Trazione Ingolstadt

L'ottima prima stagione in Bundesliga dei bavaresi: merito dell’Audi, azionista di minoranza, ma anche di una visione strategica coraggiosa e coerente.

La città di Ingolstadt è lo scenario scelto da Mary Shelley per gli abominevoli esperimenti del dottor Viktor Frankenstein, che porteranno alla creazione di un mostro generato da materia inanimata. Con la promozione lo scorso anno dell’Ingolstadt 04 in Bundesliga, e la promozione del RB Lipsia, sono in molti a ritenere che un altro mostro sia in procinto di nascere in Germania, ovvero quello di una Bundesliga sempre più nelle mani dei grandi gruppi finanziari: Volkswagen, Bayer, Red Bull. La nota casa automobilistica è la più attiva, con una dozzina di società sponsorizzate tra Bundesliga e Zweite Bundesliga, una interamente di proprietà (Wolfsburg) e altre due (Bayern Monaco, Ingolstadt 04) di cui è socio di minoranza.

Per questo motivo, nell’ondata di storie per romantici del calcio prodotte dalla stagione 2014-15 – la promozione in Premier League del Bournemouth, quella in Serie A di Carpi e Frosinone, il ripescaggio nella Liga dell’Eibar – quella dell’Ingolstadt 04 è stata pressoché ignorata, visto che nell’immaginario fiabesco sovente utilizzato per raccontare il calcio di provincia non può esserci spazio per un club con alle spalle un colosso industriale. Ingolstadt infatti significa Audi, la cui sede si trova proprio in questa cittadina bavarese da 130mila anime e della quale rappresenta il principale fattore di espansione demografica (26mila abitanti in più dal 1989 a oggi). Audi significa Quattro GmbH, società controllata al 100% dalla casa dei quattro cerchi e azionista di minoranza (detiene il 19.94% delle azioni) dell’Ingolstadt 04, di cui è anche sponsor.

Ingolstadt fans are seen during the German Bundesliga first division football match between Hertha BSC vs FC Ingolstadt 04 in Berlin, Germany, on March 19, 2016. / AFP / ODD ANDERSEN / RESTRICTIONS: DURING MATCH TIME: DFL RULES TO LIMIT THE ONLINE USAGE TO 15 PICTURES PER MATCH AND FORBID IMAGE SEQUENCES TO SIMULATE VIDEO. == RESTRICTED TO EDITORIAL USE == FOR FURTHER QUERIES PLEASE CONTACT DFL DIRECTLY AT + 49 69 650050 (Photo credit should read ODD ANDERSEN/AFP/Getty Images)
I tifosi dell’Ingolstadt durante il match di Bundesliga con l’Hertha Bsc (Odd Andersen/Afp/Getty Images)

Tra le squadre sopra citate, l’Ingolstadt 04 è la realtà che meglio ha saputo adattarsi al salto di livello, e in questo caso l’Audi non c’entra niente. Se la Red Bull ha investito oltre 100 milioni nel RB Lipsia per riportarlo ai massimi livelli del calcio tedesco, l’ascesa dell’Ingolstadt t 04 – iniziata nell’ottobre 2013 quando la squadra, ultima in 2. Liga, venne affidata all’austriaco Ralph Hasenhüttl – è costata meno di 8 milioni. 1.65 sono stati spesi nel 2014/15 per vincere il campionato di seconda divisione, altri 3.7 la scorsa estate per rinforzare la squadra in vista della prima storica stagione in Bundes, infine a gennaio è stato prelevato dal Lucerna il paraguaiano Lezcano per 2.5 milioni. Cifre da provinciale, basti pensare che nell’attuale Bundesliga l’Ingolstadt 04 è 17esimo sia per valore della rosa che per soldi investiti sul mercato (per fare un esempio, l’Hannover fanalino di coda e retrocesso ne ha spesi il triplo). Sul campo però i rossoneri sono stati capaci di attestarsi in una solida posizione di metà classifica, guadagnandosi l’etichetta di rivelazione stagionale.

«Chi ha conquistato la Bundesliga ha diritto di giocarsela». Questa frase, pronunciata a inizio stagione dal tecnico austriaco Hasenhüttl, riassume la filosofia alla base della sua squadra. A differenza di molte neo-promosse affacciatesi per la prima volta sul palcoscenico principale, l’Ingolstadt 04 non è intervenuto massicciamente in sede di mercato, effettuando poche e mirate variazioni. 9/11 della squadra titolare sono gli stessi della promozione, giocatori di categoria inferiore capaci però di tenere testa alle big, in primo luogo il Bayern Monaco. La sconfitta 2-0 dello scorso dicembre nel derby bavarese (Monaco e Ingolstadt distano 80 chilometri) è stata la partita manifesto dell’approccio degli uomini di Hasenhüttl: pressing altissimo, quasi sul limite dell’area avversaria, tantissima corsa, marcature raddoppiate o triplicate, agonismo massimo su ogni pallone. Sembravano la Juventus del primo tempo dell’Allianz Arena quelli dell’Ingolstadt 04, la cui trincea (termine usato di proposito, la città bavarese è nota per le fortificazioni, da qui il nick Die Schanze) ha retto fino al minuto 64.


La promozione dell’Ingolstadt in Bundesliga

Tra il 2013 e il 2014 l’Ingolstadt 04 ha stabilito il record per la Zweite Bundesliga di 19 partite senza sconfitte in trasferta, mentre nell’attuale stagione ha vinto le prime tre lontano dall’Audi Sportpark – prima neopromossa a riuscirci. Eppure, dopo le attenzioni iniziali tradizionalmente riservate alla novità di turno, l’Ingolstadt ha cominciato a dare fastidio per l’atteggiamento poco ortodosso mostrato in campo dai propri giocatori, tra provocazioni, interventi da codice penale e simulazioni. La miccia è stata accesa da Lewis Holtby, che al termine di un pareggio al Volksparkstadion ha definito quelli dell’Ingolstadt «avversari disgustosi, preoccupati solo di insultare, spintonare e crollare a terra». La favola si è quindi trasformata in una storia a tinte fosche, con Hasenhüttl non più nel ruolo del colto maestro di calcio che ama suonare Chopin nel tempo libero, bensì in quello di un dottor Frankenstein intento ad assemblare un mostro calcistico di raro anti-estetismo. Il culmine delle critiche è stato raggiunto da un filmato, mandato in onda dal giornalista tv Arnd Ziegler, nel quale il suddetto si era divertito a mettere in fila una serie di simulazioni effettuate dai giocatori dell’Ingolstadt nei match contro Amburgo e Werder Brema. Durava un bel po’ e non era propriamente edificante, ma le campagne stampa contro i piccoli hanno sempre il fiato corto, tanto più se la squadra continua a stazionare a centroclassifica per tutta la durata della stagione. Calci e simulazioni, da soli, non sarebbero stati sufficienti.

The German first division Bundesliga team of FC Ingolstadt 04 and their mascot "Schanzi" pose during the team presentation of the German first division Bundesliga team FC Ingolstadt 04 at the stadium in Ingolstadt, southern Germany, on July 9, 2015. AFP PHOTO / CHRISTOF STACHE (Photo credit should read CHRISTOF STACHE/AFP/Getty Images)
L’Ingolstadt 04 posa con la propria mascotte “Schanzi” durante la presentazione di inizio campionato (Christof Stache/Afp/Getty Images)

L’Ingolstadt è squadra brutta e cattiva, non c’è dubbio: segna poco (33 gol in 34 partite, secondo peggior attacco del campionato dopo l’Hannover), picchia tanto (72 cartellini gialli e un rosso ricevuto, più cattivi solo Eintracht Francoforte e Darmstad). L’Ingolstadt però è anche una squadra con uno stile e una fisionomia ben precisi, e anche su questo non c’è alcun dubbio. Un dato che parla chiaro: alla fine del campionato, la squadra ha incassato solo 42 reti, e vanta la quarta miglior difesa alle spalle delle big Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Il principale merito di Hasenhüttl è stato quello di essere riuscito ad adattare la sua filosofia calcistica molto attenta alla fase difensiva ad un contesto di alto livello come la Bundesliga, non cedendo alla tentazione di rifare metà squadra in estate imbottendola di cosiddetti elementi di esperienza della categoria e, proprio in virtù di questa scelta all’insegna della continuità, plasmando un gruppo di un solidità rara per una neopromossa.

Several Ingolstadt players celebrate during the German Bundesliga first division football match between FC Ingolstadt 04 and Borussia Moenchengladbach in Ingolstadt, Germany , on April 9, 2016. / AFP / CHRISTOF STACHE / RESTRICTIONS: DURING MATCH TIME: DFL RULES TO LIMIT THE ONLINE USAGE TO 15 PICTURES PER MATCH AND FORBID IMAGE SEQUENCES TO SIMULATE VIDEO. == RESTRICTED TO EDITORIAL USE == FOR FURTHER QUERIES PLEASE CONTACT DFL DIRECTLY AT + 49 69 650050 (Photo credit should read CHRISTOF STACHE/AFP/Getty Images)
I giocatori dell’Ingolstadt festeggiano una rete realizzata durante l’ultima Bundesliga (Chirstof Stache/Afp/Getty Images)

La differenza con altre matricole quali Greuter Furth, Paderborn e Eintracht Braunschweig, incapaci in tempi recenti di reggere l’urto della Bundesliga, è tutta qui. Non è la prima volta che Hasenhüttl conduce una squadra dalle stalle alle stelle. Nel gennaio 2011, subentrato a Rainer Scharinger sulla panchina di un Aalen 16esimo in Dritte Liga (terza divisione) con un solo punto di margine sulla zona retrocessione, impiegò 18 mesi per condurre gli svevi alla loro prima storica promozione in Zweite Bundesliga, al termine di un girone di ritorno super che vide risalire la squadra dal 14esimo al secondo posto. L’anno successivo mantenne senza problemi la categoria, proponendo un 4-5-1 di rara solidità che permise alla matricola un più che onorevole piazzamento finale (nono posto). La sua esperienza all’Ingolstadt si è mossa sulle stesse direttrici, con l’arrivo nell’ottobre 2013 (lo volle il ds Thomas Linke, conosciuto ai tempi del Bayern Monaco quando l’austriaco era agli sgoccioli della propria carriera in campo nel Bayern II e veniva chiamato, assieme ai baby Lahm e Schweinsteiger, a rimpolpare le fila degli allora campioni d’Europa in carica durante gli allenamenti) per sostituire Marco Kurz, con la squadra sul fondo della classifica. Due anni e mezzo dopo quel club che brancolava nel buio tanto in campo quanto a livello di prospettive future, con una rosa dalla qualità media ai limiti del presentabile, si è guadagnato la palma di sorpresa stagionale della Bundesliga. Perché piccolo è bello, anche all’ombra di un grande nome.


La vittoria per 1 a 0 sul Borussia M’Gladbach, la summa del calcio di Hasenhütt