Tra Vila Belmiro e l’Allianz Parque ci sono 87 km, 98 anni e 28 giorni di differenza. Il primo è lo storico stadio del Santos: è stato inaugurato nel 1916, e prende il nome dall’omonimo quartiere. Un luogo che «respira Santos», dove «tutto sembra avere il colore della squadra, dalle vecchie case fino ai bar e alle panetterie che sorgono intorno al campo». L’Allianz Parque, invece, ospita le partite interne del Palmeiras. Si trova sempre nello stato di San Paolo, eppure siamo su un pianeta completamente diverso. Lo capisci già dal naming, venduto alla compagnia di assicurazioni di Monaco di Baviera poco dopo la costruzione dell’impianto per Brasile 2014. Uno stadio nuovo, moderno. Che però sorge esattamente nella stessa area che, nel 1933, ospitò il neonato stadio Palestra Italia e la sua prima partita ufficiale, Palestra Italia-Bangu. La squadra e la sua casa portavano lo stesso nome, il massimo dell’appartenenza e dell’identità. Paradossale, soprattutto pensando ai motivi che portarono alla costruzione dell’impianto: l’idea iniziale fu di un’azienda produttrice di birra, che voleva uno spazio in cui i suoi operai potessero svagarsi grazie allo sport. Solo molti anni dopo, nel 1942, il Palestra Italia sarebbe diventato Palmeiras.
Questi due luoghi, vicini eppure così lontani, hanno fatto da incubatrice tecnica ed emotiva a due «giovani ma già grandi talenti brasiliani, pronti per giocare in Europa». La quotes è di Ronaldo, Luiz Nazário de Lima. È una frase pronunciata in occasione del match tra le nazionali di Brasile e Sudafrica, finito 0-0, esordio della nazionale verdeoro nei Giochi Olimpici casalinghi. I due giovani talenti formano il tridente della Seleção olimpica con Neymar e hanno una parte dell’apelido in comune: entrambi, infatti, si chiamano Gabriel. Gabriel Barbosa, cresciuto nel club che fu di Pelé, compirà 20 anni tra pochi giorni, il 30 agosto; Gabriel Jesus, invece, ne ha compiuti 19 il 3 aprile scorso e fino a dicembre giocherà nel Palmeiras.
Nel comprensibile delirio di video skills su Youtube – montaggi che ripropongono in loop tunnel, dribbling e azioni palla al piede -, isolare uno dei pochi momenti in cui si capisce che Gabriel Barbosa è innanzitutto un bravissimo goleador può sembrare una scelta controcorrente, quasi snob rispetto alla dimensione estetica, preponderante, del calciatore. Invece, serve proprio a mostrare i frame sui quali lo stesso Gabigol (soprannome “nato” dopo che in otto stagioni nei campionati giovanili ha segnato più di 600 reti) sembra voler costruire la sua narrazione. Del resto, è stato proprio lui ad autodefinirsi come «un calciatore sempre alla ricerca del gol». In questi pochissimi secondi di calcio, ci sono tre cose che gli danno ragione perché identificano il grande attaccante: la lettura preventiva del passaggio, l’inserimento nello spazio con i modi e i tempi giusti. E, soprattutto, la coordinazione per il tiro.
Gabriel Barbosa sembra avere spazio per concludere dopo il bel tocco in verticale di Vitor Bueno, ma sa benissimo che di lì a poco il (pur lento e distratto) difensore del Fluminense arriverà a ridurgli lo specchio di porta. Più di quanto non abbia già fatto il portiere, bravo a chiudere subito sul palo alla sua destra e a lasciare pochissima luce, per il tiro, all’attaccante del Santos. Che, per tutta risposta, inarca perfettamente il corpo e colpisce la palla nell’unico modo possibile per fare gol. La perfezione del gesto atletico e tecnico è nella distanza minima, quasi inesistente, tra il secondo palo e il punto in cui il pallone tocca la rete. Il tiro è di sinistro, e si insacca con un effetto a uscire accanto al palo sinistro, in un punto della porta che di solito viene esplorato solo da chi prova la conclusione con il destro, a giro. In un pezzo pubblicato dal Mirror, Jack Lang scrive che uno dei più grandi punti di forza di Gabigol è «la capacità di trovare la porta, col suo mancino, da ogni angolazione». Difficile che scrittura e realtà raccontino una cosa meglio di così, con tale assoluta corrispondenza.
Anche le statistiche certificano quanto scritto dal Mirror, e che il reale primato di Gabigol è prima di efficacia e poi d’estetica: nelle 6 partite giocate quest’anno nel Brasileirão, l’attaccante del Santos ha una shot accuracy del 62%. E non è questione di aver giocato poco, perché basta andare indietro di appena un anno con la ricerca per scoprire che in una stagione intera o quasi – 30 partite – la percentuale non scende sotto il 56%. Un rapporto altissimo, anche se i gol sono solo 10 nell’annata 2015 e 3 in quella 2016. Gabriel Barbosa in realtà non conclude tantissimo verso la porta, giusto 2,8 volte a partita. Però c’è anche altro, nel suo gioco, che è tecnica al servizio della squadra: 11 occasioni offensive create (10 key passes e un assist), ma soprattutto un incredibile 86% di accuratezza negli appoggi, una cifra altissima se rapportata al ruolo sempre prettamente offensivo ricoperto nello scacchiere del tecnico Dorival Junior, che lo utilizza come prima punta ma anche come esterno offensivo, a destra o a sinistra, o come trequartista centrale in appoggio al centravanti.
In un pezzo del 2013 pubblicato su O Estado de S. Paulo, c’è tutto il racconto della scoperta e della costruzione dell’atleta Gabriel Barbosa. Le prime partite a futsal, l’amichevole con il Santos che folgora, letteralmente, l’osservatore santista Zito. Non uno qualunque: due volte campione del Mondo con la Seleção, nel 1958 e nel 1962, viene indicato da questo articolo di Esporte come il primo scopritore di Robinho, Diego, Neymar. Il meglio del calcio brasiliano dell’ultimo decennio. Poi c’è anche la retorica del piccolo fenomeno scappato dalle favelas e dalla povertà, da un’infanzia difficile. Ma più di questa narrazione fa impressione il fatto che già tre anni fa l’hype intorno a questo calciatore fosse già così certo, così verificato. E così grande, ovviamente, addirittura fino a una (spropositata) valutazione di 131 milioni di dollari per il cartellino. Al momento della pubblicazione dell’articolo, Gabriel Barbosa frequenta la terza classe del liceo, si allena tre volte la settimana con la prima squadra del Santos. Ed è già, per tutti, semplicemente Gabigol.
Il gol in loop appena sopra è parte di un montaggio su Youtube, che ha un titolo emblematico: “Gabriel Jesus ● Il Fenomeno Reborn“. Può sembrare una forzatura, in realtà non lo è: è stato lo stesso Ronaldo, quello vero, ad “incoronare” Gabriel Jesus come suo erede. «Vedo molte somiglianze tra di noi», avrebbe detto l’ex centravanti dell’Inter a Globo Tv. La dichiarazione viene ripresa in un articolo del Guardian, che subito dopo fa pure un po’ di ironia: «There can exist no higher praise, though the media have dubbed him the new Neymar».
Nello stesso pezzo, scritto da Daniel Harris, c’è una dichiarazione programmatica che lo stesso Gabriel Jesus ha rilasciato nel corso di un’intervista al sito della Fifa: «A volte mi piacerebbe giocare fino a tre o quattro partite al giorno: riuscirei ad arrivare al punto in cui i miei muscoli si spezzerebbero sotto il peso dei crampi. È il calcio, non posso fare in modo di pensare ad altro. Non sono interessato ad uscire, a partecipare a delle feste. Per me, tutto è una questione di campo: la formazione, la tattica, il gioco. Anche quando vado a casa, tutto il mio tempo lo passo col calcio. Penso di essere ossessionato». Per un personaggio così, la vista e il lavoro con un manager come Pep Guardiola (Gabriel Jesus ha appena firmato un contratto quadriennale con il Manchester City, che ha pagato 30 milioni per prelevarlo dal Palmeiras a partire dal gennaio 2017) saranno una specie di folgorazione divina.
Anche in questo caso, il gol che abbiamo selezionato va al di là della retorica dei trick. Una roba che ovviamente caratterizza pure la narrazione di Gabriel Jesus, ma che rischia di far sì che il calcio si confonda con una prova di giocoleria. Questa rete è bella e importante perché contiene tutti gli elementi fondamentali del controllo palla: lo stop, il trattamento, la conclusione. Anzi, unisce pure in una giocata le prime due fasi: il lancio da dietro viene addomesticato con un bellissimo tocco d’esterno. Che basta, da solo, per aggiustare la posizione del pallone e prepararlo alla conclusione. Il tiro avviene subito dopo il primo rimbalzo, in un momento in cui la sfera è difficilissima da controllare. Eppure, la traiettoria è perfetta: a giro, angolata, precisa. Come prima nella rete di Gabigol, il portiere gestisce al meglio la situazione, coprendo la più grande porzione possibile di specchio attraverso il giusto posizionamento. Tutto inutile: il tiro di Gabriel Jesus è semplicemente imparabile. La descrizione perfetta per questo gol, forse, la fa il titolo del pezzo di Wyscout dedicato al 19enne cresciuto nel Palmeiras: «Gabriel Jesus: flexibility, technique and great finishing on goal».
La parole chiave è flexibility, intesa come completezza tattico-situazionale prima che tecnica. Nel pezzo su Wyscout, Mattia Fontana racconta come l’episodio fondamentale nella carriera di Gabriel Jesus sia stato l’incontro con il tecnico Cuca, che ha intravisto in lui le qualità del grande attaccante e l’ha spostato in quella che sarebbe diventata poi la sua posizione, pur con qualche variazione momentanea sul tema (a volte, Gabriel Jesus torna indietro nel tempo e si disimpegna come esterno offensivo, indifferentemente dalla fascia). La versatilità la leggi anche nelle sue statistiche, ancora più impressionanti di quelle del gemello Gabigol: 10 gol in 14 partite dell’attuale Brasileirão, una shot accuracy del 50% e pure una buonissima lettura del gioco, con 4 assist e 20 key passes. Gabriel Jesus è uno che in campo serve, che va al di là delle suggestioni tipiche brasiliane sulla fantasia, sulla giocata fine a sé stessa. Lo spiega sul Mirror Jack Lang, evidentemente un fine conoscitore delle cose calcistiche che avvengono nel paese sudamericano: «Gabriel Jesus, di solito, non utilizza lo stile iperelaborato tipico di molti giovani brasiliani, che spesso bramano un trick di troppo al posto di un passaggio semplice. Lui utilizza le sue grandi qualità per il bene della squadra».
Da Youtube: Gabriel contro Gabriel.
Nonostante tante belle cose e storie e dati, questi non sembrano i giorni migliori per celebrare i due talenti più futuribili del calcio brasiliano. L’imprevedibilità del gioco, verrebbe da dire. L’errore clamoroso a porta vuota di Gabriel Jesus nella partita tra le nazionali olimpiche di Brasile e Sudafrica è diventato un video virale; nella seconda partita dei Giochi casalinghi di Rio la Seleção ha impattato a reti bianche pure contro l’Iraq. Un risultato che non è stato accolto proprio benissimo da tifosi e media, reduci dalla recente, pesante eliminazione al primo turno della nazionale di Dunga dalla Copa America Centenario. Secondo il racconto di Espn Brasil – che tanto per gradire scrive la parola “vexame” (umiliazione) nel titolo del suo pezzo di sintesi – la torcida dello stadio “Mané Garrincha” di Brasilia ha intonato, a un certo punto della partita, un coro per la calciatrice Martha, stella assoluta della squadra femminile. Un affronto, di quelli pesanti..
L’ansia che sembra limitare un Brasile scottato dai recenti, pessimi risultati (tre anni da incubo: il Mineirazo nel 2014 e la doppia prematura eliminazione, ai quarti e al primo turno, delle ultime due edizioni della Copa America) e la pressione aggiuntiva di un oro olimpico mai vinto nella storia, pare aver fatto selezione anche tra i due ragazzini dell’attacco. Ha spinto e sta spingendo, seppur inconsciamente, a fare una scelta di campo tra i due calciatori. I giudizi sulle prestazioni della Seleção ai Giochi Olimpici premiano senza riserve Gabriel Barbosa. Per Marcus Alves di Espn Brasil, il calciatore del Santos è stata «l’unica scintilla di talento» in una partita caratterizzata «dall’assenza del gioco collettivo». La bocciatura per Gabriel Jesus è invece senza appello: nell’articolo di commento al match, la sua uscita dal campo è descritta da una frase difficilmente equivocabile («Gabriel Jesus, dopo essersi scontrato a lungo con i suoi compagni, è stato finalmente sostituito»), in un altro pezzo viene definito come «il meno efficace dei tre componenti del tridente». Probabilmente, buona parte di una critica tanto severa e feroce dipende anche dalla sensazione di tradimento con cui i brasiliani stanno vivendo il suo passaggio al Manchester City. Un profumo che è possibile leggere in questo pezzo, pubblicato sempre su Espn Brasil, in cui viene stigmatizzata la sua scelta di trasferirsi in Inghilterra e in cui non mancano frecciatine sparse a Pep Guardiola e alle sue «telefonate seduttrici».
Nazionalità, età, ruolo, alcune peculiarità tecniche. La statura, con un solo centimetro di “vantaggio” per Gabigol. Perfino una parte del nome. Tutto simile, per non dire uguale. Siamo solo all’inizio di un duello a distanza potenzialmente infinito tra il partito di Gabriel Jesus e quello di Gabigol, in attesa che quest’ultimo raggiunga in Europa (all’Inter, magari?) l’attuale compagno d’attacco nella nazionale olimpica. La competizione, però, non sembra essere entrata all’interno della coppia. Anzi, i sentimenti preponderanti sembrano essere rispetto e amicizia. Di recente, Gabigol ha infatti scelto parole al miele quando si è trattato di parlare di Gabriel Jesus: «È veloce, forte, bravo a fare gol. Ho parlato con lui, è un grande giocatore e dimostra di possedere una grande maturità, soprattutto in raffronto alla giovane l’età. Si tratta di un atleta in cui mi rispecchio un po’, per la ricerca continua della rete e per l’aiuto che dà alla squadra. Potrei tranquillamente definirlo come il mio idolo».
Il primo commento a questa intervista, pubblicata sul sito gazetaesportiva.com, dice pressappoco così: «Neymar, Gabriel Jesus e Gabigol sono tre calciatori diversi, molto difficili da gestire. Se riuscissero a integrarsi, darebbero tanta gioia al popolo brasiliano». Nonostante la grande carica retorica, queste parole sono senza dubbio il modo migliore per chiudere questo discorso.