Conquistare Madrid

Rivalità, sfottò, finali tirate e rivalse: in gioco il predominio della città. La finale di Champions sarà l'ennesimo atto tra Real Madrid e Atlético Madrid.

«Se busca rival digno para derbi decente», si cerca rivale degno per giocare un derby decente. Questo striscione apparve in uno dei settori del Santiago Bernabéu il 26 novembre del 2011: sulla panchina del Real Madrid c’era José Mourinho, su quella dell’Atlético Gregorio Manzano. I rojiblancos, incapaci di vincere un derby per 14 lunghi anni, stavano perdendo (e avrebbero poi perso) per 4-1. L’ennesima bastonata. Accompagnata, peraltro, dagli sfottò di tutto lo stadio. In quello stadio, l’Atlético si sarebbe preso la rivincita due anni e mezzo più tardi. Manzano non finí la stagione al Manzanarre, si dimise poco prima di Natale. Al suo posto arrivò un vecchio nome del club, Diego Pablo Simeone.

Diego Pablo Simeone passeggia a pochi giorni dalla finale (Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images)
Diego Pablo Simeone passeggia, a pochi giorni dalla finale (Gonzalo Arroyo Moreno/Getty Images)

Con lui al timone, l’Atlético ha smesso di essere el pupas, come lo si conosce in Spagna. Tradotto: la vittima, o la vittima beffata all’ultimo momento. Il soprannome risale al 1974. L’Atlético si giocava la finale di Coppa Campioni contro il Bayern di Hoeness, Breitner e Muller, tra gli altri. Ci era arrivato senza subire gol fuori casa, un record nella storia del club. E si giocava proprio fuori casa quella sera, all’Heysel. Le cose erano cominciate bene, con un gol di Luis Aragonés sul finire dei supplementari, al 114esimo. Dopo sei minuti pareggiò Schwarzenbeck. Due giorni dopo, nello spareggio, il Bayern asfaltó l’Atlético per 4-0. Nasceva cosí el pupas. Un sogno vicino, vicino, che si frantumò all’ultimo momento.

Ci ha messo anni la squadra colchonera a togliersi di dosso quel soprannome. Ci è riuscito con Simeone che, tra l’altro, ha messo fine anche a anni di calvario. Il 17 maggio del 2013, il suo Atlético riuscì finalmente a vincere un derby. Al Bernabéu, quella sera, nella finale di Coppa del Re, le cose cominciarono come sempre. Gol di Cristiano Ronaldo al settimo del primo tempo. Sembrava la storia giá vista. E invece Diego Costa pareggiò al 35esimo e si andò ai supplementari. Un gol spettacolare di testa di Miranda al 99esimo ammutolì il settore madridista dello stadio. L’Atlético non era più il pupas, l’Atlético aveva sconfitto il Real Madrid 14 anni dopo, nel suo stadio e in una finale. Cominciava a vedersi la mano di Simeone. L’allenatore argentino aveva contagiato i suoi con lo spirito che lo caratterizzava quando era giocatore: agonismo, voglia smisurata di vincere e attributi. Non per niente uno dei  lemmi della gestione Simeone è: «Nunca dejes de creer», non smettere mai di crederci. Quella vittoria nella finale di Coppa mise fine al ciclo di Mourinho sulla panchina dei blancos e diede inizio alla cavalcata di Simeone.

14 anni dopo l’ultima volta: è il 2013, l’Atlético vince finalmente un derby

Non c’é mai stata risposta a quel famoso striscione. I colchoneros dicono che loro hanno risposto sul terreno di gioco. E cantando. Perché da quella sera, e soprattutto dopo aver conquistato lo scudetto nel 2014 mettendo fine al duopolio tra Barcellona e Real Madrid, cominciarono a cantare: «Qué se enteren los vikingos quien manda en la capital». Vikingos è il nome con cui si conoscono i tifosi del Real e quella sera il coro fu per loro: guardate chi comanda nella capitale. Negli ultimi due anni, l’Atlético è cresciuto soprattutto a livello commerciale e di marchio. Su Instagram é passato da 160.000 a 1,8 milioni di followers; su Facebook da 5,2 a 12,9; su Google da 500.000 a 1,1 e su Twitter da 800.000 a 2,2 milioni. Anche la massa sociale, come si dice in Spagna, é aumentata di un 30%. Gli abbonati sono passati da 66.648 a 86.253 e i club da 723 a 755. Il fatturato è cresciuto del 25% e le vendite online del 45%. Gli introiti sono passati da 162,8 nella stagione 2013/14 ai quasi 200 della scorsa. Per quest’anno si prevedono tra i 250 e i 300 milioni.

Club Atletico de Madrid v Real Madrid CF - La Liga

Da quella finale di Coppa in poi, la rivalità tra Atlético e Real Madrid si è trasformata in un susseguirsi di vendette. Prima vinco io, poi tu, poi io, poi tu. In campionato, coppa e soprattutto in Champions. Negli ultimi tre anni si sono giocati tra campionato, coppe, Supercoppe e Champions 15 derby: il Real ne ha vinti appena 4, l’Atlético 6 e il resto sono stati pareggi. In mezzo, una delle più grandi umiliazioni per i blancos, la sconfitta per 4-0 nel derby del febbraio del 2015, la notte più brutta di Carlo Ancelotti. L’Atlético era diventato un rivale degno, e aveva rovinato la festa di compleanno di Cristiano Ronaldo. Il giocatore portoghese l’aveva organizzata da mesi per quella sera, troppo tardi per cancellarla. Ancelotti non ci andò, ma ci andarono vari giocatori. La festa fece infuriare molti tifosi, e quella sconfitta restò a lungo nella memoria. Tant’è che Rafa Benítez, quand’era sulla panchina del Real, fu sul punto di salutare il pareggio per 1-1 al Calderón dello scorso ottobre come fosse una vittoria. Non aveva vinto, ma almeno, diceva, non ne aveva presi quattro come Ancelotti.

Dopo la finale di Coppa del Re e il gol di Miranda, il Real di Ancelotti perse ancora in campionato per 1-0 e pareggiò il derby di ritorno per 2-2. L’anno successivo il Real eliminò l’Atlético nelle semifinali di Coppa del Re 3-0 e 2-0: lezione di gioco, voglia e bel calcio. Il 2014 fu l’anno della finale di Champions di Lisbona. Colchoneros e merengues si incrociarono in macchina lungo i 630 chilometri che separano Madrid dalla capitale portoghese. Negli autogrill e nelle aree di sosta era un susseguirsi di cori e di sventolare di bandiere. I giocatori dell’Atlético dicevano in conferenza stampa che si sarebbero buttati da un ponte se Simeone glielo avesse chiesto. Quelli del Madrid inseguivano la Décima, un’ossessione per tutti visto che la Champions mancava dal 2002. A Lisbona, l’albergo del Madrid ricevette la visita delle vecchie glorie come Hierro, Mijatovic, Raúl, Gento, Di Stéfano. Il club aveva già preparato il nuovo inno, quello che avrebbero poi presentato come l’inno della Décima, lo stesso che risuona ora allo stadio prima di ogni partita.

Tifosi del Real Madrid all'esterno del Santiago Bernabeu (Curto De La Torre/AFP/Getty Images)
Tifosi del Real Madrid all’esterno del Santiago Bernabeu (Curto De La Torre/AFP/Getty Images)

Nello stadio Da Luz tornò ad aleggiare il fantasma de el pupas. La sconfitta, probabilmente, fu ancora più crudele di quella del 1976. Sergio Ramos spezzò i sogni dei colchoneros al minuto 93: quel minuto è ancora oggi uno degli sfottò più usati dai tifosi del Real (circolano ancora magliette con la scritta minuto 92:48 e l’immagine del gol di testa del difensore). Finí 4-1 con i giocatori rojiblancos in panchina con le mani nei capelli e lo sguardo perso nel nulla: l’Atlético era di nuovo lo sconfitto dell’ultimo minuto. Quando tutti stavano per festeggiare la prima Champions, arrivò il gol di Ramos.

La finale di Champions 2014

Nessuno si sarebbe aspettato che due anni dopo si sarebbe giocata la rivincita. Soprattutto perché l’Atlético, dopo quella finale, perse Diego Costa, Courtois e Filipe Luis. Sembrava una squadra destinata a smantellarsi: sembrava, perché Simeone é riuscito, nonostante la partenza di molti giocatori importanti, a mantenere un gruppo e una squadra competitivi. Per i tifosi dell’Atlético una piccola rivincita di Lisbona ci fu già nel settembre del 2014, quando tolsero la Supercoppa di Spagna al Real Madrid. Mesi dopo, nell’aprile del 2015, fu un altro gol quasi allo scadere, quello del Chicharito Hernandez, a spezzare i sogni dei colchoneros, eliminati dal Real Madrid ai quarti di Champions.

Ora tornano a incontrarsi, o meglio, a scontrarsi. «Arrivano di nuovo le due migliori squadre della Champions, vediamo chi sarà la migliore delle due. Io credo che il Real sia meglio dell’Atlético, ma dobbiamo dimostrarlo sul campo», ha detto Cristiano Ronaldo. Il Real Madrid arriva a San Siro senza la pressione della Décima, che il club inseguiva da anni: a Lisbona tutti si tolsero un peso. Il grido di battaglia dei tifosi dell’Atlético è «el fútbol nos debe una», il calcio ci deve una Champions. L’hanno persa due volte. Si ritroveranno a battagliare per vincerla nello stadio preferito di Simeone: probabilmente non c’è uno scenario migliore per l’allenatore argentino, che ricorda ancora con affetto i suoi due anni all’Inter. Non si é mai capacitato del perché la Milano nerazzurra non lo volesse più. L’altro giorno sembrava emozionato quando ricordava “il suono” che c’è a San Siro. Anche Zidane torna a San Siro, stadio maledetto per il Real che ci ha giocato 14 volte senza aver mai vinto. Ci torna come allenatore apprendista che ha fatto il miracolo: dopo cinque mesi sulla panchina del Real, è riuscito a portare la squadra in finale, lui che a Lisbona era l’aiutante di Carlo Ancelotti.

 

Nell’immagine in evidenza, un momento del derby madrileno dello scorso ottobre. (Denis Doyle/Getty Images)