Insuperabile

Spavaldo, coraggioso, dominante: Peter Schmeichel è stato uno dei portieri più forti al mondo. Una carriera da vincente, dalla Danimarca allo United.

Göteborg, 22 giugno 1992. Nella seconda semifinale dell’Europeo svedese, i campioni in carica dell’Olanda sono arrivati fino ai calci di rigore nonostante l’avversario sia la piccola Danimarca. Una squadra che è stata ripescata in extremis al posto di una Jugoslavia in disgregazione, e che nel gironcino ha già eliminato Inghilterra e Francia. La lotteria viene aperta da Ronald Koeman, uno che un mese e due giorni prima, con un calcio di punizione nel secondo supplementare della finale contro la Sampdoria, ha regalato al Barcellona la prima Coppa dei Campioni della sua storia. Gol, avanti gli Oranje. Per i danesi pareggia Henrik Larsen, un calciatore di proprietà del Pisa che ha giocato l’ultimo campionato in patria, in prestito, con la maglia del Lingby. Questo, in qualche modo, è esplicativo della differenza di valori in campo.

I calci di rigore della semifinale con l’Olanda

Per gli olandesi, tocca a Marco Van Basten. Il tiro è basso, appena spostato a sinistra. Non un gran rigore, intuito e deviato dal portiere danese, Peter Schmeichel. Che si alza ed esulta sbattendo violentemente il braccio destro in avanti, il viso che pare dipinto più di rabbia che di felicità. Pochi giorni dopo, in un’intervista che è possibile leggere in questo articolo d’epoca di Rob Hughes sul Times, Van Basten spiega così l’accaduto: «The penalty shoot-out is a lottery, and someone had to miss, either a Dane or a Dutchman. It was miss, and I can’t change that». In un’autobiografia dal titolo autoevidente (Stillness and Speed: My Story), l’altro olandese Dennis Bergkamp approfitta di quella lotteria dei rigori per raccontare il suo rapporto con i tiri dagli undici metri: «Non sono mai stato nervoso di fronte a un penalty, tutto quello che devi fare è cercare di ripetere al meglio una cosa che provi e riprovi in allenamento. Dopo Marco ho calciato io, mettendo la palla ad un’altezza a cui il portiere può riuscire ad arrivare. Solo che ho tirato molto forte, così ho fatto gol». Nel pezzo di Rob Hughes, si legge che «the Danish goalkeeper has enormous reach». Traduzione: occupa praticamente tutta la porta. Lo scrivono sul Times, lo raccomanda uno dei calciatori simbolo degli anni Novanta: per poter segnare a Peter Schmeichel, bisogna tirare forte. Molto forte.

Qualche mese dopo, nonostante quel rigore sbagliato, Marco Van Basten vincerà il suo terzo Pallone d’Oro. Schmeichel si porterà a casa il titolo di Miglior Portiere del Mondo secondo l’IFFHS. Più il Campionato Europeo, vinto grazie al 2-0 in finale contro la Germania Campione del Mondo. Nel libro Danish Dynamite, che racconta l’impresa dei ragazzi di Richard Møller Nielsen, la prestazione contro i tedeschi di Schmeichel viene definita «One of the games of his life». Nella classifica che determina il vincitore di quello che, allora, è il premio assegnato da France Football, Schmeichel è quinto, a 47 voti di distanza da Van Basten. Chissà, forse seppe farsene una ragione.

La Danimarca batte la Germania ed è campione d’Europa

In uno speciale di Skysport dedicato alla carriera di Peter Schmeichel, il giornalista danese Niels Rasmussen pronuncia una frase emblematica: «Peter ha un’enorme quantità di fiducia in se stesso». Subito dopo, aggiunge che «Peter non ha mai paura». Entrambe le quotes potrebbero essere lo slogan della carriera e della vita del portiere danese, nato da padre polacco e madre danese nel kommune di Gladsaxe, a 13 km da Copenaghen. Del resto, uno che viene definito dal Telegraph come «un portiere dall’enorme presenza fisica, che ha disinnescato ogni cross con il disprezzo che King Kong mostra per i biplani», non può avere paura di nulla. E deve essere per forza estremamente sicuro di sé, dato che, prima di diventare calciatore professionista, ha passato la giovinezza tra un impiego in una fabbrica tessile e un periodo come addetto alle pulizie in una casa di riposo per anziani.

La sua prima vera squadra, dopo gli assaggi con i Gladsaxe-Hero, è lo Hvidore. Tre stagioni tra prima e seconda divisione, dal 1984 al 1986, poi il passaggio al Brondby, che a quei tempi è il club in grande ascesa del calcio danese. Il primo titolo nazionale, vinto proprio nel 1985, spinge la squadra a quella che è la prima partecipazione europea della sua storia, la Coppa dei Campioni 1986/87. Non va neanche male, in realtà: il Brondby, nell’autunno-inverno 1986, elimina l’Honved di Budapest e la Dinamo Berlino. La 1. Division, però, è un campionato ancora sfalsato rispetto alla stagione continentale, inizia a primavera e si ferma nei mesi più freddi. Succede quindi che il Brondby si presenti con una squadra modificata dal calciomercato alla ripresa delle coppe europee. E succede pure che il suo nuovo portiere, Peter Schmeichel, giochi la sua prima gara da professionista nell’andata dei quarti di finale di Coppa Campioni. Allo Estádio das Antas, antenato diretto del do Dragão, contro quel Porto che eliminerà i danesi e vincerà la competizione in finale contro il Bayern Monaco. Juary, Madjer, il tacco di Allah. Nello speciale di Skysport, quando gli chiedono di quella partita, Schmeichel risponde sereno. Ricorda quanto fosse nervoso prima di quella serata, ma aggiunge pure una cosa che spiega al meglio il suo atteggiamento: «That match is a stepping stone, the type of the game I wanted to play».

Peter Schmeichel nel 1998, durante Manchester United 2-2 Leicester. (Stu Forster /Allsport)
Peter Schmeichel nel 1998, durante Manchester United 2-2 Leicester. (Stu Forster /Allsport)

Cinque campionati giocati, quattro vinti con il Brondby. Più una Coppa di Danimarca, nel 1989. E un abbassamento nella media gol segnati, appena due in cinque campionati. Sì, perché Schmeichel rientra nella ristrettissima shortlist dei portieri che possono vantare di aver segnato uno o più gol. Sei, per la precisione, in una sola stagione con lo Hvidore; solo due alla prima annata con la sua nuova squadra. Secondo Wikipedia, sono 10 in tutta la sua carriera. Non si toglierà il vizio neanche con la maglia del Manchester United. Segnerà due reti, gliene assegneranno una sola. A suo modo, comunque, storica: nella Coppa Uefa 1995/96, gli inglesi sono incredibilmente eliminati al primo turno dal Rotor Volgograd. Reti bianche all’andata nell’ex Stalingrado, 1-2 per i russi negli ultimi minuti a Old Trafford. Schmeichel avanza su calcio d’angolo. Svetta di testa e segna, salvando i 39 anni di imbattibilità europea interna dei Red Devils. Viktor Propopenko, allenatore dei russi, ammetterà che «questo genere di cose, da noi, si vedono raramente». Il secondo dei suoi gol con lo United, quello non assegnato, è una splendida rovesciata resa nulla e inutile da un fuorigioco. Era Wimbledon-Manchester United, replay del quarto turno di Fa Cup 1996/97.

Negli storici minuti di recupero di Manchester United-Bayern, la finale del 1999, Schmeichel sale sul calcio d’angolo che poi porterà al pareggio di Sheringham. Ferguson, alla vista del suo portiere che si avvia verso l’area avversaria, si rivolge all’assistente McClaren senza pensare all’autocensura: «Can you fucking believe him?». Classico esempio di memoria corta e di scarsa preveggenza: la palla calciata da Beckham piove proprio nella zona di Schmeichel, che salta in mezzo a tre difensori del Bayern ma forse non la tocca. Rilancio sporco in avanti, tiro al volo di Giggs e tocco di Sheringham a fare una storia. Un minuto e mezzo dopo, Schmeichel festeggia con una capriola il gol decisivo di Ole Gunnar Solskjær.

I due gol, quello buono e quello annullato, segnati con la maglia dello United.

L’esperienza inglese di Schmeichel dura otto stagioni. Se volessimo sforzarci nel trovare un aggettivo per definirle, forse “pienissime” sarebbe perfetto. Il portiere danese diventa The Great Dane e vive e vince tutto quello che c’è da vivere e vincere. Intanto quindici trofei, dalla League Cup del 1992 fino al mitico Treble del 1999. È un idolo a Old Trafford, è il miglior portiere del mondo per l’IFFHS pure nel 1993 e non uscirà dalla top ten per tutto il periodo nei Red Devils e poi fino al 2000. Alle qualità del portiere completo, aggiunge un’esplosiva forza fisica: i grandi interventi di classe e reattività, ma anche il comando assoluto della fase difensiva e il controllo dell’intera area di rigore. Nello speciale di Sky Sports, Michael Laudrup spiega con due frasi secche le doti atletiche e tecniche del suo connazionale: «Schmeichel domina la sua area. È altissimo, ma riesce ad avere una velocità incredibile nonostante la sua mole». I tifosi adorano Schmeichel anche per il suo temperamento e per il suo furore agonistico. Una roba spesso incontrollata e incontrollabile, specie quando c’è da avere a che fare con quelle che forse sono le due figure più rappresentative nella storia recente dello United: Roy Keane e Sir Alex Ferguson.

Lo scontro con l’irlandese, raccontato dallo stesso Keane nella sua autobiografia “The Second Half”, è un cult per gli appassionati degli aneddoti sul calcio inglese. L’occhio nero di Peter e la mano dolorante di Roy sono il bollettino del mattino dopo riferito a una vera e propria battaglia, una scazzottata consumatasi in Asia, nel 1998, durante una tournee dei Red Devils. Daniel Taylor ha raccolto sul Guardian alcune parti di quella storia. Sono altrettanto clamorosi e conosciuti gli alterchi con il manager scozzese, che lo acquista nel 1991 per una cifra irrisoria (poco più di mezzo milione di sterline) e gli affida da subito la maglia numero uno. Il loro è un rapporto particolare, di continui alti e bassi: le parole al miele di Sir Alex («I don’t believe a better goalkeeper played the game. He is a giant figure in the history of Manchester United»), ma anche la rottura del 1994, dopo un’incredibile rimonta subita in casa del Liverpool da 0-3 a 3-3, evidentemente un classico nella storia dei Reds. In questo articolo del Telegraph, datato 2001 e in cui si può leggere dell’episodio di Liverpool, Christopher Davies e Matt Lawton scrivono anche che Teddy Sheringham è pronto a rinnovare il contratto con lo United. Alla fine, invece, tornerà al Tottenham dopo pochi mesi. Lo stesso Ferguson ha raccontato di come una volta, durante un momento di disaccordo nello spogliatoio, si sia sentito perso nel contrastare la prorompente fisicità del suo portiere: «He was towering over me and the other players were almost covering their eyes. I’m looking up and thinking “if he does hit me, I’m dead”».

Osservando Gianluca Vialli, in un Chelsea-United del 1996. Clive Brunskill/Allsport
Osservando Gianluca Vialli, in un Chelsea-United del 1996. Clive Brunskill/Allsport

Il legame tra i due non riesce ad essere pienamente idilliaco nemmeno con il passare degli anni: nella autobiografia pubblicata nel 2013, infatti, Ferguson offre una doppia lettura di Peter Schmeichel. Se da una parte descrive al meglio il suo eccezionale bagaglio tecnico («Schmeichel riusciva a compiere interventi incredibili, che ti veniva da dire: “Gesù, come ha fatto?”. E poi è anche una questione di personalità, non solo di riflessi e qualità fisiche: non c’è arte più difficile di quella del portiere, che deve al tempo stesso compiere parate ma anche evitare gli errori avversari»), dall’altra si “dimentica” di lui quando è il momento di nominare i calciatori più forti che ha allenato nella sua carriera. Il tecnico scozzese, infatti, conta solo quattro «world-class players» lungo la quasi trentennale avventura sulla panchina di Old Trafford: Ryan Giggs, Paul Scholes, Eric Cantona e Cristiano Ronaldo. Schmeichel non c’è, ma è in buona compagnia: insieme a lui mancano pure Roy Keane o a David Beckham, ad esempio.

Ovviamente, però, non mancano i grandi riconoscimenti: il sito ufficiale del Man Utd lo inserisce nella categoria Legends, descrivendolo con frasi a effetto come «Quite simply, Schmeichel was often unbeatable». Nello speciale di Sky Sports, invece, David May (difensore dei Red Devils dal 1994 al 2003) gli fa quello che forse è il complimento più bello per un estremo difensore, paragonando una sua parata contro il Rapid Vienna in Champions League alla storica deviazione di Banks sul colpo di testa di Pelé durante Brasile-Inghilterra a Messico 70. Per May, l’intervento di Schmeichel è «exactly the same» rispetto a quello del portiere campione del Mondo a Londra 1966. Il riconoscimento a cui però chi scrive è più affezionato è quello tributatogli da Robbie Fowler, una vera icona del british football a cavallo tra i Novanta e i Duemila. L’ex attaccante del Liverpool, infatti, inserisce Schmeichel nella sua Top 11 di sempre. Inutile dire che la coppia d’attacco vede Marco Van Basten giocare accanto a Robbie Fowler.

Un po’ del meglio di Peter Schmeichel. Con la musica che forse sceglierebbe anche Peter Schmeichel.

Dopo l’addio al Manchester, dal 1999, la sua carriera e la sua vita sono tutto e il contrario di tutto. Intanto la nuova destinazione, che dopo lo United sembra scelta un po’ a caso: Lisbona, sponda Sporting. Il tocco lirico all’operazione arriva dall’allenatore di quella squadra, l’italiano Giuseppe Materazzi. Ha appena salvato il Piacenza dalla retrocessione in Serie B, si ritrova ad allenare Peter Schmeichel. L’approdo di The Great Dane allo Sporting sorprende un po’ tutti, e a raccontarlo è lo stesso interessato in un’intervista: «Abbiamo trattato per ore affinché fossi acquistato dallo Sporting, trovammo un accordo intorno alle quattro del mattino. Pensavo di poter andare finalmente a riposare, ma mi sbagliavo: il presidente mi portò in una stanza piena di giornalisti, e annunciò così la mia firma: “Abbiamo acquistato Schmeichel, saremo campioni!”». Il perché del Portogallo e dei Leões viene spiegato dallo stesso Schmeichel nella conferenza stampa di presentazione, in cui racconta di «non poter più sostenere i ritmi del calcio inglese». Dice anche che «lo Sporting è una nuova sfida, molto simile a quella lanciata col Manchester nel 1991: allora, i Red Devils non vincevano il titolo da 26 anni e siamo riusciti a trionfare subito in campionato». Lo Sporting non lo vinceva da 18 anni, e nel giugno successivo riuscirà effettivamente a vincere la Primeira Liga. L’unico incidente di percorso è un dettaglio non da poco: Materazzi è stato esonerato a settembre, dopo cinque giornate di campionato e l’eliminazione dalla Coppa Uefa per mano del Viking.

L’avventura lusitana dura due stagioni, il tempo di capire che «I have missed the atmosphere, the good play and the physical part of the game». Schmeichel dice queste parole al momento di presentarsi come nuovo acquisto dell’Aston Villa, nell’estate del 2001. A Birmingham resta solo un anno, giusto il tempo di diventare il primo portiere nella storia della Premier a realizzare un gol su azione. In una delle sue proverbiali escursioni nell’area avversaria, il portiere danese segna a Goodison Park, tana dell’Everton. Stop e tiro al volo di destro, un a rete che la Bbc definisce “goal of the week”. Walter Smith, tecnico scozzese dei Tooffees, parlò così nel postpartita: «I’ve seen goalkeepers score before on television, but never in a game that I’ve been managing. And I hope that I don’t see it again».

L’ultimo approdo di Peter Schmeichel è tutto in questo video. Sono le immagini nel tunnel appena prima di un Manchester Derby, il primo che The Great Dane giocherà con i rivali del City. Come in un film, la tensione cresce col passare dei secondi. Schmeichel, capitano e quindi capofila dei Citizens, passa per primo accanto agli avversari. Alcuni sono suoi ex compagni. Una stretta di mano a un componente dello staff dello United, una pacca sulla spalla da parte di Giggs. Poi Solskjær e Phil Neville, che lo ignorano, e Scholes, che tiene la testa bassa ed evita il contatto visivo. Il grande colpo di scena arriva alla fine, con Schmeichel che offre a Gary Neville una stretta di mano che viene rifiutata con sguardo sdegnato. Schmeichel non sa come prenderla, un po’ sorride e subito dopo torna serio. L’atteggiamento del capitano porta male ai Red Devils: quel giorno, finirà 3-1 per un Manchester City che non ha niente a che vedere con la corazzata multimilionaria di oggi. Per Ferguson e i suoi, andrà maluccio anche nel ritorno (1-1), ma Schmeichel non c’è: nel giorno del suo come back home da odiato cugino contro i tifosi di una vita, a Old Trafford, si fa male nel riscaldamento. Forse è un segno del destino: al suo posto gioca Carlo Nash. Al City dura un anno, solo uno. Giusto il tempo di portare suo figlio Kasper nelle giovanili del club, dal quale partirà per un giro infinito delle lande inglesi che lo condurrà fino a Leicester nell’anno di grazia 2011. Oggi c’è un altro portiere che si chiama Schmeichel ed è in testa alla Premier League. A diciassette anni dall’ultima volta.

Un'uscita imperiosa contro il Walsall, nel 1998 (Alex Livesey/Allsport)
Un’uscita imperiosa contro il Walsall, nel 1998 (Alex Livesey/Allsport)

L’avventura dell’erede è uno dei temi portanti del suo attivissimo profilo Twitter, una roba da 779mila follower e 2764 tweet. La scelta delle foto è molto curata, così come la presentazione personale: «I was a football player, now I work as a Broadcaster, Motivational speaker, Global Ambassador for Carlsberg, Brand ambassador for First & Tipico». L’immagine del profilo è in bianco e nero, e lo immortala con le rughe e un sorriso bonario. Quella di copertina, invece, lo vede giganteggiare su un cartellone pubblicitario in quella che, a cercare di identificarla dai tetti, potrebbe essere una qualsiasi città del Nord Europa. Nei tweet di un continuo bailamme mediatico, ci sono le imprese di Kasper, ma anche tutti i vecchi amori della carriera da giocatore. Uno degli ultimi tweet sullo United, ad esempio, riguarda ovviamente il ruolo del portiere: se De Gea dovesse essere ceduto, Peter consiglia di prendere Hugo Lloris.

Molte esperienze televisive dopo il ritiro, alcune abbastanza discutibili: la partecipazione alla versione britannica di Ballando con le Stelle, un ruolo da protagonista in Dirty Jobs, trasmissione che obbliga ospiti vip a cimentarsi in lavori degradanti e disgustosi. Il resto è calcio, ancora. Le ultime sentenze sullo United, sparate in un’intervista a Sky Sports, riguardano la posizione di Rooney, che lui vedrebbe bene come centrocampista, e quella di Martial, ideale come prima punta. Una persona che lo conosce bene, in un’intervista, ha dichiarato: «Sono fortunato a poter parlare del gioco con uno come lui, che riesce sempre a guardare le cose secondo il giusto punto di vista calcistico». Kasper Schmeichel descrive così, così bene, suo padre Peter. Forse queste parole sono il miglior riconoscimento possibile per The Great Dane come uomo di calcio. Il personaggio, tra i tanti, che gli è venuto meglio nel corso della vita.

 

Nell’immagine in evidenza, Peter Schmeichel esulta durante un Manchester Utd-Liverpool 1-0. Clive Brunskill/Allsport