: c’è tutto il calcio di Simeone in questa frase, ma anche il difficile equilibrio tra due idee diverse di calcio, che dovrà riuscire a coniugare. Il potenziale a sua disposizione è alto, così come le aspettative: per poter vincere di nuovo, forse il Cholo dovrà scendere a patti con se stesso.