Le lacrime di Claudio

È l'immagine forse definitiva della stagione del Leicester. E soprattutto della storia personale di un uomo che è riuscito a cambiare i giudizi su di lui.
di Francesco Paolo Giordano 11 Aprile 2016 alle 15:20

A Sunderland c’era il sole. In mezzo al campo, i giocatori si salutavano, abbracci rapidi, strette di mano scivolose. Il retrogusto di una partita di fine stagione, di quelle che contano poco o nulla. Nessuno spazio agli eccessi, alle esultanze sfrenate. La quiete prima di qualcosa di enorme, inarrivabile. Claudio Ranieri osserva, guarda i suoi giocatori, quindi il pubblico. Poi, a un tratto, tutto quello che gli sta intorno inizia a sfumare, evapora, viene inghiottito. È il momento delle lacrime.

«È difficile spiegare quello che provo…». Il perché lui, e soltanto lui, abbia avuto quel tipo di reazione, sta al di sopra di classifiche, di vittorie per 2-0 a Sunderland, persino di ipotetiche vittorie di Premier League. Sta in una condizione tutta umana, e c’entra in gran parte con le emozioni, non con le tabelle. Sta nel fatto di ascoltare, a 64 anni, uno stadio intero, e non necessariamente quello di casa, rimbombare al suono di “Ranieri, oooh”, sulle note di Nel blu dipinto di blu. Sta nello scoprire, e gustare, una celebrità diversa, non morbosa né pressante. Attorno a sé, Ranieri ha scoperto un rispetto, una deferenza, una devozione prima sconosciuta. Qualche mese fa era ancora frequente leggere sui media inglesi la parola Tinkerman, quel nomignolo affibbiatogli ai tempi del Chelsea per la sua frequente indecisione sulla formazione. Ora non lo fa quasi più nessuno, se non per un meccanismo di autoderisione.

Gioia, sollievo, commozione: è il fischio finale di Sunderland-Leicester

Qualche tempo fa, a Malcom Pagani che lo ha intervistato per il numero 7 di Undici, diceva: «Se mi guardo indietro mi dico: “Hai fatto tanto, ma non sei mai arrivato al momento giusto”». Ogni uomo ha bisogno di tracciare bilanci, e quello di Ranieri forse non pendeva verso il fallimento, ma verso i rimpianti e le occasioni perse sì. Per tutta la carriera è andato alla ricerca del momento giusto, e quando si è impegnato con tutto se stesso per trovarlo, tra Juventus, Roma, Inter e Monaco, si è imbattuto nel Leicester. Dove tutto sembrava sbagliato, e niente avrebbe potuto spostare gli equilibri di una vita.

È il pensiero che lo ha accompagnato per gran parte della stagione, anche quando le Foxes erano già prime in classifica, e che lo convinceva a ostentare il massimo della prudenza. «Sì, siamo primi, ma non abbiamo ancora ottenuto nulla», il refrain della stagione, sempre meno convinto e sempre più scaramantico con il passare delle settimane. Fino a quando il momento giusto, quello inseguito per una vita, si è palesato. Accecante, coinvolgente. È stato un attimo prima delle lacrime. È stato quando Vardy ha segnato il 2-0: il tecnico prima alza le braccia, esultando in maniera composta come di solito. Poi, mentre ancora sta abbassandole, il fervore del momento si impadronisce appieno di lui, e allora si lascia andare, digrigna i denti in un’espressione di trionfo e dimena le braccia, su e giù, i pugni serrati. È una di quelle immagini che restano, che sono simboliche, che anticipano certi traguardi. Come la corsa di Mourinho nel 2004 a Manchester per quel gol di Costinha da dove partì la scalata del Porto alla vittoria della Champions.

Sunderland v Leicester City - Premier League

Appunto, Mourinho. Che, mettendo da parte una rivalità che pure c’era quando allenava l’Inter (aveva detto: «A quasi settant’anni ha vinto una Supercoppa e un’altra piccola Coppa»), ha mandato un messaggio a Ranieri: «Sa che lo apprezzo molto. Mi auguro che vinca la Premier, lo merita». Ecco, è inevitabile che, quando si parla del Leicester, si arrivi a parlare di Ranieri. Curioso, considerando che il tecnico romano, per tutta la stagione, ha continuamente reso merito alla sua squadra, smarcandosi da qualsiasi tipo di protagonismo.

Non per snobismo. Ranieri si considera uno dei tanti, uno dei 23 giocatori. Ci sono stati dei momenti in cui, durante la stagione, Ranieri ha smesso di essere allenatore e si è immedesimato in loro. Ha accorciato le distanze, come quando, come ha raccontato su The Players’ Tribune, ha promesso pizza per tutti se si fosse mantenuta la porta inviolata. Si è spesso comportato con loro come un amico, un padre, un fratello. Nell’intervallo della gara di Sunderland, prima che Vardy mettesse a segno il ventesimo e il ventunesimo gol stagionale, Ranieri lo ha preso in disparte, lo ha fissato, e gli ha detto: «Come on Jamie, we need you… I need you».

Prima che l’eccitazione generale per l’eventuale trionfo del Leicester (sono sette i punti di vantaggio a cinque giornate dalla fine) sovrasti tutto il resto, quello che emerge è l’indole di Ranieri in quanto uomo. E le lacrime, certo. Non tanto per quello che a breve potrà essere, o per quello che già è (la qualificazione in Champions League, per esempio). Quanto per essere riuscito a mettere da parte i rimpianti, le perplessità, le storture e le incrinature di un’intera carriera. Oggi Ranieri ha smesso di guardare troppo dentro di sé, e ha iniziato a guardare fuori. Quello che c’è intorno, e che lui ha contribuito a creare, ed è una cosa bellissima.

 

Nell’immagine in evidenza, Claudio Ranieri sul campo dello Stadium of Light di Sunderland. Shaun Botterill/Getty Images
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