Rivincite

Real Madrid-Atlético, ancora, come due anni fa. La Champions League è il terreno dove consumare le proprie vendette sportive: viaggio tra dieci sfide.

Come due anni fa. Real Madrid e Atlético Madrid sono ancora in finale di Champions League: altre facce, altro stadio, altra storia. Però la stessa voglia di vincere, che nel caso dell’Atlético si trasforma in voglia di rivincita: vendicare la cocente sconfitta di Lisbona, quando venne raggiunto sull’1-1 proprio nei minuti di recupero e poi giustiziata nei tempi supplementari. La storia della Champions League è piena di rivincite, a pochi come a molti anni di distanza, contro vecchi nemici, vecchi fantasmi e persino contro se stessi.

Milan-Liverpool

Due anni dopo Istanbul, Atene. Va detto chiaramente: per adrenalina, emozioni (positive e negative) e suggestioni, la seconda vale cinque volte meno della prima. E’ stata una rivincita, nessuno lo può negare, ma l’intensità di delusione e estasi rispettivamente vissute dalle due tifoserie nel 2005 non sono paragonabili a ciò che le stesse hanno provato, a parti invertite, due anni dopo. Certo, ad Atene c’è stato un gol di spalla, di quelli che in certe occasioni così importanti riescono solo a un brocco di genio (copyright Franco Rossi) alla Pippo Inzaghi, autore anche del raddoppio. Ad Atene il Liverpool ha giocato nettamente meglio di quanto fatto a Istanbul, dove riuscì a capirci qualcosa solamente nella prima mezzora del secondo tempo, un lasso sufficiente per rimontare tre reti. Fa male perdere come fecero i Reds in Grecia, ma quasi ci si vergogna a pensarlo quando si ripensa all’epilogo di due anni prima, allo 0-3 dell’intervallo con tanto di festeggiamenti rossoneri negli spogliatoio (ci sono stati, a dispetto delle sempreverdi teorie negazioniste), alle mani di Dudek guidate dal cielo da Karol Wojtyla (così disse il portiere polacco a fine incontro), ad Hamann che calciò il rigore con il metatarso rotto, a capitan Gerrad arrivato fin lì in onore del cugino Jon-Paul Gilhooley, morto nella strage di Hillsborough. Nessuna Atene potrà mai far dimenticare Istanbul.

Filippo Inzaghi segna il 2-0 contro il Liverpool nella finale di Atene (Paul Ellis/AFP/Getty Images)
Filippo Inzaghi segna il 2-0 contro il Liverpool nella finale di Atene (Paul Ellis/AFP/Getty Images)

Juventus-Ajax

Chiedete ancora oggi a Silvio Longobucco di Johnny Rep e in cambio otterrete una smorfia. Sempre la stessa, da 43 anni a questa parte, perché il disappunto per quel colpo di testa che decise la Coppa Campioni 1973 è rimasto intatto. “Rep ebbe grande fortuna, oltre ad essere stato scorretto. Mi tenne giù con il braccio sinistro e io non riuscì a saltare. Gol da annullare. Ma non andò così”. L’Ajax era alla terza finale di Coppa consecutiva, il logorio mentale delle sue stelle cominciava a farsi sentire (secondo Cruijff fu la loro peggior finale), ma la Juve era talmente intimorita dai profeti del nuovo calcio che fu sufficiente il guizzo di Rep dopo cinque minuti a chiudere la pratica. La Coppa Campioni gettata dagli ajacidi nella pancia del loro bus, quasi fosse un rottame di latta, rende bene l’idea di come, talvolta, ci si stanchi anche di vincere. 23 anni dopo tocca invece alla Juventus di Marcello Lippi il ruolo di favorita, e il campo non smentisce il pronostico, anche se il dominio bianconero non si concretizza nel punteggio. Dopo il botta e risposta Ravanelli-Litmanen, con Penna Bianca che segna quasi dalla linea di fondocampo e il finlandese abile a sfruttare l’unico errore della difesa juventina in 120 minuti di gioco, sono necessari i rigori per completare la rivincita Juve. Sbagliano Davids e Silooy, il penalty decisivo tocca a Jugovic: palla alla destra di Van der Sar e seconda Coppa Campioni nella bacheca bianconera.

I rigori di Juventus-Ajax, finale del 1996

Barcellona-Chelsea

Gli inglesi lo hanno chiamato Iniestazo, anche se Andres Iniesta in quella semifinale di Champions tra Chelsea e Barcellona c’entra poco. O meglio, c’entra tantissimo nell’economia del risultato finale, visto che fu proprio un suo gol allo scadere a regalare il pareggio al Barcellona e, in virtù dello 0-0 del Camp Nou, il passaggio del turno. Ma lo shock prodotto dall’Iniestazo non fu tanto il gol in sé, quanto l’arbitraggio del norvegese Ovrebo, che non concesse tre rigori solari al Chelsea e finì con il vanificare l’incredibile ragnatela tattica tessuta da Hiddink nel corso dei novanta minuti, che aveva imbrigliato gli uomini di Guardiola, nettamente favoriti alla vigilia. Così come lo erano tre anni dopo, specialmente nei confronti di un Chelsea alle prese con una stagione turbolenta che aveva visto avvicendarsi, in panchina, Di Matteo a Villas Boas. Cech, Cole, Terry, Lampard e Drogba erano in campo il giorno dell’Iniestazo, e fu proprio l’ivoriano a firmare il gol-partita nell’andata a Stamford Bridge. Al Camp Nou scende in campo un Chelsea tutto cuore e difesa, che rimonta due reti di svantaggio (cucchiaio di Ramires, contropiede di Torres) e ringrazia il fattore C, con Messi fermato due volte dal palo. L’eroe per caso Di Matteo vincerà addirittura la Champions.

Iniestazo (Jamie McDonald/Getty Images)
Iniestazo (Jamie McDonald/Getty Images)

Valencia

Dallo Stade de France di Parigi a San Siro in dodici mesi, una rivincita contro sé stessi che il Valencia non è riuscito a completare. Due finali in due anni, altrettante sconfitte, e l’etichetta di eterno secondo scolpita per sempre nel curriculum vitae Hector Cuper, che prima della doppietta con il Valencia aveva perso la finale di Coppa delle Coppe con il Maiorca. Qualcuno potrebbe obiettare, non a torto, come portare le citate squadre a giocarsi una coppa europea fosse già una grande impresa, ma nel calcio (e nella memoria dei tifosi) vige la legge del Vae victis. In casa Valencia a bruciare è soprattutto la seconda finale, dal momento che nella prima non c’era stata partita: troppo forte il Real Madrid per il pur ottimo collettivo guidato da Mendieta e Claudio Lopez. Morientes, McManaman (tiro al volo da urlo) e Raul sono una sentenza che non ammette prove d’appello. Dodici mesi dopo però, contro un Bayern Monaco abbottonato e tutto muscoli, le cose avrebbero dovuto andare diversamente. Ma della squadra che, ai quarti e in semifinale, aveva rifilato rispettivamente cinque reti alla Lazio e quattro al Barcellona, non si trova traccia sull’erba del Meazza, nemmeno dopo il fulmineo vantaggio di Mendieta (su rigore) e il penalty fallito da Scholl. Cuper sposta il baricentro sempre più indietro, toglie Aimar per inserire Albelda, gli spagnoli non tirano più in porta e il Bayern fa centro con Effenberg (ancora dagli undici metri). Si va ai rigori, ma contro un fenomeno quale Oliver Kahn il finale è già scritto.

La finale tra Bayern e Valencia del 2001

Chelsea-Liverpool

Nella seconda metà degli anni 2000, il derby inglese in Champions tra Blues e Reds era più puntuale dell’aumento della benzina alla vigilia delle vacanze. Dal 2005 al 2009, per cinque edizioni consecutive Chelsea e Liverpool hanno incrociato i tacchetti. Ecco com’è andata. Semifinale 2005: dopo lo 0-0 di Londra, ad Anfield decide lo spagnolo Luis Garcia, con Mourinho che parla di gol fantasma dello spagnolo in quanto, a suo dire, la palla non avrebbe varcato la linea di porta. Al 7’ di recupero Gudjohnsen si mangia il pari, e il Liverpool torna in finale dopo 20 anni. Gironi 2006: doppio 0-0, da ricordare solo un’entrata assassina di Essien su Hamann, con il ghanese incredibilmente rimasto in campo. Semifinale 2007: Joe Cole colpisce all’andata, Agger al ritorno, i rigori premiano i Reds, a segno quattro volte su quattro, mentre Reina si supera contro Geremi e Robben. Semifinale 2008: per la prima volta passano i Blues, grazie a un gol ai supplementari di Drogba, ma nell’economia del doppio confronto pesa il bizzarro autogol di Riise al 95’ dell’andata, che regala al Chelsea un insperato pareggio. Quarti 2009: l’era Benitez è agli sgoccioli, il Liverpool perde 3-1 in casa ma il ritorno è pura magia calcistica, con un vortice di emozioni ben rappresentato dal 4-4 finale. Reds avanti di due gol, poi rimonta Blues fino al 3-2, quindi nuovo sorpasso Liverpool per il 3-4, infine il pari di Lampard a un minuto dalla fine. Nel recupero Essien salva sulla linea il possibile 4-5. Spettacolo puro.

2009, Chelsea-Liverpool 4-4

Barcellona-Real Madrid

Ci è voluto Pep Guardiola per spezzare la maledizione del Clasico nelle semifinali di Coppa Campioni/Champions League per il Barcellona. Nel 1960 non ci fu storia, con un doppio 3-1 per il Real Madrid che poi sarebbe andato in finale a stracciare l’Eintracht Francoforte (7-3). Nel 2002 c’era più equilibrio, a partire dalle assenze eccellenti: Barça senza l’infortunato Rivaldo, Merengues senza lo squalificato Figo. Con i giovani Reina e Casillas a scaldare le rispettive panchine in qualità di portieri di riserva, al Camp Nou Zidane e McManaman puniscono l’inconcludenza del tridente Overmars-Kluivert-Saviola. Qualificazione chiusa, al Bernabeu il Real controlla agevolmente, passando con Raul prima dell’autogol di Helguera (1-1). Real in finale, poi decisa da un’opera d’arte di Zidane. Il 2011 è l’anno dei quattro Clasicos in un mese, in tre competizioni diverse (Liga, Copa del Rey, Champions). Mourinho alza la tensione sopra il livello di guardia, a Madrid tra le scintille (espulso Pepe) spunta Messi, che prima finalizza uno spunto di Afellay, poi decide di fare tutto da solo, salta cinque madridisti e chiude ogni discorso. Al ritorno è 1-1, con il Camp Nou che applaude il ritorno in campo di Abidal 46 giorni dopo l’operazione per rimuovere un tumore al fegato. Un mese dopo, alzerà la Champions.

Ajax-Milan

Il nuovo che si affaccia sul palcoscenico internazionale il 28 maggio 1969 è ancora in uno stato troppo embrionale per poter competere ad armi pari contro il navigato Milan di Nereo Rocco. Troppo acerbo l’Ajax di Michels e di un 22enne Cruijff, un prototipo ancora in fase di lavorazione che finisce travolto dai più esperti Rivera, Prati e Sormani. All’intervallo il Milan è già avanti due reti, gli olandesi tengono la palla e praticano un’ostruzionistica tattica del fuorigioco, ma riescono a superare Cudicini solamente su rigore con Vasovic. Poi è di nuovo Milan, e i gol salgono a quattro. La giovane età non frena invece gli ajacidi 26 anni dopo, nonostante una partita tutt’altro che brillante giocata di fronte a un Milan in fase calante. La mossa che fa saltare il banco arriva a 20 minuti dalla fine, quando Van Gaal toglie il falso nove Litmanen per inserire una punta vera, il 18enne Kluivert, che un quarto d’ora dopo resiste a una carica e infila di sinistro alle spalle di Rossi. L’azione era partita dall’ex rossonero Rijkaard, tornato ad Amsterdam per chiudere la carriera nel migliore dei modi. Per l’Ajax saranno le ultima apparizioni ai più alti di livelli di Champions, visto che all’orizzonte già si stagliava – minacciosa e sottovalutata – la sentenza Bosman, tomba di tutti i club alla periferia dell’impero.

Finale 1995

Juventus-Real Madrid

Nel 1998 la Juventus di Lippi approda per la terza volta consecutiva in finale di Champions, trovandosi di fronte un Real Madrid non certamente in una delle sue migliori annate. Mentre infatti i bianconeri si sono appena riconfermati campioni d’Italia, le balbettanti Merengues hanno chiuso la Liga al quarto posto a 11 punti dal Barcellona campione. Ma l’aria rarefatta della vetta d’Europa gioca ancora una volta un brutto scherzo alla Juve, punita ingiustamente da un gol di Mijatovic partito in netto fuorigioco, ma anche lontana parente dello squadrone arrivato fino all’Amsterdam Arena a suon di poker (rifilato sia nei quarti alla Dinamo Kiev che in semifinale al Monaco). Davids e Inzaghi completano la serata-no fallendo il pareggio. Dopo l’amara notte olandese, il Real non è più riuscito a prevalere sulla Juve in partite a eliminazione diretta. Nel 2003 Trezeguet, Del Piero e Nedved ribaltano l’1-2 del Bernabeu in una delle migliori partite europee di sempre dei bianconeri, macchiata solo dal giallo a Nedved che gli farà saltare la finale contro il Milan (persa ai rigori); un anno fa tocca invece a Morata gelare a domicilio i suoi ex tifosi, pareggiando il vantaggio di Ronaldo e qualificando la Juventus all’ennesima finale. Ancora una volta però l’epilogo sarà identico a quello del 1998.

L'esultanza di Del Piero contro il Real Madrid nel 2003 (Paolo Cocco/AFP/Getty Images)
L’esultanza di Del Piero contro il Real Madrid nel 2003 (Paolo Cocco/AFP/Getty Images)

Chelsea-Paris Saint Germain

Growing up in public, titolava un album di Lou Reed del 1980. Crescere in pubblico. Questo è il destino del Paris Saint Germain, per il quale il pubblico – inteso come elemento di stimolo e pressione che induce un’artista/atleta a cercare di migliorarsi continuamente – è limitato al solo ambito europeo, visto il pressoché nullo livello di competitività che offre la Ligue 1 ai parigini. Un campionato – citando Fabio Capello – per nulla allenante. Da quando frequenta con continuità la Champions, il PSG si è trovato di fronte il Chelsea in tre occasioni su quattro. Nel 2014 è andata male, eliminato in rimonta dai panchinari Blues Schurrle e Demba Ba, le cui reti a Stamford Bridge ribaltarono l’1-3 dell’andata. Nel 2015 i francesi vinsero senza vincere, ma il 2-2 di Londra (dopo l’1-1 dell’andata) fu un piccolo capolavoro, vista l’inferiorità numerica per un’ora e mezza di gioco (supplementari inclusi). Era stato cacciato Ibrahimovic, non un giocatore qualsiasi, ma a sei minuti dall’eliminazione una capocciata di Thiago Silva aveva regalato al PSG i quarti per il terzo anno consecutivo. La stagione appena conclusa ha archiviato una nuova sfida tra parigini e Blues, e questa volta i primi hanno nettamente vinto il doppio confronto grazie a un super Ibra, decisivo sia all’andata che al ritorno. Poi però si sono nuovamente arenati allo scoglio dei quarti. Chiaro segno di come sia necessario crescere ancora.

David Luiz, ex beffardo a Stamford Bridge (Paul Gilham/Getty Images)
David Luiz, ex beffardo a Stamford Bridge (Paul Gilham/Getty Images)

Atletico Madrid-Bayern Monaco

Quando, nel dicembre 2011, Diego Pablo Simeone divenne l’allenatore dell’Atletico Madrid, suo figlio (9 anni) gli chiese: “Andrai a sfidare Messi e Ronaldo? Papà, sei sicuro?”. Sottinteso: papà, te ne vai dall’altra parte del mondo per andare a giocare contro dei marziani? Quattro anni e mezzo dopo, Simeone quegli extra-terrestri li ha affrontati e sconfitti a più riprese. Ed è andato oltre, eliminando il Bayern Monaco di Guardiola (sempre per rimanere in tema di titani), vendicando così la finale persa 42 anni prima dall’Atletico, nel modo più crudele, con una rete all’ultimo minuto di Schwarzenbeck che pareggiò la marcatura di Aragones e mandò spagnoli e bavaresi al replay (i rigori non erano ancora stati introdotti), dove non ci fu più partita. Troppo forti i tedeschi a livello fisico, e i Colchoneros se ne tornarono a casa con quattro reti sul groppone. Uno smacco cancellato il mese scorso dopo 180 minuti di sangue, sudore e lacrime, in puro stile Simeone, con il Bayern incartato al Calderon e respinto con ogni mezzo – inclusi un pizzico di fortuna e un arbitro non proprio ostile – all’Allianz Arena. Adesso manca l’ultima rivincita, contro un Real già superato in più occasioni, ma che due anni fa  sfilò la Champions all’Atletico nei minuti di recupero. Appuntamento sabato sera a San Siro.

 

Nell’immagine in evidenza, Sergio Ramos esulta dopo il gol dell’1-1 nella finale di Champions del 2014 (Shaun Botterill/Getty Images)