Il risveglio

Dopo quattro anni nelle serie inferiori, i Rangers Glasgow tornano in prima serie. Ma il futuro, soprattutto economico, è ancora incerto.

Fino a qualche anno fa in Scozia circolava un detto sulla sacra trinità che regnava sul Paese: la Chiesa, il sistema giuridico e i Rangers Glasgow. Tre pilastri che in tempi recenti hanno cominciato a oscillare pericolosamente, presi a picconate da scandali e problemi di vario genere, tanto di natura morale quanto materiale. Il flirt più pericoloso con il crollo definitivo l’hanno avuto i Rangers, il cui declassamento forzato – per ragioni di insolvenza – negli inferi delle serie minori scozzesi è terminato questa settimana con la vittoria del Ladbrokes Championship, la seconda divisione del campionato nazionale, e la riconquista della Scottish Premier League grazie alla terza promozione ottenuta negli ultimi quattro anni.

Una risalita iniziata nel 2013 con il primo posto in Third Division, torneo nel quale si trovarono ad affrontare il “derby originale di Glasgow”, quello contro il Queen’s Park, il più antico club scozzese, che disputò la prima stracittadina contro i Gers nel 1879, nove anni prima dell’Old Firm; proseguita quindi l’anno successivo con una stagione record in Second Division, caratterizzata da un percorso netto composto da 33 vittorie e 3 pareggi su 36 incontri, con 108 gol fatti e appena 18 subiti; arenatasi infine la passata stagione nella finale dei play-off promozione contro il Motherwell, terminata con una scazzottata da saloon che sintetizzava perfettamente un’annata tribolatissima, tanto sul campo quanto a livello societario. Oggi il purgatorio è finito: i Rangers sono tornati nel loro habitat naturale, e l’Old Firm tornerà a scandire regolarmente la stagione calcistica scozzese, senza doversi accontentare delle briciole offerte dal sorteggio in qualche coppa nazionale, come avvenuto due anni fa in Coppa di Lega (riempiendo un vuoto durato due anni e nove mesi, mai nella storia Rangers e Celtic avevano dovuto attendere tanto per affrontarsi) e oggi nella semifinale di Coppa di Scozia (appuntamento a domenica 17 aprile).

Harry Forrester Photo by Ian MacNicol/Getty images)
Harry Forrester (Photo by Ian MacNicol/Getty images)

Quest’anno i Rangers si sono dimostrati nettamente più forti di tutti i rivali, ma le premesse non erano confortanti, visto che nell’arco di sette mesi (dicembre 2014-giugno 2015) erano stati lasciati andare 21 giocatori, le lotte intestine in seno al board avevano prodotto un presidente, Dave King, e il nuovo allenatore Mark Warburton rappresentava il quarto cambio di guida tecnica in meno di un anno. Perplessità acuite dalla scarsa reputazione di Warburton, ex agente di borsa londinese che nel proprio curriculum annoverava 18 mesi positivi alla guida del Brentford (inclusa la promozione dalla League One nel 2014) e poco altro. Un ambiente isterico ed esplosivo, ma contemporaneamente depresso e disilluso, come quello dei Gers sembrava davvero troppo per un tecnico dall’esperienza limitata come Warburton, tanto più che il coach inglese si ritrovava tra le mani una squadra rivoltata come un guanto, ricostruita pescando a piene mani dal Championship inglese. In occasione della prima ufficiale di Warburton, contro l’Hibernian nel primo turno della Petrofac Training Challenge Cup, Alex Anderson di When Saturday Comes scrisse che i tifosi dei Rangers conoscevano più titolari della squadra avversaria che della propria. I Gers vinceranno l’incontro 6-2. Poi si ripeteranno nel primo turno della Coppa di Scozia, e ancora in campionato. Il 30 agosto 2015 Warburton è diventato il primo allenatore da Bill Struth (1920) ad aver centrato con i Rangers otto vittorie consecutive nelle prime otto partite stagionali. La prima sconfitta è arrivata solo a novembre.

La prima gara stagionale: 6-2 contro l’Hibernian

È chiaro come la grande scommessa vinta dalla nuova dirigenza sia proprio quella legata alla scelta dell’allenatore. Con Warburton infatti si è voluto puntare su un personaggio alieno all’universo Rangers, cosa che non accadeva dai tempi di Paul Le Guen, la cui esperienza però si esaurì dopo appena cinque mesi. Il legame storico con la squadra è stato garantito dalla scelta di David Weir (cinque anni da giocatore con i Gers), fondamentale nel disinnescare quelle trappole ambientali che furono fatali a Le Guen, i cui tentativi di modernizzare il club si scontrarono contro una serie infinita di ostacoli e resistenze. Ma se era obiettivamente impossibile imporre un cambio di mentalità e di atteggiamento nel 2006 a una società che veniva da tre successi consecutivi in campionato, oggi il mutato contesto rende tale assimilazione molto più agevole, vuoi perché dopo un rovinoso fallimento cambiare strada è pressoché un obbligo, vuoi perché la passata stagione aveva regalato la prima amarezza post-rinascita ai Rangers. L’equilibrio nell’assemblaggio della squadra è stato il primo grande merito del lavoro di Warburton, abile nel sapersi muoversi bene in più ambiti.

Tifosi dei Gers in festa dopo la promozione (Photo by Mark Runnacles/Getty Images)
Tifosi dei Gers in festa dopo la promozione (Photo by Mark Runnacles/Getty Images)

Sul mercato si è rivolto all’ambiente che conosceva meglio, la serie B inglese, prelevando elementi poi risultati cruciali quali la punta Martyn Waghorn (capocannoniere del campionato con 20 gol, non andava in doppia cifra da sei anni), il terzino destro James Tavernier, il portiere Wes Foderingham e il centrale di centrocampo Andy Halliday, re per una notte un anno fa con il Bradford City che, anche grazie a un suo gol, sconfisse 4-2 in FA Cup il Chelsea di Mourinho. Con l’aiuto di Weir, Warburton ha poi integrato i nuovi arrivati con la vecchia guardia, rappresentata da una vecchia volpe delle aree di rigore come Kenny Miller (13 i gol per il 36enne tornato a Ibrox per la terza volta nel 2014, e diventato lo scorso gennaio il più vecchio giocatore dei Rangers a realizzare una tripletta) e dal centrale Lee Wallace, uno dei pochi giocatori ad essere rimasto dopo la liquidazione della vecchia società e la retrocessione in quarta serie. Infine, i giovani: quando c’è da ricostruire dopo una catastrofe finanziaria, ogni programma che si rispetti include vivaio e baby talenti. Warburton ha proposto il prestito Spurs Dominic Ball, da lui già allenato nell’Academy del Watford, e il prestito Arsenal Gedion Zelalem, interno/destro di buona caratura tecnica e dal triplo passaporto (USA, Germania, Etiopia).

Equilibrio non solo a livello tecnico e gestionale, ma anche nell’approccio. Warburton non si è presentato indossando i panni del guru rivoluzionario stile “adesso vi faccio vedere io come si fa”, ma nemmeno ha ceduto al timore reverenziale nei confronti di un contesto così ricco di storia, lontano mille miglia dagli ambiti abituali di lavoro dell’ex giocatore di Enfield e Boreham Wood. «Quando fui promosso con il Brentford dalla League One», è stato uno dei suoi primi discorsi, «tutti si congratularono dicendomi: adesso dovete sopravvivere. Non è il mio metodo di lavoro, non riesco ad immaginarmi dentro lo spogliatoio a dire alla squadra: forza ragazzi, sopravviviamo. Lo stesso è qui a Glasgow. Il prossimo Old Firm i Rangers giocheranno per vincerlo. L’obiettivo dei Rangers è vincere la Scottish Premier League». Warburton è un tecnico esigente, anche a livello economico, e questo è un tasto dolente da toccare per i fan, perché quando dal campo si passa ai freddi numeri dei bilanci, la ferita del fallimento è ancora aperta. Il coach inglese ha concordato con la dirigenza un determinato programma, con precisi investimenti (ovviamente all’insegna della sostenibilità), e qualora venisse a mancare la parola data potrebbe fare le valigie già in estate.

I Gers raccolgono gli applausi dei tifosi dopo la vittoria della promozione

La Glasgow protestante è in festa, ma con giudizio. L’ultimo quinquennio ha saturato di veleni l’ambiente, e i tifosi dei Gers ne hanno viste troppe per permettersi il lusso dell’entusiasmo. Hanno avuto un proprietario, Craig Whyte, bandito dal ricoprire posizioni dirigenziali in qualsiasi azienda del Regno Unito. Si sono riscoperti, loro malgrado, esperti in materia tributaria dopo la serie di processi che hanno visto opposto il club all’HRMC (la versione britannica di Equitalia) per l’utilizzo dell’Employe Benefit Trust (EBT), attraverso il quale i soldi figuravano versati ai giocatori in qualità di prestito anziché di pagamento della retribuzione, con tutto ciò che conseguiva a livello di (mancato) versamento fiscale. Hanno polemizzato contro coloro che chiedevano l’azzeramento della bacheca del club a causa del fallimento del The Rangers Football Club Plc (Public Limited Company) e della successiva acquisizione da parte della Sevco Scotland Ltd., poi diventata The Rangers Football Club Ltd (ovvero Società a responsabilità limitata), quindi di fatto una nuova società – ma non un nuovo club, è sempre stata la tesi, accolta sia dalla Federcalcio scozzese che dalla UEFA, sostenuta dai Gers. Oggi la squadra non sarà «da Champions League», come dichiarato da Warburton un mese fa, ma il livello del calcio scozzese è caduto talmente in basso che questi Rangers potrebbero già puntare al secondo posto in campionato la prossima stagione.

Non è però solo una questione calcistica, come il popolo di Ibrox ha imparato sulla propria pelle. Esiste una componente emozionale che è andata persa, forse definitivamente, come raccontato al Guardian da Davie Bell, 45 anni di tifo Gers alle spalle, una casa tappezzata da bandiere della Union Jack (tazzine, sedie, cuscini, specchi, tavolini) e migliaia di chilometri macinati per seguire la sua fede color blu. «Siamo stati vittime di un crimine. Qualche anno fa eravamo al City of Manchester per la finale di Coppa Uefa, poi ci siamo ritrovati a vagare tra Alloa e Dumbarton ad affrontare avversari improbabili con una squadra che lo era altrettanto. Lo scorso anno, per la prima volta, sono uscito dallo stadio al minuto 55 e sono salito sul bus dei tifosi, ascoltando il finale di partita alla radio. Non ce la facevo a vedere la squadra ridotta così. Quello che è successo ai Rangers potrebbe accadere a tutti».

L'emozione di James Tavernier. (Photo by Mark Runnacles/Getty Images)
L’emozione di James Tavernier. (Photo by Mark Runnacles/Getty Images)

Il nervo scoperto rimane l’aspetto finanziario. Le feroci lotte in seno al nuovo board hanno portato alla presidenza David Cunningham King, alleatosi con il consorzio Three Bears (costituito da businessman locali) per mettere fuori gioco il socio di minoranza Mike Ashley, il boss del Newcastle che fino a un mese fa deteneva, attraverso la sua Sports Direct, i diritti su logo, mascotte e marchi societari (Ibrox, the Gers), e che tuttora possiede la gestione del merchandising. King è tifosissimo dei Rangers e vanta una notevole solidità economica, due fattori che gli sono valsi le simpatie dei tifosi. Però in Sudafrica, Paese dove risiede, è stato condannato per evasione fiscale e frode, finendo con il patteggiare il pagamento di 62 milioni di euro sui 228 che risultavano dai 41 capi d’accusa a suo carico. Notizie di questo genere normalmente non interessano ai tifosi, e fino a qualche anno fa era così anche in casa Rangers, quando sir David Murray annunciava gli ingaggi di Mikhailichenko, Brian Laudrup e Gascoigne, e puntualmente i libri contabili registravano perdite tra i 15 e i 30 milioni di sterline annui. Però qualche trofeo arrivava lo stesso e, in fin dei conti, loro erano i Rangers. Facile zittire le poche voci critiche. Fino a quando la realtà è diventata peggio di un incubo.

 

Nell’immagine in evidenza, Andy Halliday in mezzo ai tifosi dopo la conquista della promozione in massima serie, a Ibrox. (Photo by Mark Runnacles/Getty Images)