Superuomini

Affinità e divergenze tra Keylor Navas e Jan Oblak, i portieri di Real e Atlético Madrid: ieri sottovalutati, oggi chiavi del successo delle loro squadre.

«Dualismo: ogni concezione filosofica o religiosa che consideri la realtà come dipendente da due principi opposti e irriducibili l’uno all’altro». L’incipit di questo pezzo mi fa tornare indietro di quasi vent’anni, ai tempi delle medie, dei primi temi. Foglio protocollo piegato a metà, in alto la traccia data dalla professoressa e al centro, grande, la scritta “svolgimento”. Qui cominciavano i problemi. Come iniziare? Che dire? Furbescamente, pensavo, intanto copio il significato della parola chiave della traccia dal vocabolario e poi qualcosa invento. Mi fu segnato in rosso due volte. Non l’ho più fatto, fino ad oggi. Perché credo non ci sia un’espressione migliore di dualismo per spiegare cosa può essere questo “Real Madrid-Atletico Madrid 2.0”. Nella finale di sabato sera tutto è opposto: allenatori, idea di calcio, giocatori, tifosi e società. L’eterno derby che oppone l’eleganza all’intensità, fantasia e concretezza, attacco e difesa, dieci Champions e nessuna. Insomma tutto è opposto e irriducibile, tranne due uomini: un costaricense ed uno sloveno. Keylor Navas e Jan Oblak. Agli antipodi in campo ma così simili nella storia personale. Sono i portieri di due delle squadre più forti d’Europa, ma non sono uomini copertina come Neuer, Buffon o Courtois. Forse perché arrivano da due nazioni poco considerate a livello di calcio internazionale. La loro storia a Madrid si assomiglia per molti aspetti: l’arrivo in città a distanza di 15 giorni, il ruolo di secondo per buona parte della scorsa stagione e la fragorosa esplosione di quest’anno. Entrambi avevano il compito di sostituire due totem come Casillas e Courtois. E, ça va sans dire, ci sono riusciti in pieno.

Dopo un rigore parato proprio contro l'Atlético, ottobre 2015 (Javier Soriano/Afp/Getty Images)
Dopo un rigore parato proprio contro l’Atlético, ottobre 2015 (Javier Soriano/Afp/Getty Images)

 

L’avventura di Keylor Navas con il Real Madrid inizia nell’estate del 2014. C’è Diego López che è andato al Milan e dietro Casillas c’è il vuoto: ai galácticos serve un nuovo secondo portiere. Il costaricense, dal canto suo, ha appena concluso la sua prima stagione da titolare con il Levante, vincendo il premio come miglior portiere della Liga. Con le sue parate, ha contribuito in maniera fondamentale alla salvezza dei Granotes, trasformando una squadra di basso livello nella quinta miglior difesa del torneo. Poi, durante il Mondiale brasiliano, si è mostrato agli occhi del mondo, difendendo i pali del suo Costa Rica. Miracoli in successione, con l’acuto del rigore decisivo parato al greco Gekas per l’accesso ai quarti di finale, che hanno trascinato i Ticos al miglior risultato di sempre in Coppa del Mondo. Solo la vittoria finale della Germania di Neuer gli ha strappato dalle mani il premio come miglior portiere della competizione. Un’annata magica che gli è valsa la chiamata di Florentino Pérez, forse più come risposta all’acquisto da parte del Barcellona del cileno Claudio Bravo – esploso anche lui durante i mondiali brasiliani – che come reale investimento per il post Casillas.

«Qué tapada, amigos»

Nella prima stagione le buone prestazioni non mancano, quel che Ancelotti non gli offre sono le partite in cui dimostrare il proprio talento e Keylor si deve accontentare di sole sei presenze dal primo minuto. Arriva poi una nuova estate, senza una competizione dove mettersi in mostra – il Costa Rica rinuncia alla Coppa America – ma con un calciomercato segnato dall’addio di Casillas e dall’isteria del Real Madrid nei confronti di De Gea. Navas sembra niente più che merce di scambio per arrivare al portiere del Manchester United. Non importa se a 29 anni abbia dimostrato di meritare la maglia da titolare, Florentino Pérez si è messo in testa che De Gea dev’essere il portiere del Real Madrid. Il 31 agosto sembra tutto fatto, poi accade quel pasticcio di cui si è letto fino alla nausea: i contratti non vengono depositati, il Real accusa lo United di ostruzionismo e per giorni si parla solo di Tms, fax, clausole contrattuali e appelli alla Lfp. Alla fine Navas rimane a Madrid, si prende la maglia da titolare insieme alle scuse di Florentino Perez.

In estate, quando aleggiava lo spettro di De Gea (Mal Fairclough/AFP/Getty Images)
Uscite spericolate (Mal Fairclough/Afp/Getty Images)

 

Anche l’avventura di Oblak all’Atlético inizia nell’estate del 2014. Il belga Courtois ha appena fatto ritorno al Chelsea e i Colchoneros, campioni di Spagna e vice-campioni d’Europa, hanno bisogno di un nome forte per la porta. Per qualche settimana anche loro vengono travolti dalla frenesia – tutta spagnola – di acquistare i nuovi portieri che il Mondiale brasiliano ha messo in mostra. Con Bravo ormai al Barcellona e Navas promesso sposo del Real, l’obiettivo numero uno diventa Guillermo Ochoa, titolare del Messico e “svincolato d’oro” della rassegna. Alla fine la scelta ricade sul giovane sloveno, dopo un lungo tira e molla economico con il Benfica. La clausola rescissoria è di 20 milioni di euro e le Aquile non intendono fare sconti. L’Atlético dal canto suo ha l’assenso del giocatore e fa leva sulla sua volontà per ricevere uno sconto. A metà luglio le due società giungono ad un accordo, reso pubblico da Football Leaks, dopo una trattativa estenuante. Il giocatore si trasferisce in Spagna per 16 milioni di euro, ma il Benfica strappa delle condizioni capestro: pagamento in un’unica rata entro due giorni dalla sottoscrizione del contratto, divieto di cedere il giocatore a una squadra portoghese e diritto di prelazione perenne su una futura cessione del giocatore. Clausole e milioni di euro degni di un campione assoluto che però non convincono Simeone: il titolare è l’esperto Moyá. Per Oblak nulla di nuovo, a vent’anni ha già cambiato otto squadre, è solo questione di pazienza. Il 16 settembre 2014 il Cholo gli dà fiducia e lo schiera in Champions League, ma nei novanta minuti ne combina troppe. Vince l’Olympiakos 3-2 e il portiere più pagato nella storia della Liga torna in panchina e si mette il cuore in pace.

Responsabilità: 80% sul primo gol, 5% sul secondo, 30% sul terzo

Fino all’infortunio di Moyá, il 17 marzo del 2015, durante gli ottavi di finale di Champions League, ritorno di Atlético Madrid-Bayer Leverkusen. Il portiere spagnolo deve uscire al 23′ del primo tempo e Simeone lo lancia nuovamente tra i pali. L’Atlético segna il gol che pareggia la sfida, ma non riesce a siglare il 2-0 che gli consentirebbe il passaggio del turno. Si arriva così ai rigori e Kiessling spara alto quello decisivo. Lui ne para uno solo, con la complicità di Çalhanoğlu, ma è l’incredibile presenza tra i pali che stupisce tutti, anche lo stesso Simeone, che da quel momento non lo toglie più. Gli era già successo anni prima al Benfica, quando, da riserva di Artur, divenne titolare dopo il suo infortunio. Sembra quasi incarnare il contrappasso del destino infame dei suoi colleghi: in porta dopo gli infortuni dei titolari.

Per entrambi la stagione in corso è quella della definitiva consacrazione. Sulle due sponde del Manzanarre i fantasmi di Casillas e Courtois sono solo lontani ricordi. Il costaricense arriva alla finale di Milano con dei numeri eccezionali: 28 gol subiti in 34 partite di campionato, corredati da 13 clean sheet e una media strepitosa di 0,82 reti incassate a partita. Nessuno ha fatto meglio di lui al Real Madrid nelle ultime 19 stagioni disputate, nemmeno Casillas. In Champions ha fatto ancora meglio: 10 partite giocate, 9 clean sheet e 2 gol subiti.  Solo il Wolfsburg, nell’andata dei quarti, gli ha negato la possibilità di arrivare immacolato in finale. Se l’avvicendamento tra Benítez e Zidane ha portato solo benefici al Real Madrid, per Navas il cambio in panchina non ha fatto molta differenza. Né le voci di una cessione a inizio stagione hanno scalfito il suo animo. Fa l’esordio in Liga il 23 agosto senza subire gol contro il Gijon, mentre i rumors su De Gea iniziano a farsi insistenti. Alla secondo giornata para un rigore contro il Betis. Ha praticamente un piede a Manchester, ma il Bernabeu sembra essersi già schierato con lui. Il coro «Keylor, Keylor» prima che Ruben Castro tiri, è tanto premonitore quanto definitivo: Navas c’è, para e ha la fiducia di tutti.

Manuale su come coprire lo spazio, contro il Granada

Alla quarta giornata arriva la vittoria sofferta con il Granada. Salva il risultato due volte con un paio di interventi decisivi, parate da grande portiere. Per due volte, prima sul nigeriano Success poi su El Arabi, copre lo specchio della porta in uscita bassa. Da portiere del Real Madrid. Nella prima anticipa il passaggio filtrante del giocatore del Granada, piombando sui piedi del nigeriano Success prima che possa anche solo pensare di tirare in porta. Poi con grande aggressività spegne sul nascere i sogni di gloria di El-Arabi: il marocchino fa un doppio slalom tra Pepe e Carvajal, non fa in tempo ad alzare gli occhi dal pallone che Navas gli è sui piedi. Specchio della porta completamente chiuso e tiro respinto.

A casa del Celta Vigo di Berizzo, a fine ottobre, arriva la definitiva consacrazione. Il titolo a tutta pagina di Marca il giorno dopo non ha bisogno di traduzione: «Número 1 y Líder. Ha nacido un héroe: Keylor Navas frustra al Celta con cuatro paradones». Quattro “paratone” che mettono in mostra tutte le sue skills. Al minuto 0:46 respinge un tiro dalla distanza di Nolito con un tuffo piuttosto comodo rispetto ai suoi standard. Al minuto 0:55 esibisce la sua maggiore qualità: l’esplosività. Come con il Granada, anche qui, porta a scuola l’attacco del Celta. Segue tutta l’azione di Nolito muovendosi attorno alla mezzaluna immaginaria che parte dal centro della porta. Ginocchia piegate, braccia basse e occhi ben aperti. Si muove sempre a piccoli passi sulle punte dei piedi; è questa la sua postura quando deve uscire basso. Poi, appena parte il passaggio, due passi avanti e bum. Tutti miracoli che hanno un minimo comune denominatore: il costaricense respinge tutto ma non blocca nulla. Alla fine il gol arriva, grazie solo a una magia del solito numero 10 galiziano. Per parare anche quello sarebbe servito Superman, anche se, come dicono al Bernabeu: «Keylor no para, vuela».

La superba prova di Navas a Vigo

Quando si tratta di essere più di un parador arrivano però i primi problemi. Con il gioco aereo e quello al piede non eccelle. Non ha grandi lacune, ma gli manca il tocco e la finezza stilistica di portieri come Neuer.  Rifugge spesso il possesso palla e raramente si avventura in passaggi complicati. Nel gioco aereo invece non domina l’area, in quanto il suo fisico non glielo permette, ma quando esce dimostra molto coraggio, grazie a una concentrazione e un’agilità fuori dal comune. Tutti i suoi tecnici – tra cui Luis Llopis, ex allenatore dei portieri al Levante e ora secondo di Zidane – hanno sempre elogiato la sua abnegazione al lavoro e il video fatto ai tempi dei Granotes ne è un esempio. Certo, le immagini di un allenamento non suscitano quelle emozioni che solo le partite possono dare, per questo c’è il video riassunto delle migliori parate di quest’anno. Immancabile, come la musica tamarra di sottofondo e i tiri respinti e mai bloccati.

Semmai fosse possibile, i numeri di Jan Oblak sono anche migliori: più semplicemente il portiere sloveno quest’anno ha fatto la storia del calcio spagnolo. Ha eguagliato il record di Paco Liaño e del Depor 1993/94 con sole 18 reti subite in tutto il campionato. Una media di 0,47 gol a partita e un numero incredibile di clean sheet: 23 in 38 partite. Numeri che evidenziano al meglio la forza del collettivo colchonero. Non è un caso che tre degli ultimi quattro premi Zamora siano andati a portieri allenati da Simeone. La solidità e l’organizzazione del pacchetto difensivo che ogni anno il Cholo crea è disarmante. Ma la continuità con la quale questa si conferma ad altissimi livelli, cambiando interpreti ogni anno, è sotto gli occhi di tutti.  In questa stagione Oblak ha polverizzato tutte le tabelle di rendimento dei portieri d’Europa, a conferma che gli insegnamenti del duo Simeone-Burgos vanno sempre oltre il singolo.

Il rigore parato da Oblak a Muller nella semifinale di ritorno di Champions (Lukas Barth/AFP/Getty Images)
Il rigore parato da Oblak a Muller nella semifinale di ritorno di Champions (Lukas Barth/Afp/Getty Images)

 

Se si analizzano i singoli interventi dello sloveno, in quasi tutte le partite di quest’anno non c’è mai l’acuto stilistico. Bisogna tornare alla stagione scorsa al Benfica (qui) per vedere qualcosa di più spettacolare: gli stringenti dettami difensivi del Cholo rendono difficile l’esaltazione del gesto. Nel video che ripercorre la sua stagione europea la maggior parte delle parate arriva da tiri dalla distanza e le poche volte che ci sono conclusioni ravvicinate affiora la prima caratteristica principale di Oblak: non è un portiere scenografico. I suoi gesti sono asciutti, essenziali, a volte anche bruttini. Un’altra grande caratteristica che lo contraddistingue è la perenne ricerca del pallone bloccato. È chiaramente un dettame che arriva da Simeone. Con il pallone tra le mani si fa ripartire velocemente il contropiede, la vera arma letale di questo Atlético. Difficilmente respinge, se non in situazioni di emergenza – in un video di cinque minuti le palle deviate si contano sulle dita di una mano – e quando lo fa è perfetto nell’indirizzare il pallone lontano dallo specchio della porta. Nello stint di due minuti – dal 2:19 al 4:20 – che riassume le prestazioni contro Barcellona e Bayern Monaco, ad esclusione del tracciante di Vidal, miracolosamente deviato sul palo, stupisce come tutti gli altri interventi siano palloni bloccati. Tiri dalla distanza, colpi di testa ravvicinati, tap in da pochi metri. In tutte le occasioni lo sloveno fa un solo intervento. E tra un tiro deviato e uno bloccato passa tutto il gioco dell’Atlético Madrid.

Oblak in Europa

Forse proprio nella partita simbolo della stagione dell’Atlético Madrid, il ritorno di Champions League contro il Bayern Monaco, lo slovacco ha messo in mostra, oltre ai pregi descritti sopra, anche il suo maggior difetto. L’immagine simbolo rimane il rigore parato a Müller che gli ha regalato, come al collega Navas, il solito aggettivo sulla prima pagina di Marca: «Un sobresaliente Oblak lleva al Atleti a Milan». In realtà la prestazione all’Allianz Arena è stata macchiata da alcune indecisioni. Se l’errore del minuto 2:43, su un tiro dai trenta metri di Ribery, può essere derubricato come defaillance, quanto accade al minuto 6:30 è più grave. È il gol del 2-1 del Bayern Monaco, quello che ha riaperto le speranze di rimonta dei bavaresi. Il cross dal fondo di Alaba è alto, lento e prevedibile ma Oblak rimane piantato sulla riga di porta. Con i suoi 190 cm gli sarebbero bastati due passi in avanti verso il pallone per effettuare una facile uscita in presa alta. Invece prima accenna il passo, poi torna indietro, perdendo un tempo di gioco. Vidal non se lo fa ripetere due volte e con un prodigioso terzo tempo anticipa tutta la difesa dell’Atletico servendo un assist al bacio a Lewandowski. Ecco, questa forse è una delle pecche del gigante sloveno: l’uscita alta. Difficilmente domina l’area piccola, preferisce affidarsi alla compattezza del reparto arretrato e alle doti aeree dei suoi difensori centrali.

Troppo timido

La lista delle similitudini tra le due mosche bianche di questo “derby dei dualismi” sembra essere infinita. Chi dei due vincerà la finale sarà il primo giocatore della sua nazionale ad alzare la Champions. Navas scendendo in campo a Milano diventerà il primo costaricense a giocare una finale in competizioni Uefa, mentre Oblak vorrebbe sfatare la maledizione degli sloveni: perdendo sabato potrebbe diventare il terzo a perdere in finale dopo Srečko Katanec (Sampdoria 1992) e Zlatko Zahovič (Valencia 2001).

 

Nell’immagine in evidenza, Navas para un rigore durante un match con il Siviglia (Pierre–Philippe Marcou/Afp/Getty Images)