Star Wars piacerà molto a chi ha la fortuna di essere ancora un bambino, o la sfortuna di non essere mai cresciuto». Nel 1977 il noto critico americano John Simon stroncava così, sulle pagine del New York Magazine, il primo film della nota saga fantascientifica. Non era il solo a considerare quello di George Lucas un progetto dal respiro cortissimo. La Universal aveva rifiutato di produrre il film, Brian De Palma lo aveva duramente criticato al termine di una proiezione privata. Il concetto è semplice: le previsioni si possono sbagliare. Nel calcio questo avviene di getto continuo, e non esiste club che non abbia il proprio scheletro nell’armadio. Quello del Milan si chiama Pierre-Emerick Aubameyang e spunta fuori ogni volta che l’attaccante franco-gabonese si mette in mostra, tanto più che nelle ultime stagioni Aubameyang e il Milan sono diventati rette divergenti: il giocatore in costante crescita, i rossoneri in progressivo ridimensionamento. La stagione in corso ha visto diversi scarti della Serie A tornare in auge, da Marko Arnautovic (Stoke City) a Odion Ighalo (Watford), da Bojan Krkic (Stoke City) a Stefano Okaka (Anderlecht). Con Aubameyang però si atterra su un altro pianeta per qualità, spessore internazionale e rimpianti.
Se i Pink Floyd hanno utilizzato il concetto di tempo per scrivere una delle pietre miliari nella storia del rock, Aubameyang ci sta costruendo una carriera da top player. Numeri alla mano, oggi è lui il bomber più letale in circolazione dopo Ronaldo e Messi. Tempo e numeri: il terzogenito di Pierre Francois, 80 caps con il Gabon a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90, aveva bisogno del primo per iniziare a produrre quelle cifre che rimangono un metro di giudizio imprescindibile nella valutazione di un attaccante. Tempo non solo inteso come minutaggio in campo, ma anche come adattamento all’ambiente circostante, al fine di assimilarne gli umori, i ritmi, le aspettative e le prospettive.
Non è un caso che il miglior Aubameyang visto a Dortmund sia quello attuale, a cui sono bastati cinque mesi per stabilire il proprio primato di reti stagionali: 35, suddivise tra Bundesliga (22), Coppa di Germania (3) ed Europa League (10). Primo nell’Europa dei big nella combinazione gol-assist (ne registra uno ogni 67 minuti), mette lo zampino in quasi un gol su due (il 48,6% per la precisione) del Borussia, ma a dispetto delle cifre sontuose i margini di miglioramento rimangono notevoli, visto che secondo una statistica del portale Bundesliga Fanatic Aubameyang è il secondo attaccante a livello europeo con il più alto numero di occasioni da rete fallite. A Dortmund anche l’ex sodale Robert Lewandowski ha fatto registrare il suo massimo volume realizzativo alla terza stagione, ma ciò non significa che i trascorsi di Aubameyang in maglia giallo-nera siano da buttare. Alla prima stagione si è presentato con un assist per Marco Reus nella Supercoppa vinta contro il Bayern Monaco, per poi esordire in Bundesliga rifilando una tripletta all’Augsburg – primo africano a riuscire nell’impresa, e sesto giocatore in assoluto nella storia del campionato tedesco – e chiudere a quota 16 centri stagionali. La scorsa annata, quella del pericoloso flirt del Borussia con la retrocessione, preludio all’addio di Jürgen Klopp, è stato l’autentico last man standing – 16 gol in Bundes, 25 complessivi – di una squadra depauperata da infortuni (Marco Reus), nadir di rendimento (Henrikh Mhkitaryan, Shinji Kagawa) e flop di mercato (Ciro Immobile, Adrian Ramos).
Nella storia di Aubameyang la parola tempo coincide con fiducia, e il primo a concedergliela pienamente è stato Christophe Galtier, meteora transitata da giocatore in Italia (24 presenze nel Monza tra il 1997 e il 1999) che al nostro paese deve comunque moltissimo – sono parole sue – per la propria formazione da tecnico, avendo trascorso ogni momento libero della sua esperienza in Brianza per osservare in presa diretta gli allenamenti di Fabio Capello e Gigi Simoni, carpendone metodologie, tattiche e stile. Un bagaglio di nozioni messo poi in pratica nel Saint-Étienne, condotto in pochi anni dalla zona retrocessione all’Europa League, valorizzando giocatori a grappoli: Blaise Matuidi, Bakary Sako, Dimitri Payet, Faouzi Ghoulam, Emmanuel Rivière, Kurt Zouma. Il suo capolavoro rimane Aubameyang, con il cui padre Galtier aveva giocato a Tolosa. «So che gli telefonò quando ancora giocavo nel Monaco», ha ricordato Aubameyang a Whoscored, «chiedendogli informazioni non solo sulle mie caratteristiche, ma anche sulla mia condotta fuori dal campo».
Fino ad allora la carriera del ragazzo nato a Laval, cittadina della Loira da 50.000 anime, si era svolta interamente in modalità toccata-e-fuga, tanto a livello giovanile – sette i vivai girati: Laval, Tolosa, Nizza, Rouen, Pro Patria, Atlético Junior (Colombia), Milan – quanto di prima squadra, partendo da quella solo sfiorata nel Milan per arrivare alla girandola di prestiti che, nel giro di tre anni, lo ha visto indossare quattro casacche diverse. Inizio discreto nella B francese al Digione, quindi passaggio alla corte di Rudi Garcia a Lille, all’epoca una miniera piena di pepite, da Eden Hazard a Mathieu Debuchy fino a Yohan Cabaye, ma l’ex tecnico della Roma lo vedeva solo come riserva di Gervinho e la scintilla non riuscì a scoccare. Infine una stagione a metà tra il Monaco pre-Rybolovlev e, appunto, il Saint-Étienne, che nell’estate del 2011 lo ha acquistato a titolo definitivo a titolo definitivo dal Milan per poco più di 2 milioni di euro.
Nella trilogia francese con i Verts, Aubameyang ha regalato i colpi migliori all’ultimo capitolo, chiudendo la stagione con 21 reti (19 in Ligue 1) e 15 assist, l’ultimo dei quali ha mandato in gol Brandao nella finale di Coppa di Lega francese, interrompendo il digiuno di trofei che allo Stade Geoffroy-Guichard durava dal 1981. Il colpo da maestro di Galtier rimane quello di avergli affiancato, dopo una stagione da prima punta chiusa con 18 gol, un attaccante d’area come Brandão, defilando il nostro sugli esterni per sfruttare ancora di più la sua devastante accelerazione – equiparabile nei primi 30 metri a quella di Usain Bolt, almeno così narra la leggenda, destinata a rimanere tale fino a quando l’attaccante non raccoglierà il guanto di sfida lanciato dal velocista giamaicano. Risultato? Ancora più gol, a dispetto delle perplessità iniziali dello stesso Aubameyang, e soprattutto una maggiore precisione sotto porta. Sembra incredibile, ma la critica che Galtier rivolgeva più spesso al suo bomber riguardava i troppi gol sbagliati.
Nella stagione 2012/13 in Francia, 21 gol tra campionato e coppe
Aubameyang non ha dimenticato il Milan, e ogni suo gol cela un desiderio di rivalsa che il tempo ha affievolito senza mai spegnere completamente, come dichiarato in tempi recenti al magazine Kicker. «Ci ho giocato due anni, sono stato convocato più volte in Coppa Italia, senza però mai giocare un minuto. Non mi è mai stata concessa una possibilità». Troppo facile però scrivere la storia con il senno di poi. A livello giovanile la trappola è costantemente in agguato, e talvolta necessitano capacità quasi divinatorie per prevedere se il 19enne camerunense oro olimpico a Sydney 2000 farà più strada del pari età ghanese Mvp al Mondiale under 20 del 2009. Il primo si chiama Samuel Eto’o, il secondo Dominic Adiyiah – oggi, per la cronaca, senza contratto dopo esperienze in Kazakistan e Thailandia. Nel Milan Aubameyang era così, un giovane, brillantissimo prospetto capace di segnare tutte e sette le reti della squadra alla prima, e unica, edizione della Champions Youth Cup (Malesia, anno 2007) castigando in serie le selezioni under 19 di Flamengo, Ajax, Arsenal, Bayern Monaco e Juventus. Il Milan finirà quarto, eliminato in semifinale dalla Juventus, e Aubameyang si porterà a casa il Trofeo Roberto Bettega riservato al capocannoniere della competizione. Assieme a Thomas Müller, Daley Blind, Jack Wilshere e Matteo Darmian, è il giocatore che farà più carriera, a conferma di quanto poco decifrabile sia il calcio in età verde, basti pensare come nella Juventus finalista e nel Manchester United campione nessuno farà meglio rispettivamente di Christian Pasquato e Jonny Evans.
Lo status internazionale raggiunto da Aubameyang è stato certificato lo scorso gennaio dalla vittoria del premio di Calciatore Africano dell’anno, interrompendo il dominio della Costa d’Avorio, o meglio, della coppia Didier Drogba-Yaya Touré, che si era aggiudicata sei delle ultime nove edizioni. Il recordman Touré, quattro successi consecutivi tra il 2011 e il 2014, non l’ha presa bene, parlando di scelta che «porta la vergogna sull’Africa», per uno sfogo dettato con tutta probabilità dal fatto che Aubameyang sia nato e cresciuto in Francia. Una Nazionale, quella transalpina, della quale ha difeso i colori a livello giovanile, dopo un blando corteggiamento fallito dall’Italia under 19 all’epoca del Milan, prima di scegliere il Gabon.
I francesi furono fregati da monsieur Alain Giresse, uno che aveva contribuito in prima persona a fare la storia dei Blues, ma che nel 2009 sedeva sulla panchina delle Pantere, e il 25 marzo del 2009 non si era fatto problemi a convocare i giovani fratelli Willy e Pierre-Emerick – il primo in B con l’Avellino, il secondo appena svezzato in campo pro dal Digione – per mettersi al riparo da improvvisi ripensamenti. L’anno dopo Giresse è riuscito a riportare il Gabon a una fase finale di Coppa d’Africa, ma il suo dovere lo aveva già fatto, e il resto della sua gestione è stata solo un’appendice. In Gabon si perdona tutto ad Aubameyang, anche l’errore dal dischetto che costò l’eliminazione ai quarti della Coppa d’Africa 2012, co-organizzata con la Guinea Equatoriale, perché a certe latitudini giocatori così capitano molto di rado ed è bene tenerseli stretti.
Oggi la sua è una sfida più iconica che statistica. Poco importa raggiungere il primato di gol in Nazionale, detenuto da Guy Roger Nzamba (meteora della Triestina 1996/97, dove giocò con papà Aubameyang) e distante una quindicina di marcature; Pierre-Emerick punta a coprire il gap che separa l’idolo dall’icona generazionale capace di trascendere l’aspetto sportivo per diventare un modello di riferimento a tutto tondo. Come Drogba per la Costa d’Avorio, Eto’o per il Camerun o Mohamed Aboutrika per l’Egitto. Appuntamento nel 2017 in Gabon, sede della 31esima edizione della Coppa d’Africa. Ma anche, se proprio deciderà di esagerare come quella volta che scese in campo indossando scarpe decorate da 4.000 brillanti Swarowski, a Russia 2018.