Ci sono partite che restano nella storia, altre che graffiano la memoria. Ci sono momenti in cui avverti il presente, e altri in cui capisci l’insistenza del domani. La sera del 2006 in cui l’Italia mette al tappeto la Germania con i gol di Grosso e Del Piero, Nicola Sansone è ancora un adolescente che tifa e prega come noi. Aspira a fare il mestiere del fuoriclasse, il campione per professione, l’architetto del talento. Ma cosa ci sia ad aspettarlo svoltato l’angolo del suo destino solo lui lo sa, lo capisce in quella notte. Ha quindici anni, è l’attaccante delle giovanili del Bayern Monaco e il suo futuro è altrove. Sono passati dieci anni dal giorno in cui Nicola va di corsa nella sua scuola di Monaco avvolto dal tricolore e con i capelli tagliati corti, «a prendere in giro i compagni perché per noi italiani è stato un momento eccezionale»; anni in cui la sua vocazione calcistica e il suo amor di patria potrebbero finalmente culminare in un unico, grande avvenimento: Euro 2016.
Nell’ultimo weekend di marzo l’Italia ha giocato le amichevoli contro Spagna e Germania a meno di cento giorni dall’Europeo, e Sansone non è sceso in campo. Nell’ultima parte di questa avvincente Serie A ci si gioca la partita selvaggia alle convocazioni. Una specie di Hunger Games della pelota. Quella agli occhi del selezionatore continua a essere una competizione tra un potere consolidato e degli outsider ambiziosi. C’è il gruppo dei veterani. E c’è quello dei Sansone, calciatori fuori dall’establishment. Volenteroso, sagace, scaltro. È soprattutto nell’ultima stagione a Sassuolo che Sansone ha dato prova di forza. Ok, ma quante chance ha di guadagnarsi un posto nella spedizione azzurra al prossimo campionato europeo?
Compilation 2016
Italiano
«Poche» è una risposta scontata e ingiusta da accettare, e anche l’istinto lasciamolo lì. Disse piuttosto il vecchio Ernie al piccolo pugile Buford Wills in Città Amara: «Sperare non è mai servito a niente. Devi volere la vittoria. Devi volerla così tanto da sentirne il sapore in bocca». Qualche tempo fa, al suo arrivo a Parma, chiesero a Sansone quale fosse il suo sogno. Lui aveva ciondolato un po’ con la testa, picchiettato le nocche sul tavolo e infine risposto con una disarmante sicurezza: «Giocare la Champions. O meglio ancora un Mondiale, e ovviamente vincerlo. Ho indossato la maglia dell’Under21 ed è stata una sensazione incredibile. L’Italia è il mio Paese e io sono orgoglioso». Se pensate sia una risposta standard, beh, vi sbagliate. C’è un’italianità più profonda in Sansone, nonostante sia nato a Monaco. «La vita in Germania? Bella», ha detto un’altra volta, «a casa si parlava di tutto: italiano, tedesco, dialetto salernitano. Quando scherzando mi dicono “terrone” io rido, papà è del Sud Italia e mamma della Baviera, cioè del Sud della Germania. Terrone due volte». Agli inizi del Duemila la Germania sta sviluppando il modello, il sistema che porterà i tedeschi a vincere il Mondiale 2014. Ma il Bayern è la realtà di sempre, forte, velenosa, la squadra che ha conquistato una Champions nel 2001, che vince i titoli nazionali con esuberanza e qualità. È una fortuna poter crescere in quel contesto, uno apprende il segreto del successo. Per Sansone non è diverso. Ma non subito. A otto anni va a fare un provino al Monaco 1860 e lo scartano: troppo basso. A dieci è del Neuperlach, una squadra con due, tre tedeschi, un italiano che è lui e poi turchi, afghani, stranieri vari. «Stavo bene, quindi avevo mille dubbi. Mia mamma mi ha detto: “Dormici una notte”. Mi sono svegliato e ho deciso: vado». Il trasferimento al Bayern è ovviamente un passaggio fondamentale nella storia di Sansone. Si allena con Ribery e Klose, ha compagni come Müller, e vive quotidianamente in un contesto che lo aiuterà a gestire la tensione. Capire come si rimane freddi è una qualità imprescindibile per un pedone d’attacco. Tant’è che arrivato in Italia non ci è voluto molto perché venisse etichettato come ammazzagrandi. Ha fatto spesso gol all’Inter, ne ha segnati di belli al Milan e alla Juventus. Sansone non ha paura: la gestione dei momenti è una capacità che ha dentro, e ha imparato a svilupparla negli anni al Bayern Monaco.
Pregi e difetti
E allora perché dopo l’esperienza in Germania nessun grande club ha avuto il coraggio di scommettere uno scellino su Sansone? «Quando gioco per divertirmi, gioco meglio. A volte invece la tensione mi blocca, penso troppo». È il suo principale problema. Quando è così, quando non si «diverte», gli effetti si vedono. In alcuni club non te ne danno il tempo, funziona così: il grande calcio non ti aspetta. A 24 anni Sansone deve ancora migliorare sotto molti aspetti. C’è il vizio delle palle perse, 12 a partita, e quello dei dribbling negativi inferiori a quelli riusciti (2,11 vs 1,36). Non tira quasi mai di sinistro (soltanto 3 volte), il suo piede è il destro (50 conclusioni, 4 gol). Ma questo accadeva molto di più qualche anno fa, quando giocava a Crotone in Serie B e anche a Parma; Sansone accendeva la luce e la spegneva con la stessa rapidità. Oggi no. Una delle partite più importanti ai fini di questa crescita la gioca contro il Parma l’anno scorso. Al Mapei Stadium non c’è molta gente, è una grigia giornata di marzo. I crociati sono condannati alla retrocessione, ma lo spirito è alto e la partita gradevole. Sansone ne fa due. Il primo gol è un tocco ravvicinato, brutto e sgraziato come un fenicottero. Il secondo invece mostra con chiarezza le sue qualità di talento: palla sulla trequarti, controllo e conclusione da lontano. A fine partita Di Francesco dirà: «Lo aspettavo da tempo. Era un periodo un po’ buio per lui, finalmente Sansone è tornato il giocatore che conoscevo». Da lì ha sbagliato poco, o sempre meno. Il merito va anche a Di Francesco. L’allenatore neroverde è stato abile nel gestire il suo apporto alla squadra. A sinistra, ovviamente, posizione preferita da Sansone, dove la quantità di palloni giocati è impressionante. Ne gestisce più sull’out che al centro, è lì che iniziano le manovre (111 tocchi), e via via scalano ogni cinque metri all’interno del terreno di gioco (94), o anche dieci (82). In quel perimetro che Sansone dà il meglio di sé. È in grado di farlo nel 4-3-3 molto bene, ma anche il 4-4-2 gli permette di avere quell’accelerazione devastante utile più ai compagni che a se stesso. Velocità, intensità, testardaggine.
Il gol contro l’Inter, nel 2012, il secondo in Serie A
Essere o non essere
Il percorso in Nazionale di Sansone passa da tutte queste cose: dall’aria cosmopolita di Monaco, dai ricordi meravigliosi del Mondiale 2006, dagli allenamenti con Van Gaal, «grande insegnante e grande dittatore», dall’esperienza a Parma e adesso da questa, eccellente, con la maglia del Sassuolo. Passa persino dalle confusioni legate alla fede da calcio. Ha detto più volte di essere tifoso dell’Inter per «i miei idoli Ronaldo e Baggio», poi del Milan «perché l’Inter non vinceva mai», una volta ha persino ammesso una forte simpatia per il Napoli, ché «mio padre è campano e se vince sono molto contento». Tutto in Sansone spinge all’italianità, alla voglia di poter vestire la maglia dell’Italia con continuità. Questo è il dilemma: essere da Nazionale o non essere da Europei? Per la stagione che sta giocando meriterebbe un’opportunità. Una convocazione sorprendente. Nell’Under17 faceva parte di un gruppo di “stranieri”, come li avevano chiamati in quegli anni, ragazzi che giocavano all’estero (ma italianissimi). Sui giornali era scoppiata la polemica: «Non convocate i giovani che fuggono: non vanno premiati», aveva detto Mino Favini, maestro di vivai dell’Atalanta al Corriere della Sera. Era il 2007. Avremmo perso per strada talenti come Sansone? Non è detto. Probabilmente sì.
Anche quando è andato a giocare gli Europei in Israele con l’Under21 di Devis Mangia, nel 2013, Sansone era una specie di oriundo, nato là, oltre i confini, ma con il cuore azzurro. L’Italia era arrivata seconda, dietro alla Spagna, sconfitta 4-2. E poi? Il salto dalle under alla nazionale maggiore o è immediato, o è sofferto. Sansone ha dovuto lottare e sgomitare, segnare e correre, perché ci riuscisse. Ci sono voluti due anni perché Sansone tornasse in Nazionale, questa volta quella dei grandi. Conte gli ha dato una possibilità nella doppia sfida, la partita di qualificazione a Euro 2016 contro la Croazia (non giocata) e l’amichevole contro il Portogallo, il suo esordio. È entrato al posto di El Shaarawy. Qualche minuto giocato a tutta, e forse pensando «troppo». Al peso delle responsabilità. Ai traguardi immaginati quando viveva in Germania. E alla fine non è andata bene lo stesso: l’Italia ha perso 1-0, Sansone non ha inciso. Quell’apparizione non rischia di essere un’onda gravitazionale fragile e impercettibile, la Nazionale è nel suo destino. Ma il momento di scriverla, questa storia, potrebbe essere arrivato con un biglietto vidimato per l’Europeo. Poi lui fa il vago, fa sì con la testa. «La Nazionale non è un’ossessione ma penso di poterci stare», ha detto Sansone di recente. Tutto vero. E allora qual è la bugia?