Niente da salvare

La stagione drammatica dell'Aston Villa, matematicamente retrocesso dopo 28 anni in Premier League, è un manuale su come fallire.

Il momento Sliding Doors non può essere che a Londra. Solo che questa volta siamo a Wembley, non nella Waterloo Station del film cult di Peter Howitt. Si gioca la finale della Fa Cup 2015 tra Arsenal e Aston Villa. La squadra di Birmingham non si qualificava dal 2000 all’ultimo atto della Coppa d’Inghilterra: allora, i Villans persero 1-0 contro il Chelsea in quella che fu l’ultima partita nella storia dell’Empire Stadium, nome ufficiale del primo Wembley, quello con le twin towers. In realtà, il momento Sliding Doors è lungo 90 minuti che sono un’agonia per tutti i tifosi della Claret and Blue Army. Il 4-0 confezionato dagli uomini di Wenger è addirittura riduttivo rispetto al loro dominio assoluto. David Taylor, sul Guardian, descrive così la supremazia dei Gunners: «Arsenal set about dismantling their opponents from the start».

Nessuno potrà mai sapere cosa sarebbe accaduto se i Villans avessero vinto quella Fa Cup. Forse un trionfo inatteso contro l’Arsenal non avrebbe comunque cambiato la situazione del club, anche perché quell’Aston Villa non era tanto diverso da quello che sabato scorso, a Old Trafford, ha certificato la retrocessione in Championship. Anche prima e dopo la finale di Wembley, i tifosi protestavano contro la proprietà Lerner; anche prima e dopo la finale di Wembley, la percentuale di gradimento per i Villans, di appassionati e addetti ai lavori, era prossima allo zero. Un esempio: su FourFourTwo, nel gennaio 2015, Alasdair Mackenzie pubblica un articolo con questo titolo: «Why this Aston Villa team is the most boring in Premier League history».

Supremacy

Se provi a digitare su Google “lerner aston villa”, gli algoritmi dell’engine ti suggeriscono, come prime due ricerche correlate, “lerner aston villa sale” e “lerner aston villa out”. Randy Lerner è il 509esimo uomo più ricco degli Stati Uniti (secondo Forbes ) ed è proprietario del club di Birmingham dal novembre del 2006. Ha deciso di mettere in vendita la squadra nel 2014, e da qui il primo suggerimento degli algoritmi. Il secondo, roba da petizione online su change.org, nasce dall’avversione sviluppata progressivamente da tutta la tifoseria del Villa. L’ avventura di Lerner alla guida del club, in realtà, non era nemmeno iniziata male: dopo l’acquisizione per 62 milioni di sterline, ecco un insediamento con proclami di grandezza («Villa will compete at the highest level within the Premiership and in Europe») e tre Premier consecutive concluse al sesto posto in classifica, a ridosso delle grandi. In panchina Martin O’Neill, attuale commissario tecnico (nordirlandese) dell’Eire; in campo, una squadra di buon livello tra calciatori dell’Academy (Gabriel Agbonlahor, Gareth Barry) e buoni acquisti dall’estero e dall’Inghilterra (Milner, Young, Reo-Cocker, Cuéllar, Delph).

Le cose iniziano a cambiare nell’estate del 2009, con la seconda eliminazione consecutiva ai preliminari di Europa League (giustizieri, in entrambi i casi, gli austriaci del Rapid Vienna) e la prima cessione di peso, quella di Gareth Barry al Manchester City per 12 milioni di sterline. Un anno dopo, la situazione precipita: l’Aston Villa perde contro il Manchester United la finale di League Cup (un altro potenziale e meno recente momento Sliding Doors) e James Milner finisce ancora al City per 26 milioni di sterline, coperti in parte dal cartellino di Stephen Ireland. Nonostante questa cessione a otto cifre, Lerner chiude i rubinetti a O’Neill, che non riceve fondi per rinforzare la squadra al calciomercato. E allora, saluta e se ne va, perché in disaccordo con la nuova politica che la proprietà vuole perseguire già da un po’. Ovvero, da quando si è accorta che i continui investimenti al mercato non hanno portato al salto di qualità, ma a un buco di bilancio di 46 milioni per la sola stagione 2008/2009.

BIRMINGHAM, UNITED KINGDOM - APRIL 09: An Aston Villa supporter holds a banner protesting owner Randy Lerner prior to the Barclays Premier League match between Aston Villa and A.F.C. Bournemouth at Villa Park on April 9, 2016 in Birmingham, England. (Photo by Shaun Botterill/Getty Images)
Un fan dell’ Aston Villa con una sciarpa di protesta contro Randy Lerner (Shaun Botterill/Getty Images)

Nell’intervista di commiato, O’Neill ringrazia tutti, o quasi: «I would like to pay tribute to the Villa players, my coaching staff and the Villa supporters for all the support and encouragement they have given both the club and me personally during my time as manager». Zero parole per una società che, dopo aver investito 179 milioni di sterline dal 2006 al 2010, ha deciso di contenersi con le spese. Da allora, il down è continuo. Al mercato, innanzitutto, perché la nuova regola è quella del sell-to-buy: a fronte di arrivi di qualità medio-alta (N’Zogbia, Benteke, Aly Cissokho), le cessioni sono sempre eccellenti (Downing e Young nel 2011, Collins nel 2012). Fino al capolavoro dell’estate scorsa. Fuori Benteke e Delph (57 milioni di incasso totale, 46,5 per il centravanti belga), dentro Idrissa Gueye (9 milioni), Adama Traore (10), Jordan Veretout (10), Jordan Amavi (11) e Jordan Ayew (11). Insomma, un vero e proprio tutorial su come gestire male una sessione di calciomercato. Firmato da Tim Sherwood, il tecnico che nel frattempo ha ereditato una panchina occupata, dopo O’Neill, da Houllier, Alex McLeish e Paul Lambert.

Tra tutti, proprio Lambert ha descritto meglio la situazione di assoluta disillusione della dirigenza americana rispetto alle sorti dell’Aston Villa: «Quando ho parlato per la prima volta con Lerner della mia avventura come manager della squadra, lui mi aveva avvertito che quello sarebbe stato l’anno più difficile di tutta la mia carriera. Quello che non mi aveva detto è che il secondo sarebbe stato identico a quello precedente». Dopo una sconfitta per 3-0 contro il Tottenham, nel 2014, Lambert si esprime così: «It needs investment, it’s simple». Che poi, non si tratterebbe neanche di una totale mancanza di investimenti, quanto di una pessima gestione iniziale e di un progressivo e incontrollato aumento dei costi: in un articolo su Forbes, Bobby McMahon ha calcolato che Lerner ha bruciato, per l’Aston Villa, una cifra di 356 milioni di dollari. Più di 100mila dollari al giorno per ogni giorno della sua avventura come proprietario dei Villans.

An Aston Villa supporter looks on before the English Premier League football match between Aston Villa and Chelsea at Villa Park in Birmingham, central England on April 2, 2016. / AFP / OLI SCARFF / RESTRICTED TO EDITORIAL USE. No use with unauthorized audio, video, data, fixture lists, club/league logos or 'live' services. Online in-match use limited to 75 images, no video emulation. No use in betting, games or single club/league/player publications. / (Photo credit should read OLI SCARFF/AFP/Getty Images)
Un fan dell’Aston Villa prima di un match di Premier tra Aston Villa e Chelsea (Oli Scarff/Afp/Getty Images)

La confusione della e nella dirigenza (emblematico questo articolo del Mirror su Tom Fox, CEO del club dall’agosto del 2014 allo scorso marzo ) e la mancanza di investimenti sul mercato portano ai pessimi risultati degli ultimi anni: dall’addio di O’Neill, quindi dalla stagione 2010/2011, l’Aston Villa non va al di là del quindicesimo posto e dei 41 punti complessivi conquistati nell’annata 2012/2013. Gli attuali 16 punti in classifica a quattro giornate dal termine, e a 13 lunghezze dal Newcastle penultimo, raccontano della pochezza tecnica della squadra, alla guida della quale si sono alternati Tim Sherwood, Kevin MacDonald (ad interim), Remi Garde e l’attuale manager, ancora a interim, Kevin MacDonald. Lo stesso manager che gestì, sempre a interim, le dimissioni di Martin O’Neill nell’estate del 2010. L’inizio della fine. Quantomeno singolare che sia proprio lui, quasi come in una regia ciclica del dramma Aston Villa, ad accompagnare il club verso la discesa in Championship.

Una discesa pienamente meritata, e lo leggi nei numeri: l’Aston Villa ha il peggior attacco e la peggior difesa del campionato (23 gol fatti, 65 subiti), è la squadra che tira di meno dall’area di rigore (appena 139 conclusioni dentro i 16 metri) ed ha la peggiore shoot accuracy dell’intera Premier (39%, come il Wba). Appena 6 gol per il calciatore più prolifico, l’ex Marsiglia Jordan Ayew, e solo 9 giocatori a segno in 34 gare di campionato. Più il peggior dato sui cartellini gialli, 69 in tutto. Tra i calciatori, poco da salvare. Anzi, nulla. Lo sa anche lo stesso club, che già prima della sconfitta nel match decisivo ad Old Trafford, aveva deciso di annullare il premio di calciatore dell’anno.

"Che futuro?" (Shaun Botterill/Getty Images)
“Che futuro?” (Shaun Botterill/Getty Images)

Una retrocessione storica. Per il club, per il calcio inglese, per il calcio europeo. L’Aston Villa non retrocedeva in seconda divisione dalla stagione 1986/87. Allora, fu il terzo club della storia ad abbandonare il massimo campionato della propria nazione dopo essere stato campione d’Europa. Prima del Villa, il Manchester United e il Milan (prima a tavolino, poi sul campo); qualche anno dopo, sarebbe toccato al Nottingham Forest. In tempi più recenti, le retrocessioni (a tavolino) di Olympique Marsiglia e Juventus. Il fatto che l’ultima relegation risalga al 1987 fa (faceva) dell’Aston Villa una delle 7 squadre (le Big Five più l’Everton) ad aver partecipato a tutte le edizioni post-scisma, dal 1992 a oggi.

A suo modo, anche quello del 1987 fu un risultato incredibile, a soli cinque anni dalla Coppa dei Campioni vinta a Rotterdam contro il Bayern Monaco. Ultimo posto anche allora, con un cambio in panchina (Billy McNeill per Graham Turner) e una certezza matematica giunta con un anticipo minore, solo alla penultima giornata, con la sconfitta casalinga contro lo Sheffield Wednesday. Durante la stagione, un secco 5-0 patito a Southampton porta il tecnico McNeill, che l’anno dopo vincerà il titolo scozzese con il Celtic, a raccontare di «una vergogna mai provata prima nella carriera di allenatore». L’Old Trafford di Manchester fu un luogo chiave, allora come quest’anno. Se sabato scorso ha sancito l’ufficialità della retrocessione dei Villans, nel 1987 fu teatro dell’ultima partita prima di salutare la Firts Division, vinta per 3-1 dai Red Devils. Solo sei mesi prima, il club di Manchester avevano nominato un nuovo allenatore, scozzese come McNeill: Alex Ferguson. Il Villa riuscì a ritornare subito nell’allora First Division, grazie al lavoro del nuovo manager Graham Taylor, artefice del miracolo Watford. La promozione fu conquistata all’ultimo tuffo, grazie a un pareggio a reti bianche in casa dello Swindon che è possibile rivedere in questo video d’epoca.

Il numero 11 che coglie il palo da zero metri è un giovanissimo David Platt

Le prospettive per il 2016/2017 non sembrano promettere il ritorno agevole di quasi trent’anni fa. Il caos regna sovrano, tra i calciatori come in società. Poche ore dopo la sconfitta a Manchester, il Sun ha pubblicato le immagini di una festa poco edificante a cui avrebbe partecipato il capitano del club Gabby Agbonlahor, ufficialmente assente per infortunio. L’attaccante è stato sospeso dal club in attesa di ulteriori indagini sul suo comportamento. Il difensore Lescott, ex del Manchester City, ha invece definito la retrocessione ormai matematica come «un peso che i calciatori dell’Aston Villa si sono finalmente tolti dalle spalle». Una dichiarazione che, ovviamente, non ha reso particolarmente felici i tifosi del club.

David Bernstein e Mervyn King, due membri del board, hanno presentato dimissioni irrevocabili subito dopo la certezza della discesa in Championship, mentre il presidente esecutivo Steve Hollis ha pubblicato sul sito ufficiale del club una lettera aperta ai tifosi in cui annuncia «l’inizio della ricerca di un nuovo manager per centrare la promozione immediata». L’Aston Villa, intanto, è ancora in vendita. Lerner aspetta ancora di trovare l’acquirente giusto, mentre i tifosi continuano nella loro protesta e augurano a sé stessi e alla loro squadra che questa cessione arrivi il prima possibile. Lo scrivono in una lettera aperta, anche loro, indirizzata al proprietario del club. Lo scrivono con parole che fanno male: «Are we a toy that you broke then simply discarded in the trash as if it were nothing more than a fleeting memory? […] To make a public statement indicating that you are once again motivated to sell the club at a price at which Aston Villa can be sold to a person, or persons, with the means and vision to restore this club to its rightful place».

In questo senso, sembrano esserci notizie fresche: l’ultima indiscrezione del Birmingham Mail racconta di «trattative avanzate» per la cessione dell’Aston Villa a Larry Ellison, boss di Oracle. Un altro americano. Intorno al Villa Park hanno iniziato a toccare ferro. Non si sa mai.