Il 23 agosto del 2003 si gioca Newcastle-Manchester United. I Red Devils sono sotto di un gol, siamo già nel secondo tempo. Dopo un cross ribattuto dalla difesa dei Magpies, Scholes tocca palla su Roy Keane. Il capitano dello United vede un corridoio tra i difensori avversari, che non potrebbero essere piazzati peggio: il suo tocco rasoterra, nato da una coordinazione tutt’altro che aggraziata, trova Ruud Van Nistelrooy da solo, in posizione regolare. I centrali del Newcastle non solo hanno coperto malissimo le linee di passaggio, ma hanno pure completamente sbagliato il fuorigioco. Le immagini mostrano come il centrale di sinistra, probabilmente si tratta di Titus Bramble, scatti in avanti in un goffo e comico tentativo di alzare la linea. Viene un po’ da ridere perché, sulla sinistra, il terzino Andrew O’Brien si perde completamente il movimento.
Il gol, al di là dell’errore difensivo, è bello e importante. Un tocco di destro per stoppare la palla e insieme girarsi, un secondo tocco impercettibile per preparare la conclusione. Il terzo è anche l’ultimo, ed è il tiro in diagonale, sempre di destro, che batte Given. È la decima partita consecutiva di Premier in cui Ruud Van Nistelrooy va a segno: si tratta di un record storico, anche se otto di questi match risalgono al campionato precedente. Subito dopo il gol, ci sono dei momenti veramente belli da vedere. Intanto l’esultanza, con passo di ballo insieme a Eric Djemba-Djemba, gran colpo di mercato dell’estate del 2003 (tanto da finire dritto nella Manchester United’s 13 worst signings del Telegraph). Dopo questa contro il Newcastle, il centrocampista camerunese disputerà in tutto altre 33 partite con i Red Devils, e nell’ultima stagione ha giocato con gli indonesiani del Persebaya Surabaya. Poco dopo, la regia mostra anche la festa della panchina dello United. Da cui salta fuori un ragazzino con una testa riccioluta e scura, alla quale però è attaccata una treccina platinata. Entrerà a pochi minuti dalla fine per la sua seconda partita in maglia rossa, è un portoghese madeirense acquistato per sostituire David Beckham. Forse non per farlo da subito, ma si dice sia davvero promettente. Si chiama Cristiano Ronaldo.
Il record di Ruud Van Nistelrooy, che oggi compie 40 anni, resisterà fino al 28 novembre del 2015. Lo batterà Jamie Vardy, per ironia della sorte proprio contro il Manchester United. Il gol che permette a Vardy di superare l’olandese ha una fattura diversa perché diverse sono le caratteristiche dei due attaccanti. Se il centravanti del Leicester rappresenta l’idealtipo dell’English forward, Van Nistelrooy, nel 2003, ha dichiarato che la sua ambizione è sempre stata quella di «combinare il numero nove e il numero dieci, dando vita a un attaccante che sappia essere anche un buon calciatore della squadra per la squadra, un creatore di gioco». Subito dopo il record-break di Vardy, le prime congratulazioni per l’attaccante del Leicester arrivano proprio da Ruud, via Twitter.
Well done vardy7! You’re number one now and you deserved it. #11inarow. https://t.co/qJHjZlnFDA
— Ruud van Nistelrooy (@RvN1776) 28 novembre 2015
Nick Fitzgerald, in uno splendido articolo su Thesefootballtimes, scrive che Ruud Van Nistelrooy è riuscito a diventare quello che ha sempre voluto essere, la storia del numero nove e del numero dieci combinato in un solo giocatore: «Tecnicamente, Van Nistelrooy era incredibile. Come i suoi compatrioti Marco van Basten e Robin van Persie, non era solo un grande goleador, ma soprattutto un buonissimo calciatore, uno degli attaccanti con maggior talento della sua generazione. La sua tecnica di tiro, soprattutto al volo, era qualcosa da vedere e rivedere. Così come il suo controllo di palla in area di rigore, che gli permetteva di avere sempre quel mezzo secondo in più per riposizionare il suo corpo prima del tiro». Fitzgerald ha praticamente riscritto e descritto il gol contro il Newcastle. Sensibilità di tocco, coordinazione, capacità di conclusione. Tutto fatto bene, e velocemente. Ruud Van Nistelrooy era proprio questo.
Gol sparsi.
Ruud Van Nistelrooy firma per il Manchester United al termine della stagione 2000/01. In realtà, il suo è un acquisto in due tempi. È già stato formalizzato l’anno precedente, ma poi il calciatore subisce in allenamento la rottura dei legamenti crociati. In realtà, l’infortunio non è la sola causa del mancato affare: Van Nistelrooy ha dovuto saltare diverse partite durante l’anno a causa di misteriosi problemi al ginocchio, sui quali lo United vuole vederci chiaro, magari con ulteriori test medici. Il Psv rifiuta, l’affare viene rimandato (sebbene sia già concluso e annunciato) e Ruud poi si fa male sul serio. Resterà fermo per quasi tutta la stagione successiva. Come si definisce una cosa così? Lungimiranza, fortuna o forse in entrambi i modi?
Quando termina l’annata post-infortunio (10 apparizioni appena, con 2 gol), il Manchester decide di riprovarci. Piccola maggiorazione sul prezzo (fino a 19 milioni di sterline) e trasferimento finalmente definito. Il giorno della presentazione spiega che lo United è lo United, e che quanto successo l’anno precedente può finire tranquillamente sotto il tappeto, come la polvere: «Sono molto contento di essere finalmente arrivato qui. A dispetto di quanto accaduto l’anno scorso, i miei sentimenti per il club non sono mai cambiati, tantomeno diminuiti. È sempre stato il mio sogno giocare per lo United ad Old Trafford, quindi questa scelta è stata molto facile per me». In un’intervista del 2012, in cui sembra miracolosamente più giovane rispetto a quando faceva il calciatore, ripete continuamente una frase in relazione all’approdo in Premier League: «I was fearless, absolutely fearless». Non è un’autodefinizione, o almeno non solo: lo descrive «atleta senza paura» anche Rob Hughes sul New York Times, in un articolo pubblicato dopo che Ruud, durante la sua prima stagione a Old Trafford, ha segnato per otto partite consecutive di campionato.
Ruud van Nistelrooy segna l’1-0 contro il Blackburn Rovers nel gennaio 2002. Ottavo gol in otto gare consecutive (Paul Barker/Afp/Getty Images)
Per capire tanto di Ruud Van Nistelrooy, e pure del calcio olandese ai tempi di Ruud van Nistelrooy, è bene guardarsi due video su Youtube. Il primo è la goal collection di un Psv-Ajax dell’annata 1998/99. Il vero protagonista di giornata è l’attaccante Luc Nilis, probabilmente l’ultimo grande campione espresso dal calcio belga prima della Golden Generation degli Hazard, dei De Bruyne, dei Lukaku. Uno che è stato definito da Ronaldo, Luis Nazario de Lima, «il miglior partner d’attacco con cui abbia mai giocato». Nilis segna il primo e il terzo gol della squadra di Eindhoven, con una girata in diagonale e un calcio di punizione. Sono le reti che avviano e suggellano la rimonta del Psv, andato sotto nel primo tempo per via di un gol del sudafricano Benni McCarthy. Il secondo punto dei padroni di casa è un capolavoro di Van Nistelrooy: palla dalla trequarti verso Ruud, che indossa il numero 8 e ha lo stesso identico taglio di capelli che gli vedremo disegnato in testa per tutta la carriera. Stop di petto, lob alla sinistra del difensore mentre lui scappa dall’altro lato e botta di controbalzo sul primo palo. Tutto col piede destro, tutto bellissimo.
Bellissimo come l’atmosfera del Philips Stadium, che esplode al gol tanto che alcuni tifosi finiscono per scavalcare le recinzioni della curva e tracimare in campo; bellissimo come i calciatori che è possibile riconoscere del video, che rendono nobili entrambi gli undici in campo. Ci sono Van der Sar, Melchiot, Oliseh, Litmanen, Rommendahl, Ooijer, Kolkka. Nonostante questi nomi, per le due squadre quel campionato finì decisamente male: Psv terzo dietro Feyenoord e Willem II, Ajax addirittura sesto. Il primo trionfo importante nella carriera di Van Nistelrooy, dopo una Supercoppa d’Olanda conquistata nel 1998, arriverà l’anno successivo: la squadra di Eindhoven vincerà l’Eredivise 99/00 e poi coglierà il bis nel 2001. Van Nistelrooy ci mette vicino due titoli di capocannoniere (1998 e 1999) e la nomination come miglior calciatore olandese dell’anno (1999 e 2000).
Lo splendido gol realizzato contro l’Ajax apre anche una videocompilation omaggio del Psv, che sembra montata proprio per metterti di fronte alla completezza assoluta del centravanti olandese: ci sono reti di piede, di testa, calci di rigore, raffinate palombelle da fuori area. Gol bellissimi, realizzati indifferentemente in Champions come in Eredivise. L’ultimo della serie è semplicemente splendido, un prodigio di forza e coordinazione: tiro al volo di destro su una palla proveniente da sinistra, in area di rigore. Il portiere avversario rinuncia anche a tuffarsi, il tiro è troppo forte e troppo vicino al sette per rientrare nella sfera del parabile.
Un giovane Van Nistelrooy con la maglia del Psv
In un lungo articolo pubblicato nel 2003 dal Guardian, si descrive la costruzione dell’atleta Van Nistelrooy. E la narrazione non sfugge al solito cliché degli e sugli olandesi, quelli che hanno battuto il mare e che quindi hanno un talento innato nel risolvere i problemi, nel determinare sé stessi. Più o meno lo stesso talento che, secondo il luogo comune e secondo David Winner, ha permesso a questo popolo di eccellere nel mondo del calcio, soprattutto nella produzione di grandi fuoriclasse. Da un virgolettato di Van Nistelrooy, si capisce però che può esserci un altro background per i calciatori dei Paesi Bassi. Altre motivazioni alla loro classe, che sfuggono allo stereotipo. Come il caso di Kakà, bravo figliolo di famiglia brasiliana agiata, allevato in un campo da calcio normale, con il prato verde, con le linee bianche e le porte fatte con i pali e non con i maglioni, lontano dalle stradine impolverate delle favelas o dalla spiaggia di Ipanema. Leggi e capisci che secondo Van Nistelrooy, con Van Nistelrooy, tutto si ribalta. E il Sudamerica trasloca in Olanda, altro che il rigore e la metodicità: «Noi giochiamo nelle scuole, ma anche per la strada – spiega Ruud -. Comunque, sempre in spazi molto stretti. In Olanda ovunque c’è un giardino, un piccolo campo. Andate a Geffen per capire cosa intendo».
Geffen è la prima tappa di formazione calcistica di Van Nistelrooy, un minuscolo centro di 5mila abitanti a 7,5 km da Oss, la cittadina del Brabante del Nord che ha dato i natali a Ruud. A Geffen c’è poco: una chiesa, i resti di un castello feudale e i natali di Simon van den Bergh, padre di Samuel, industriale co-fondatore della Unilever. Infine, c’è il Nooit Gedacht: la squadra di calcio del luogo, in cui Martin-Van-Nistelrooy-padre-di-Ruud si rilassava quando finiva di riparare tubature. E dove il piccolo di casa inizia a giocare, curiosamente in una posizione diversa da quella cui è destinato: centrocampista, a volte anche difensore. È ancora possibile trovare e leggere, su internet, la pagina-omaggio che il sito ufficiale di questo piccolo club ha dedicato al più grande calciatore della sua storia. C’è anche una foto di Ruud bambino, e ovviamente ha la stessa pettinatura che gli vedremo a Manchester.
Il suo percorso successivo è perfetto perché semplice e lineare, Ruud viene consigliato nel modo giusto. A 16 anni è al Den Bosch, club della impronunciabile città di ‘s-Hertogenbosch, che in italiano si pronuncerebbe Boscoducale (fonte Wikipedia). Lo vorrebbe il Tottenham, ma un agente alle prime armi, tale Rodger Linse, gli consiglia di andarci piano. Di costruirsi una carriera «step-by-step. Prima un club medio, poi il Psv, infine una grande squadra europea». Dopo aver sentito queste parole, mamma Van Nistelrooy lo assume come procuratore del piccolo Ruud. Andrà esattamente così: dopo quattro stagioni al Den Bosch (71 presenze e 20 reti in Eerste Divise, la Serie B olandese), ecco il passaggio all’Heerenven (una stagione, 16 gol in 36 presenze tra Eredivise e Coppa d’Olanda). Poi il Psv, in cui esplode e segna con un ritmo spaventoso (77 volte in 90 partite totali). Tutto secondo i piani.
Nell’autobiografia di Sir Alex Ferguson, nella parte in cui racconta delle pressioni fatte da Van Nistelrooy per poter essere ceduto al Real Madrid, c’è anche l’agente del centravanti olandese. Che è ancora Rodger Linse, nonostante Ruud sia da anni, stabilmente, tra i migliori attaccanti del mondo. E Rodger Linse non sia più alle prime armi, ovviamente.
Con Van Nistelrooy tutto si ribalta,
e il Sudamerica trasloca in Olanda
Il rapporto di Ruud Van Nistelrooy con la Nazionale olandese è particolarmente burrascoso, e si consuma in un periodo storico particolarmente burrascoso pure per la Nazionale olandese. L’infortunio patito nel 2000 lo esclude dall’Europeo casalingo, l’incredibile eliminazione degli Oranje dalle qualificazioni per Corea/Giappone 2002 gli toglie il primo Mondiale della carriera. Esordisce in un grande torneo a Euro 2004, in Coppa del Mondo a Germania 2006. Non è la miglior versione storica della Nederlands voetbalelftal, nonostante la semifinale europea del 2004 l’esperienza tedesca si chiude prestissimo, già agli ottavi. Qui, il primo grande litigio con il ct Van Basten, proprio quel Van Basten a cui è stato spesso paragonato nel corso della carriera: sostituzione in tutte e tre le partite del girone iniziale e panchina nell’ottavo di finale poi perso con il Portogallo. Nel gennaio successivo, l’annuncio: «Ho sempre sperato di essere preso in considerazione per un posto da titolare, nell’ultimo periodo non ho la sensazione che questo possa avvenire ancora. La mia carriera internazionale finisce qui, è stata una decisione sofferta ma giusta».
L’autoesclusione dura pochi mesi: già a maggio 2007, delle «conversazioni telefoniche positive» fanno sì che le divergenze tra il ct Oranje e Ruud si appianino per il rush finale delle qualificazioni all’Europeo di Austria e Svizzera, a cui Ruud si presenterà alla grande. Titolare fisso, segna contro l’Italia nella prima partita, poi alla Russia nei quarti di finale. La sua Olanda più bella viene eliminata proprio da un olandese, il ct dei russi Guus Hiddink, e per Ruud può bastare così. Nuovo ritiro definitivo dopo l’Europeo, ma poi ecco un altro clamoroso ripensamento alla vigilia del Mondiale sudafricano. van Marwijk, nuovo ct olandese, non si fa intenerire e lo lascia a casa, salvo poi rispolverarlo per cinque match di qualificazione a Euro 2012. Dopo la partita contro l’Ungheria, in cui segna il 35esimo gol con la nazionale, rilascia dichiarazioni che tradiscono il suo amore per la maglia Oranje: «È meraviglioso essere parte di questa squadra e fare qualcosa di importante per il mio Paese, come ho fatto oggi». Quella resterà l’ultima partita giocata con la Nazionale.
Ruud van Nistelrooy in azione contro l’Italia, agli Europei 2008 (Shaun Botterill/Getty Images)
La carriera di Ruud Van Nistelrooy è fatta di scelte. Quella di non andare al Tottenham e di passare per il Psv prima di lanciarsi nel grande calcio europeo. E poi, quella di accettare proprio il Manchester United. Che Simon Kuper, nel suo “The Football Men”, racconta così: «Poteva andare ovunque, aveva offerte da tutto il continente. Riconosceva il fatto che il campionato italiano fosse il migliore del mondo, ma al tempo stesso era spaventato di quanto potesse essere difficile la Serie A per un attaccante. Il calcio inglese sembrava perfetto per il suo stile, e un incontro con Ferguson finì per convincerlo che il Manchester United era davvero la squadra migliore per lui». Quella scelta porterà a cinque stagioni ad Old Trafford che, prima di ogni cosa, vanno incorniciate nell’eloquenza dei numeri: 150 gol in 219 partite dicono abbastanza. Poi ci sono i trofei, e anche da questo punto di vista non siamo messi malissimo: poker inglese con una Premier, una Fa Cup, una League Cup e un Community Shield.
Poi c’è tutto il resto. L’impatto emozionale e tecnico, il momento di passaggio nella storia dello United, il rapporto con Ferguson. In un’intervista al Guardian, parla così dei suoi primi approcci al club di Manchester: «Non riuscivo a capire cosa volesse dire giocare per lo United. Ho esordito nel Charity Shield 2001 contro il Liverpool, mi guardavo intorno e mi chiedevo cosa mi stesse succedendo. Poi ho capito, poi ho imparato. Ed è stato fantastico». È il terminale di una squadra fortissima, in cui disegnano calcio Beckham, Scholes, Veron, Giggs. Segna nel Charity Shield perso contro il Liverpool, segna all’esordio in Premier League contro il Fulham. La rete contro i Reds è un esempio delle potenzialità infinite di quel gruppo di fuoriclasse assoluti: palla verticale di Beckham per Roy Keane, tacco per il passaggio di prima di Giggs, che trova Van Nistelrooy smarcato e in posizione regolare. L’olandese parla la stessa lingua tecnica dei suoi compagni: lo dimostra stoppando il pallone col destro, superando Westerveld in dribbling e tirando in porta senza averla guardata. Il gol è bello, l’esultanza è un misto tra rabbia, orgoglio e incredulità. Sono bastati pochi minuti per far capire che Ruud Van Nistelrooy, in questa squadra qui, ci sta benissimo.
Liverpool-Manchester United, Charity Shield 2001
Nella sua autobiografia, Ferguson racconta così i suoi primi incontri con Van Nistelrooy: «Ero emozionato per il suo acquisto, potrei dire che mi è bastato guardarlo negli occhi per capire che Ruud era un uomo di sostanza». Van Nistelrooy, infatti, «lives for football». Lo scrive Simon Kuper, lo vedi in campo e in un miglioramento continuo del suo gioco, delle sue prestazioni. Ma lo capisci anche rileggendo la sua vita extra-calcistica. Mai una polemica, mai uno scandalo. Andrew Anthony del Guardian, che lo incontra e lo racconta nel 2003, lo definisce «a quiet man».
L’idillio dura fino al 2006, ma nel frattempo il Manchester United si è trasformato: Giggs e Scholes ci sono ancora, Roy Keane si è trasferito al Celtic per la stagione del crepuscolo. Se ne sono andati Stam, Veron, Beckham, Phil Neville; per sostituirli e integrare la squadra, Ferguson ha acquistato Rio Ferdinand, Piqué, Cristiano Ronaldo, Rooney, Heinze, Vidic ed Evra. La struttura portante della squadra che vincerà la Champions nel 2008, la seconda nell’avventura del manager scozzese. Van Nistelrooy sa e sente che sta cambiando qualcosa, che «Fergie was building new team», come spiega in un’intervista rilasciata alla Bbc nel 2012. Finisce in panchina nelle ultime partite della stagione, viene escluso dall’undici titolare per la finale della League Cup. Nell’ultimo match di Premier, contro il Charlton, resta fuori dopo che in settimana ha avuto una sgradevole discussione, in allenamento, con Cristiano Ronaldo. Lascia Old Trafford prima del match, il rapporto è ai minimi storici. La cessione è inevitabile, Ferguson racconterà nella sua autobiografia di come Van Nistelrooy sia cambiato nel corso della sua ultima stagione allo United. Anni dopo, l’attaccante olandese chiederà scusa al manager scozzese per il suo comportamento.
Ruud Van Nistelrooy è uno degli iscritti al partito “Champions obsessed”. Come Ibrahimovic, Nedved e Buffon prima e dopo di lui. È stato capocannoniere della competizione nel 2002, 2003 e 2006, ma non è mai andato oltre la semifinale persa col Bayer Leverkusen di Klaus Toppmöller nel 2002. Quando litiga con Ferguson esiste un solo luogo al mondo per lui, dove possono capire cosa provano i calciatori che convivono con questa ossessione. Anche se la nona vittoria è vecchia di appena quattro anni, a Madrid, la Décima è già un pensiero fisso. I primi Galacticos di Perez non sono riusciti a (ri)vincerla, ci provano di nuovo aggiungendo Ruud Van Nistelrooy a una squadra che può già contare su Ronaldo, Raúl, Robinho, Beckham, Reyes, e a cui a gennaio si aggiunge anche un giovanissimo Gonzalo Higuaín. In panchina siede Fabio Capello, e l’olandese vince la classifica cannonieri (25 gol) e la Liga al primo colpo. Poi ci aggiungerà un altro titolo spagnolo, nel 2008.
Sono gli ultimi momenti della carriera ad altissimo livello di Ruud, che lascerà il Real a gennaio 2010 dopo aver praticamente saltato l’ultima stagione e mezza causa infortuni. Nell’intervista di commiato, rilasciata a Marca, racconta di aver scelto di dire addio solo perché desidera giocare di più. Dice anche di «aver scritto una bella pagina nella storia del Madrid» e di lasciare la Spagna “con una espina en el corazón”, ovvero non aver vinto la Champions League. Un’ossessione destinata a rimanere tale.
Van Nistelrooy Pichichi.
La verità è che il passaggio da Madrid non possiede la stessa forza narrativa dell’esperienza allo United: il Ruud Van Nistelrooy che tutti amano ricordare gioca solo in maglia rossa, con il 10 bianco stampato sulla schiena, al centro dell’attacco del Manchester United. Lo leggi anche nell’assoluta mancanza di rilievo mediatico e tecnico delle sue due esperienze successive, all’Amburgo e poi al Malaga. Due stagioni e mezza che non aggiungono nulla al racconto di un calciatore che ha saputo interpretare in modo unico un ruolo pieno di epica. Ha riscritto il centravanti a modo suo, in chiave moderna, aggiungendo al gol puro e semplice la bellezza del gesto tecnico, la raffinatezza della giocata a effetto. Una cosa latina più che fiamminga, e lasciamo a Simon Kuper l’onore e l’onere di scegliere le parole per spiegarcelo meglio: «Van Nistelrooy è un calciatore che proviene dall’Olanda, ma non è un calciatore olandese. Gioca come un argentino o un brasiliano: sprinta, corre, lotta, tira da ogni posizione». Un po’ come la storia degli spazi stretti, del Sudamerica che trasloca nei Paesi Bassi. Del numero nove e dieci messi insieme, combinati. Ruud Van Nistelrooy era proprio questo.