Il golf di nuova generazione

Rickie Fowler non viene dai grandi circoli, ha portato avanti a lungo due carriere parallele e vede il suo swing ancora contestato nel circuito.

Undici in collaborazione con Puma Eyewear presenta #NoCage, il format che raccoglie le storie di 12 personaggi sportivi contemporanei e del passato, che hanno cambiato la storia dello sport superando le barriere e gli ostacoli grazie alla determinazione e alla forza di volontà.

Spesso, troppo spesso, sul suo volto ci si ferma. Come se la storia di Rickie Fowler fosse lì e basta, sui tratti, sui lineamenti, sulla pelle. Quello è l’inizio, non la fine. È come se la rivoluzione culturale di Tiger Woods nel golf sia incredibilmente passata invano: un americano non wasp che diventa il più forte giocatore contemporaneo, il più iconico, il più sponsorizzato. Rickie è l’evoluzione e la pelle, i lineamenti e i tratti c’entrano soltanto il giusto. Sarebbe sciocco dire che non fanno parte di questa storia, ma non sono la storia. Perché quella, la storia quindi è più complessa, più lunga, più interessante. Se proprio uno dovesse riassumerla, allora dovrebbe dire che Rickie Fowler è la rivoluzione dei Millenials nel golf. Per il modo di giocare, per il modo d’essere, per lo stile, per la contemporaneità complessiva di tutto ciò che lo riguarda.  È il protagonista di una ribellione continua e sottile, positiva, costruttiva. È il ragazzo che può portare il golf davvero in una dimensione pop, senza che questo possa essere un problema per il golf stesso.

Si sta preparando a questo da molto tempo, da quando aveva poco più di tre anni. Da quando, cioè, fu portato per la prima volta su un green. Qui il nome da tenere presente è Yutaka Tanaka, ovvero il nonno di Rickie, nonché figura centrale di questa storia. Perché l’appassionato di golf era lui, giapponese arrivato in America suo malgrado e però diventato americano per scelta. Aveva sei anni: fu catturato durante la Seconda Guerra mondiale con la sua famiglia e trasferito in un campo di prigionia sulla West Coast americana. Finita la guerra ci rimase, si trasferì in California e cominciò la sua vita. Il che non c’entra con il golf, ma c’entra con tutto il resto e tutto il resto è fondamentale nella costruzione del personaggio Rickie Fowler. Qui entra la storia dei lineamenti, dei tratti e del colore. Qui perché come detto siamo all’inizio della storia e non alla fine: il volto è l’eredità genetica di un giapponese e di una navajo, ovvero sua nonna. I genitori, Rod e Lynn, Murrieta, la California degli anni 90, un ragazzo che sul campo da golf non c’è arrivato in quanto figlio di un socio di un club, ma in quanto nipote di un appassionato e basta. “Non provengo da una famiglia ricca”, ripete spesso e l’ha fatto l’ultima volta in una intervista a Usa Today. «I miei hanno lavorato duramente per dare a me e mia sorella la possibilità di fare sport e vedere se eravamo bravi a realizzare i nostri sogni. Mia madre ha sempre detto che se avessi lavorato duro per diventare un giocatore professionista non avrei dovuto farlo per ottenere un posto di lavoro. E guardatemi adesso: non ho ancora dovuto cercare un lavoro vero».

PONTE VEDRA BEACH, FL - MAY 10: Rickie Fowler in action during a practise round for THE PLAYERS Championship on The Stadium Course at TPC Sawgrass on May 10, 2016 in Ponte Vedra Beach, Florida. (Photo by Richard Heathcote/Getty Images)
Un primo piano di Rickie Fowler durante il The Players Championship a Ponte Vedra Beach, Florida (Richard Heathcote/Getty Images)

Il non lavoro di Fowler è ciò che racconta meglio la sua rivoluzione. Perché un ragazzo nato nel 1988 in California, avrebbe potuto (e per certi versi dovuto) diventare un campione di motocross e s’è ritrovato tra i primi cinque giocatori più forti di golf. Il motocross non è una scelta casuale: per molto tempo ha portato avanti le due passioni, diciamo anche le due carriere. Poi a 15 anni una caduta durante una gara gli procurò la frattura in tre punti del piede. Oggi la moto c’è ancora come hobby. Il che crea una dicotomia estetica che è tutta sua: ci sono video su youtube in cui sgasa in moto sui campi da golf, mettendo insieme due cose che più distanti non si potrebbe. Ciò che altrove e con qualcun altro sarebbe più o meno una bestemmia con Fowler diventa normale. Accettabile è la parola più corretta. Perché in fondo è questo quello che è accaduto: Rickie è stato accettato. Si è fatto accettare. In un mondo che avrebbe potuto respingerne i codici estetici, stilistici e persino tecnici, lui è diventato una certezza. S’è conquistato tutto giocando. Con la classe.


Un’intervista in cui Rickie affronta il tema della sua doppia passione.

La prima vittoria nel circuito amatoriale è del 2007: era alla Oklahoma State University e si prese il primo trofeo. In un gioco di ritorni, Oklahoma è un passaggio fondamentale: è il marchio che porta in giro per il mondo in un colore, l’arancione. A ogni torneo l’ultimo giorno indossa una divisa che ha l’arancione come colore dominante. È il colore dell’Università ed è diventato il suo. Un omaggio continuo al posto che l’ha formato e che poi l’ha trasformato in quello che è. Il passaggio al professionismo è arrivato nel 2010 e nello stesso anno è arrivato anche il record di essere stato l’unico rookie della storia a essere convocato per la Ryder Cup. I cinque anni successivi sono stati la preparazione emotiva, sentimentale, tecnica e strategica a quello che è accaduto nel 2015.

Perché è stato allora che tutto è cambiato. Golf Digest, una specie di Bibbia di questo mondo ha spiegato così: “Dopo la grande vittoria Deutsche Bank Championship, arrivata con una incredibile rimonta su Henrik Stenson, si può ipotizzare che per Fowler il futuro gli riservi un posto stabile tra i primi quattro giocatori del mondo. A suffragare questa ipotesi c’è soprattutto la grande stagione del giovane campione: nei tornei che contano ha sempre fatto la differenza. Un talento e una grinta che l’hanno lanciato al quinto posto dell’Official World Golf Ranking, ovvero subito a ridosso dei nuovi tre grandi, Rory McIlroy, Jordan Spieth e Jason Day. Fino a qualche mese fa, un sondaggio lo aveva definito un giocatore ‘sopravvalutato’, e questo per colpa di una certa incostanza di rendimento e per una generale mancanza di vittorie. Ma il lavoro di Folwer per smentire questa definizione è stato incredibile. A cominciare dal fatto che in sequenza ha vinto tornei molto importanti: il The Players Championship, l’Aberdeen Asset Management Scottish Open e, appunto, il Deutsche Bank Championship”.

In molte interviste e nei ritratti pubblicati negli ultimi mesi, Fowler con intelligenza ha benedetto il momento in cui quel sondaggio è arrivato. Essere considerato un sopravvalutato l’ha spinto a migliorarsi. Oggi, gli esperti e i critici gli rimproverano delle cadute tecniche. Un’analisi interessante l’ha fatta Alberto Binaghi: «Lo swing di Rickie Fowler è davvero particolare e offre molti spunti per il classico dibattito: si deve intervenire o meno su uno swing, sulla carta non corretto, che ha il merito di funzionare alla perfezione? Rickie ha risolto il problema facendo l’autodidatta fino al 2013 e ha avuto ragione. Il ‘vecchio swing’ del campione californiano aveva alcune posizioni discutibili: sulla palla le mani erano molto basse e lo shaft di conseguenza molto flat. Nel takeaway la testa del bastone rimaneva all’esterno delle mani più a lungo di qualsiasi altro giocatore e il bastone percorreva la prima parte su di una linea esterna rispetto al piano ideale. In breve tempo le mani a metà back swing andavano a finire all’interno del corpo».


Lo swing incriminato di Rickie

E ancora: «Da questa posizione Fowler rovesciava gli avambracci portando il bastone in una posizione decisamente flat all’apice del back swing, il rapporto tra faccia bastone, polso sinistro e braccio sinistro risultava comunque perfetto. Nel down swing Rickie abbassava ulteriormente il pino e il bastone si andava a posizionare dietro al corpo e dava l’impressione di non avere più spazio per raggiungere la palla; questa posizione di metà down swing assomigliava molto a quella di Sergio Garcia. Con il corpo completamente girato verso il bersaglio e il bastone in ritardo, Fowler sganciava con violenza le braccia verso la palla (foto 2) e pagava questa azione con una accentuata disconnessione tra corpo e braccia nel follow trough. Il bastone usciva infatti molto largo, dall’impatto in poi le mani si allontanavano in maniera pericolosa da un corpo che risultava fermo. Molto movimento pre impatto e molta staticità post impatto. Il cambiamento apportato nel 2014 grazie a Butch Harmon sta proprio nel tentativo di ridurre il gap di linee tra back swing e down swing, ovvero cercare di aprire in anticipo la testa del bastone utilizzando la rotazione degli avambracci e creare inoltre un piano più alto all’apice, di conseguenza il bastone risulta anche più davanti al corpo nel down swing. Questo miglioramento dovrebbe consentirgli di avere le mani meno attive all’impatto, migliorando quindi il controllo di palla sopratutto nelle traiettorie da sinistra a destra».

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I fanatici di golf partecipano al dibattito, alimentato dalla personalità di Fowler che non passa mai inosservato ogni volta che partecipa al un torneo. Anche questa è una rivoluzione. Il look, l’arancione, la spavalderia e – qui sì – la sua storia, i suoi tratti, le sue origini lo rendono uno dei professionisti più amati del Tour, se non il più amato. È diventato un’icona. Oggi non c’è torneo in cui Fowler non sia il più fotografato. Piace lui, piace la sua sfrontatezza, piace la sua voglia di essere giovane anche in un luogo in cui spesso anche i giovani non lo sembrano o fanno di tutto per non sembrarlo. Lui poi ci mette altro. Ci mette una capacità comunicativa spontanea e iniziative che lo rendono ancora più interessante. A marzo scorso, per esempio, ha fatto una hole in one, ovvero ha imbucato un colpo al volo da 103 metri al par 3 “bonus” della diciannovesima buca. In palio, per chi fosse riuscito nell’impresa c’era un milione di dollari da donare in beneficienza alla Els Foundation che combatte ogni giorno per aiutare i bambini autistici di tutto il mondo. La Ernie Els For Autism Foundation è nata nel 2009 per opera del giocatore professionista Els e della moglie Liezl, dopo che al figlio Ben è stata diagnosticata una forma grave di autismo.

Le immagini del colpo sono diventate virali con Youtube, il che ha fatto crescere ancora di più la già grande popolarità di Fowler, specie tra i più giovani. Sono loro il suo pubblico. Sono loro ciò che Rickie porta al grande circo del golf: ragazzi e ragazzi che grazie a lui si avvicinano a uno sport che altrimenti considererebbero molto distante da loro. È il futuro e viene portato a spasso con la storia di Rickie. Attaboy, come l’ha definito Puma che l’ha sponsorizzato quando ancora nessuno avrebbe potuto neanche scommettere su di lui. Oggi è il cardine della nuova generazione di golfisti globali. Rappresenta l’evoluzione del gioco, sul campo. Rappresenta l’evoluzione del messaggio che il golf trasmette fuori. Gli chiedono molti quali siano le sue caratteristiche. Risponde con poche parole, sempre le stesse: “Dinamismo, passione, ambizione”. Ha già vinto abbastanza. Vincerà ancora. A Rio de Janeiro rappresenterà la Nazionale americana nella prima edizione dei Giochi in cui il golf è ammesso. Sarà un’esibizione, più o meno. Sarà l’inizio di una nuova era, certamente. Rickie Fowler è semplicemente il volto di questa era, a prescindere dai tratti e dal colore della pelle. O meglio: molto oltre questo.

 

Nell’immagine in evidenza, Rickie Fowler alla sedicesima buca dell’Honda Classic di Palm Beach, Florida (Mike Ehrmann/Getty Images)