Imperatore

Fatih Terim è un personaggio che divide, ma resta il punto di riferimento del calcio turco. Al terzo Europeo in carriera, prova a risvegliare una nazione.

Vagando su Youtube, ricerca mirata con keywords «terim 1996», ci si imbatte in un video che dice tanto sull’importanza della figura di Fatih Terim per la Turchia. Il bello di queste immagini è che sono preventive, profetiche, un antipasto di quello che sarà. Il montaggio si riferisce a una sfida giocata a Istanbul tra Turchia e Islanda, gara d’apertura del girone di qualificazione a Euro 96, e si apre con un’intervista di quelle vecchio stampo, fatte in panchina durante lo svolgersi del gioco, cose che oggi non esistono più.

Dopo si passa direttamente al post di una partita finita 5-0 per i padroni di casa. Il giornalista, che assomiglia a Gianni Minà, fa qualche domanda a un giovane Terim, che è ancora in campo. Mentre il tecnico parla e risponde, un uomo riccio e brizzolato gli asciuga la fronte con un fazzoletto. Che poi rigira, guarda e si riguarda tra le mani. Dopo questo gesto lo stesso uomo inizia a fissare intensamente Terim, il suo sguardo è fermo sulle labbra del ct. Sembra soggiogato, ipnotizzato da quello che sente e da quello che vede. È il 12 ottobre del 1994, e la prima qualificazione della Turchia a un Europeo è lontana un anno, nel futuro. Fatih Terim diventerà una specie di semidio per il popolo turco, prima per questa impresa e poi per altre a seguire. Quest’uomo e questo video non fanno altro che anticipare i tempi.

Vintage Terim

Più o meno esattamente vent’anni fa (11 giugno 1996) Terim fa il suo esordio ai Campionati Europei inglesi. Affronta la Croazia in un match storico: perché se da una parte c’è una squadra, la sua, che ha giocato appena un Mondiale – quello del 1954 – dall’altra c’è l’espressione calcistica di una nazione tornata a esistere da appena 5 anni, e che è ovviamente al primo grande torneo della sua storia. Finisce 1-0 per i croati di Blazevic, segna a quattro dalla fine un 23enne attaccante che gioca in Italia, nel Padova, che si chiama Goran Vlaovic ed è bravissimo ma non proprio fortunato: qualche mese prima di quel gol, ha combattuto e vinto contro il cancro. Va male, a quella Turchia, anche nelle due partite successive: altra sconfitta di misura contro il Portogallo (gol di Fernando Couto), e netto 0-3 dai campioni in carica della Danimarca. Poco male, secondo lo stesso Terim, che in un’intervista rilasciata molti anni dopo al sito della Fifa descriverà quella partecipazione come un momento fondamentale, «che ha cambiato la mentalità del calcio turco. Prima di quell’Europeo, nessun calciatore turco militava all’estero, quell’esperienza ci ha invece insegnato ad andare in campo per cercare di vincere, non solo per provare a non perdere».

The coach of the Turkish national team F
Saltello (Dimitar Dilkoff/Afp/Getty Images)

Le parole sui calciatori turchi all’estero sono verificate dai e nei fatti: il numero 9 di quella Nazionale, il centravanti Hakan Şükür, era stato acquistato dal Torino nell’estate del 1995. Tornò in patria dopo 5 partite e un gol per quello che, a oggi, resta forse l’unico caso mai verificato di saudade per la madrepatria ottomana. Era l’unico che avesse mai giocato lontano da casa tra i 22 convocati. Diventerà un idolo in Turchia, tornerà di nuovo in Italia, tra Inter e Parma. Le ultime notizie su di lui, risalenti al febbraio scorso, raccontano di un tweet poco edificante verso Erdogan, poco apprezzato dallo stesso presidente turco. E di una conseguente, possibile condanna a quattro anni di prigione. Hakan Şükür è rimasto, dunque, uno tendenzialmente controcorrente, o controverso.

Alla vigilia della semifinale europea del 2008, un articolo del Guardian in cui Terim viene definito «una sorta di incrocio tra una versione turca di Phil Mitchell e Tony Soprano» riporta un virgolettato dell’allenatore: «Einstein ha detto che ci sono due modi di vivere: uno è quello di credere che tutto è un miracolo e vivere la tua vita in questo modo, il secondo è quello di credere che niente è un miracolo. Io appartengo al secondo gruppo». Non è facile dargli ragione, in questo caso: a Euro 2008, cinque gol su otto della sua Turchia sono realizzati dopo l’85esimo minuto. Un altro arriva al 120esimo della sfida ai quarti, ovviamente contro la Croazia, pochi secondi dopo la rete del vantaggio croato siglata da Klasnic. La legge del contrappasso è crudele, perché gli toglie i supplementari della semifinale contro la Germania: è il 90esimo quando Lahm si incunea in area e trova il tiro sotto la traversa che vale il 3-2 finale per i tedeschi. In un’intervista rilasciata al sito dell’Uefa giusto tre giorni fa, in cui ha parlato anche di quell’avventura, Terim spiega «dell’importanza di qualificarsi ai grandi tornei rispetto ai risultati della singola manifestazione». Eppure, quell’incredibile Europeo non deve averlo fatto proprio felice. Ci scommettiamo.

La Turchia a Euro 2008. C’è anche della musica strappalacrime

Nell’articolo del Guardian, quello di Tony Soprano, l’autore Scott Anthony racconta di una certa sfiducia, nei confronti di Terim prima e durante Euro 2008, da parte dei suoi stessi tifosi. Secondo quanto raccolto dal giornalista, in molti definivano come «al di sotto della media» le doti dell’allenatore. Eppure, sempre secondo i sostenitori della Nazionale, Terim «possiede la capacità di gestire l’emotività tipica del calciatore turco e del turco in generale». Secondo il giornalista, «con la sua miscela di brillantezza e buffoneria, Fatih Terim riflette l’odierna Turchia». C’è indecisione, su Terim.

In realtà Terim ha sempre diviso. La sfiducia di qualche tifoso sul versante puramente tecnico di cui sopra, ma anche una considerazione unanime sull’eccezionalità del personaggio. Intorno al quale, prima e dopo quell’Europeo, è nato un vero e proprio culto della personalità. Gorkem Bereket, giornalista turco, lo racconta così: «Oltre al suo impegno per il successo, l’ambizione, e la conoscenza tecnica di questo sport, Terim è un allenatore estremamente motivato e di talento. Ha una personalità orientata verso il successo che gli ha permesso di compiere imprese incredibili del mondo di calcio, risultati che nessuno prima di lui aveva ancora immaginato. Qualcuno potrebbe pensare che è un megalomane con un grande ego e grandi ambizioni, altri lo potrebbero classificare come un uomo duro. Esiste in lui un lato molto compassionevole, che in qualche modo bilancia queste definizioni. Per il suo ego, i suoi risultati e molti altri aspetti della sua personalità, Terim è visto come il Mourinho della Turchia». Evidentemente, è uno dei suoi ammiratori.

Un altro dei suoi fan più accaniti gioca nel Barcellona, e si chiama Arda Turan. Terim l’ha portato dodicenne nel vivaio del Galatasaray, poi le loro carriere non si sono più incrociate, almeno fino al ritorno del tecnico sulla panchina della Nazionale. Nonostante il rapporto sia quindi legato ai soli impegni con la Turchia, Arda ha sempre riservato parole di adulazione e riconoscenza per Terim. Come in un’intervista rilasciata nell’ottobre del 2014 al sito della Fifa, in cui lo definisce come «un padre, un allenatore o un amico», oppure «il tecnico con la maggiore influenza sulla mia carriera». La frase più importante, però, è quella del confronto con Simeone, l’uomo che ha in qualche modo creato la narrazione e la fenomenologia di Arda Turan: «In effetti il suo stile mi ricorda quello di Simeone, anche se Fatih pone maggiormente l’accento in attacco, mentre Diego si concentra di più sulla difesa. Ma Terim è comunque parte della storia del nostro Paese». Per Terim, che comunque sembra ricambiare la stima del calciatore, si tratta di un complimento vero. Non si sa quanto più importante di quello fattogli in occasione di un’altra intervista, finita su Skylife. Il giornalista dimostra di apprezzare il suo modo di vestire, sempre impeccabile. Lui risponde orgoglioso: «Per come la vedo io, vestiti e scarpe di una persona riflettono il suo carattere, il suo io interiore. Non ho mai vestito elegantemente solo per essere chic e alla moda. Ora ho una persona che è al tempo stesso il mio consulente di moda e il mio critico più spietato: mia figlia Buse». Nella foto di copertina di questa intervista, indossa una giacca blu scura, un gilet azzurro, una camicia bianca. E una cravatta a trama, con strisce di due tonalità di viola. È, effettivamente, impeccabile.

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Arda alla fine delle qualificazioni per Euro 2016, con la Turchia qualificata (Str/Afp/Getty Images)

A Euro 2016, Fatih Terim è diventato il primo ct della storia ad aver allenato una Nazionale per la terza volta a un Campionato Europeo. Al pari di Joachim Löw, ma il record dell’Imperatore è diverso perché i tre tornei non sono consecutivi come quelli del tedesco. Per la terza volta su tre, ha incrociato la Croazia, e per la seconda volta si tratta del match d’esordio. È andata come nel 1996 – vittoria di misura per i croati – grazie a un bel tiro al volo di Luka Modric, e dopo una partita semplicissima da spiegare anche per lo stesso Terim: «Abbiamo giocato contro una squadra molto forte. Se passano il girone possono fare molta strada a Euro 2016, ci sono stati superiori. Noi non partiamo mai bene in questa manifestazione». C’è la sportività, ma anche la stoccata verso i suoi calciatori più rappresentativi, proprio Arda Turan e l’altra grande speranza turca a Euro 2016, Hakan Çalhanoğlu: «Arda e Hakan sono giocatori importanti, ma non hanno fatto abbastanza. Altri giovani giocatori devono dare di più. Ci sono molte aspettative su di loro. Se migliorano, potremo andare avanti». Questo è Terim. Bastone e carota.

Sul (bel) gol di Modric, Babacan non è proprio esente da colpe

In un certo senso, Terim ha ragione. Questa nuova generazione turca ha tutte le potenzialità per poter disputare un torneo discreto, soprattutto dal centrocampo in su. Ovvero il luogo del campo in cui Terim ha investito per costruire il suo Campionato d’Europa, che in un’intervista ha definito come «una grande occasione che dobbiamo giocarci con una squadra giovane». Oppure, più semplicemente, attraverso una speranza bella e ambiziosa: «Può essere il nostro torneo». Forse, viveva uno slancio di ottimismo. La mediana è di ottima qualità, nell’immediato e in prospettiva. I totem Çalhanoğlu e Arda Turan, ma anche e soprattutto i giovani (e promettenti) comprimari delle due stelle: il 21enne Ozan Tufan, il 23enne Oğuzhan Özyakup e l’altro leader storico Selçuk İnan, diventato un eroe nazionale dopo la punizione vincente segnata all’89esimo di Turchia-Islanda, match decisivo per la qualificazione della Ay-Yıldızlılar (il nick della selezione turca) a Euro 2016. (Digressione: Turchia-Islanda, proprio come nell’ottobre ’94. La carriera di Terim è davvero un cerchio che si chiude intorno ad alcuni appuntamenti fissi) 

Da questi uomini e dalle loro caratteristiche, Terim è partito per disegnare una squadra meno raffinata rispetto ad altre edizioni precedenti, più propensa al gioco rapido e alle transizioni piuttosto che al controllo della palla. Un tipo di calcio che in qualche modo “ricade” tutto sulle spalle degli uomini più veloci e dotati tecnicamente, non a caso Arda Turan e Çalhanoğlu. Non a caso, anche questo, i calciatori bacchettati a fine gara dal tecnico di Adana. Il resto, tra difesa e centrocampo, non va (andrebbe) oltre un passaggio del turno comunque difficile, a causa anche di un sorteggio beffardo e di un gironcino non solo equilibrato, ma dai valori assoluti incredibilmente tendenti verso l’alto. Nei prossimi due match, infatti, la Turchia affronterà la Spagna e la Repubblica Ceca. I tre punti virtuali e “possibili”, da immaginarsi e portare a casa dal match contro i cechi, potrebbero bastare per passare il turno come miglior terza. Ma non sarà facile. (Digressione 2: Turchia-Repubblica Ceca fu il match che nel 2008 sancì il passaggio del turno della squadra di Terim, nell’ultima partita del girone. Ormai nessuno crede più alle coincidenze)

Turkey's coach Fatih Terim passes a ball to Turkey's midfielder Hakan Calhanoglu during the Euro 2016 group D football match between Turkey and Croatia at Parc des Princes in Paris on June 12, 2016. / AFP / BULENT KILIC (Photo credit should read BULENT KILIC/AFP/Getty Images)
Palla-asino con Calhanoglu (Bulent Kilic/Afp/Getty Images)

Non sarà facile soprattutto se Terim non dovesse recuperare le migliori prestazioni dei suoi due assi. Ovvero, gli unici calciatori forse in grado di reggere il confronto con i predecessori della Generazione d’Oro, che riempivano l’organico di una Turchia in grado di arrivare ai quarti di Euro 2000 (allenatore Mustafa Denizli), terza ai Mondiali del 2002 (con Şenol Güneş in panchina) e poi di centrare la semifinale nel 2008 pur dopo il primo, necessario ricambio generazionale. Gente come gli “italiani” e interisti Emre Belözoğlu ed Okan Buruk, come Baştürk, il portiere Rüştü oppure Nihat e Semih Şentürk, eroi poco reclamizzati dell’ultima grande cavalcata continentale.

Dopo di loro, il declino di un intero movimento. Alla base del quale, fatalmente e ovviamente, c’è una scarsa programmazione, soprattutto nella formazione di nuovi calciatori e nuovi tecnici. Un punto su cui lo stesso Terim ha battuto molto (anche in convegni e incontri ufficiali Uefa), ma che sembra non essere stato recepito al meglio dai club della prima divisione turca. A dispetto di parametri di registrazione che vorrebbero favorire lo sviluppo del talento locale, questi riservano infatti il 43% degli slot a 200 calciatori stranieri. Un numero che solo grazie al regolamento federale è tenuto sotto controllo rispetto ad altri campionati europei, ma che comunque ha conosciuto un’impennata incredibile negli ultimi 15 anni: nell’annata 1999/00, con il Galatasaray campione in Coppa Uefa e la nazionale qualificata agli Europei di Belgio e Olanda, i calciatori stranieri nel massimo campionato turco erano appena 76.

La vittoria della Coppa Uefa con il Galatasaray, nel 2000

Parte soprattutto da qui, e dalle conseguenti poche occasioni per i giovani calciatori turchi, la caduta libera di un sistema calcistico che non è ancora riuscito a ritrovare i fasti di un tempo pure abbastanza recente. La colpa, secondo alcuni, è anche e proprio di Fatih Terim. In un articolo del novembre 2014 dal titolo emblematico (“The stark decline of Turkish football: Who is to blame?”), Serhan Akman definisce il tecnico come «antiquato nel suo pensiero tattico, non adattato e non adattatosi a un gioco che nel frattempo è cambiato». In effetti, Terim non è cambiato: divide, ancora.

È stato in grado di farlo anche in Italia, che considera ancora come «la sua seconda casa». Non che sia così difficile spaccare in due l’opinione del nostro Paese, ma basta percorrere i 300 chilometri che separano Firenze da Milano per avere sensazioni diametralmente opposte sull’Imperatore. In Toscana, alcuni tifosi sostengono che la Fiorentina abbia giocato «il miglior calcio della storia viola» con Terim in panchina; nel capoluogo meneghino il ricordo è invece meno positivo, anche perché il tecnico turco arriva quando Carlo Ancelotti si è appena liberato dalla Juventus, e società e tifosi non aspettano altro che affidare la squadra all’uomo di Reggiolo. Testimonianze del genere sono ovunque su internet, e pure in alcuni libri della storia rossonera (come ad esempio “Leggenda Milan” di Arianna Forni).

Fiorentina-Milan 4-0, stagione 2000/2001

Il resto è il racconto di un personaggio bellissimo, particolare. Uno che arriva da un quartiere operaio di Adana – città a pochi chilometri dal Mar di Levante, la porzione più orientale del Mediterraneo  – e che vince l’unico trofeo europeo della storia del calcio turco dopo aver fatto pure il venditore ambulante insieme al padre Talat, del resto, deve quasi per forza assurgere al ruolo di leggenda. Ma più della vittoria in Coppa Uefa a Copenaghen (contro l’Arsenal, il 17 maggio 2000), e di altri record colti con il Galatasaray (uno per tutti, i quattro titoli nazionali vinti consecutivamente tra il 1997 e il 2000), quello che a Terim piace esaltare della sua carriera è il lavoro da mental coach dell’intero movimento turco. In un’intervista rilasciata a The Blizzard, il tecnico turco racconta così dei suoi primi momenti come ct della Nazionale: «Nel 1993, quando sono diventato allenatore della Nazionale per la prima volta, ho cercato di imporre la mia filosofia pure sulla storia del calcio turco. Ho visto che negli ultimi 70 anni non abbiamo combinato nulla di buono. Perciò, nella mia conferenza stampa d’esordio, la prima cosa che ho detto è stata: “C’è solo una parola che non voglio dire: pazienza”. Dopo, ho parlato ai miei giocatori, invitandoli a non aver paura di perdere, come già successo sempre in passato.  La nostra squadra si arroccava con nove uomini in difesa, perdevamo prima di entrare in campo. Allora ho detto: “Perché non proviamo a perdere giocando in attacco?” Poi, una ad una, abbiamo iniziato a vincere contro le squadre che non eravamo riusciti a battere per 40 anni, 50 anni». Non è difficile immaginare gli occhi spiritati e la faccia felice mentre racconta questa bella storia. Che è sua personale, ma anche di un calcio cambiato ed evolutosi soprattutto grazie a lui.

 

Nell’immagine in evidenza, Terim nel 2006 in Champions League, contro il Manchester United (Andrew Yates/Afp/GettyImages)