Pugni al cielo

Daniele Garozzo, oro nel fioretto a Rio, si racconta: la scherma, i ricordi dell'infanzia, gli affetti, il coraggio e il sentirsi imbattibile in pedana.

La mente di uno schermidore è un mondo misterioso. Al suo interno ci sono palazzi costruiti su fondamenta poste in anni e anni di lezioni e assalti, ma se ci si entrasse nel momento decisivo di un assalto, la si potrebbe trovare incredibilmente vuota. Provate a chiedere a uno schermidore di spiegarvi come ha costruito una stoccata, spesso vi capiterà di sentirvi rispondere che non l’ha pensata, gli è venuta e basta. È questione di gesti tecnici mandati a memoria che si mischiano all’istinto e riaffiorano all’improvviso, in modo spontaneo: una reazione immediata alla situazione contingente, un riflesso condizionato.

Quando Daniele Garozzo ha visto Alexander Massialas tentare di scappare via dopo un affondo partito da troppo lontano e andato a vuoto, l’ha rincorso scagliando il fioretto sulla sua schiena. Come ha fatto? Gli è venuta così. Prima di quell’ultimo «allez» dell’arbitro, non ha costruito nella sua testa una strategia per infilare la botta numero 15, quella dell’oro olimpico, ha solo cercato di svuotare la mente. Perché si creasse lo spazio necessario per permettere a quei 20 anni di affondi, parate e risposte di riaffiorare in superficie, di liberarsi dalle catene della tensione e dai pensieri negativi che possono tradire anche il migliore. Perché lui, quel giorno, si sentiva il migliore. Anzi, era sicuro di esserlo. Ed è per questo che è tornato a casa con un oro olimpico al collo.

Cosa significa vincere un’Olimpiade?

È strano e non l’ho ancora metabolizzato. È la realizzazione di un sogno, lavori una vita per questo obiettivo, ma poi accade tutto in un attimo. Davvero non riesco ancora a capire quello che ho fatto.

Ci racconta l’ultima stoccata, quella dell’oro. Se fossimo stati nella mente di Daniele Garozzo, cosa avremmo visto?

In quel momento non avevo pensieri. Ero totalmente concentrato su quello che stavo facendo, non su quello che avrei dovuto fare. Ero presente in quel momento lì. Ho lavorato molto in questi anni, con la mia psicologa Chiara Santi, per far sì di non perdermi in pensieri nelle situazioni di maggiore tensione.

Un aspetto in cui è migliorato?
Sì. Ho avuto tanti cali di concentrazione durante la stagione. Due proprio con Massialas. Il primo a Shanghai, quando ero avanti 13-5 per entrare nei quattro e ho perso 15-14. Un’altra volta a Parigi, a squadre, ero avanti 43-37 e ho perso 45-43.

RIO DE JANEIRO, BRAZIL - AUGUST 07: Daniele Garozzo of Italy celebrates victory over Alexander Massialas of the United States during Men's Individual Foil Final on Day 2 of the Rio 2016 Olympic Games at Carioca Arena 3 on August 7, 2016 in Rio de Janeiro, Brazil. (Photo by Alex Livesey/Getty Images)
(Alex Livesey/Getty Images)

E anche stavolta Massialas ci ha provato. Sul 14-8 ha messo tre stoccate per il 14-11. Ha avuto paura?
No, ero pronto e preparato. Non pensavo a niente se non alla stoccata successiva e a come metterla. Ma a dirla tutta, quella decisiva, non l’ho nemmeno ragionata, è stata molto istintiva. Ero lontano, lui aveva appena tentato un attacco ma io avevo appena parato, mi sono detto «Mi butto». Mi sono lanciato in corsa e l’ho preso sulla schiena.

Quindi nessuna paura di subire la rimonta già subita da Avola ai quarti?

No. Mi avevano raccontato di Giorgio, ma io conosco Massialas, è il numero 1 del mondo non per caso. Ha grandi doti tecniche, ma, forse, ne ha ancora più grandi dal punto di vista caratteriale. Non molla mai, nemmeno nelle situazioni che sembrano irrecuperabili. Io ho un carattere particolare, per certi aspetti è perfetto per la scherma, per altri no. Sono molto sicuro di me, ma anche molto apprensivo, soffro la gara. Da questo punto di vista ho dovuto lavorare molto, forse è stata la parte più difficile della preparazione a Rio. Lavorare su di me. Anche dopo le sue tre stoccate di fila ero concentrato sul “qui e ora”. Sapevo che stavolta non gli avrei regalato niente come successo altre volte, che poteva anche rimontare, perché nello sport può succedere tutto, ma avrebbe dovuto mettere ogni singola stoccata lui, sudandosela. E quando ho visto la lampadina accesa non ho capito più niente.

E allora è partita l’esultanza sotto gli spalti. Senza che la corsa effettuata per toccare l’avversario si arrestasse, proseguendo invece oltre la pedana.

Sì, è venuta fuori una cosa troppo bella. Sapevo che mio padre era lì, da quel lato del palazzetto. Prima di ogni match facevo il pugno chiuso verso di lui, per darmi la carica. Così quando ho messo l’ultima botta sono andato in quella direzione. Da fuori poteva sembrare un’esultanza da calciatore, verso il pubblico, ma io vedevo e cercavo solo Salvo, per dirgli: «Papà, ce l’ho fatta!».

Papà Salvo che ha una buona parte di meriti se Daniele è diventato campione olimpico di fioretto.

Lui è il più grande tifoso che ho, dice sempre di essere il mio capo ultrà. Mi ha caricato per tutta la giornata, come in ogni gara della mia vita. Quando ero bambino e dovevo andare a tirare a Modica perché ad Acireale c’erano pochi fiorettisti, iniziava prima il lavoro, saltava la pausa pranzo, per chiudere in anticipo alle 17.30 e affrontare con me, in macchina, un viaggio di un’ora e mezza, restare a Modica per due ore di assalti, e poi fare un’altra ora e mezza per tornare a casa. E il giorno dopo si ricominciava: lui al lavoro, io a scuola. È stato un periodo pesante, ma anche bellissimo, perché ci ha legati ancora di più.

TOPSHOT - US Alexander Massialas (R) competes against Italy's Daniele Garozzo during the mens individual foil gold medal bout as part of the fencing event of the Rio 2016 Olympic Games, on August 7, 2016, at the Carioca Arena 3, in Rio de Janeiro. / AFP / Kirill KUDRYAVTSEV (Photo credit should read KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)
(Kirill Kudryavtsev/AFP/Getty Images)

Dopo l’esultanza da papà Salvo sono arrivati tre abbracci. Il primo a suo fratello Enrico, poi medaglia d’argento nella spada a squadre.

Il momento più bello della mia vita. La Carioca Arena 3 era piena e noi schermidori non siamo abituati alla folla, ma io la faccia di Enrico la vedevo sempre. Come per magia. Lo vedevo prima di salire in pedana e sapevo dove l’avrei trovato alla fine. Dopo la semifinale vinta con Safin, con tutto il palazzetto che urlava, io ho sentito distintamente la voce di mio fratello e sono andato subito a indicarlo col dito. Non sapevo in anticipo dove era seduto, ma l’ho trovato subito. Dopo la finale l’ho visto correre verso di me, ci siamo abbracciati, lui piangeva, io piangevo. Un’emozione indescrivibile.

Il secondo abbraccio è quello ad Alice Volpi, fiorettista della Nazionale, a Rio come sparring partner.

Io e Alice siamo amici da oltre 10 anni. Da un paio di mesi ci frequentiamo e stiamo benissimo insieme. Siamo innamorati ed è stupendo. Lei può capire davvero cosa c’è dietro questa vittoria, sia dal punto di vista dell’atleta sia perché mi è sempre stata vicina in questi 10 anni e negli ultimi mesi, ha visto gli sforzi e i sacrifici per cui credo di meritare questa medaglia. Vederla piangere di commozione è stato stupendo. Quell’abbraccio me lo porterò nel cuore.

Il terzo e ultimo abbraccio è quello con Andrea Baldini, suo compagno di squadra in Nazionale, ma escluso dalla prova individuale a Rio.

Quella è la foto più bella che mi sia mai stata fatta, perché rende benissimo l’idea di quello che c’è tra me e il Baldo. C’è rivalità, come è giusto che sia, ma lui è stato un po’ una chioccia per me negli ultimi anni. Mi ha seguito tanto, è sempre stato affettuoso, mai avaro di consigli. Il fatto di essere escluso dalla prova individuale non gli ha impedito di essere felice per me. È un ragazzo fantastico e purtroppo la sfortuna, e non solo quella, non gli ha permesso di raccogliere quello che meritava. Parliamo dello schermidore più forte degli ultimi 20 anni che ha fatto una sola Olimpiade individuale e ha pure preso il legno.

Pochi giorni dopo la gioia dell’oro individuale è arrivata una prova a squadre deludente. Cosa vi è successo?

Noi abbiamo sempre basato la nostra forza sull’alto livello delle individualità. Siamo agli antipodi rispetto alla spada maschile oggi, una squadra vera e compatta dove il risultato va oltre la somma dei talenti singoli. Noi, invece non abbiamo un gruppo così solido, ma abbiamo sempre sopperito a questo con le capacità tecniche di un campione olimpico, un campione del mondo e un plurimedagliato a livello internazionale come Avola. A Rio ci è mancato questo, doveva venire fuori la squadra, ma non è venuta fuori.

Pesando su una bilancia l’oro individuale e il quarto posto a squadre, quale piatto prevale?

Il sogno era vincere l’individuale, e l’ho realizzato. Ma avevo l’ambizione di prendere un’altra medaglia a squadre. Quella sconfitta me la porterò dentro. Sono molto deluso dalla mia seconda parte di Olimpiade, ma alla fine prevale la felicità, perché, come mi hanno detto tutti, quest’oro cambia una vita. Indipendentemente da quello che farò poi, io ho vinto nel mio sport, ho raggiunto l’apice. Poi ho ancora tanta fame, così tanta che non ho nemmeno visto la finale dell’individuale, se non l’ultima stoccata, mentre mi sono riguardato tutti gli assalti della gara a squadre per vedere cosa ho sbagliato. Sono un perfezionista e sono convinto che il meglio della mia scherma, da un punto di vista tecnico, debba ancora venire fuori.

RIO DE JANEIRO, BRAZIL - AUGUST 07: Daniele Garozzo (L) of Italy competes with Alexander Massialas (R) of the United States on his way to winning the Men's Individual Foil Final on Day 2 of the Rio 2016 Olympic Games at Carioca Arena 3 on August 7, 2016 in Rio de Janeiro, Brazil. (Photo by Alex Livesey/Getty Images)
(Alex Livesey/Getty Images)

Pensa di essere il fiorettista più forte del mondo?

Forse sembrerò arrogante, ma sono molto sicuro dei miei mezzi. Mi sono sempre sentito il più forte del mondo, ho sempre pensato di poter vincere tutte le gare.

Sentirsi il più forte è più importante di esserlo?

Sì, è proprio così. E per me vale questa regola. Essere il più forte e non sentircisi non ti permette di rendere al meglio. Io quel giorno ho vinto perché ero convinto che l’avrei fatto.

Perché l’Olimpiade, più di altre gare, è insidiosa per chi parte con i favori del pronostico e fa emergere gli outsider?

Voglio citare la frase di un amico, Andrea Aquili, che era lì con noi come video analista. Lui dice che le Olimpiadi sono una gara per giovani, perché chi le fa per la prima volta sa che ci sarà una seconda possibilità. Sa che non è quella l’occasione migliore, o l’ultima da cogliere, che potrà ripresentarsi quattro anni dopo. Io credo che, a 28 anni, sarò ancora nel pieno della mia forma, forse ancora più forte perché avrò più esperienza, quindi non sentivo l’acqua alla gola. Quella che, dispiace dirlo, forse ha sentito Cassarà, che a 32 anni poteva essere all’ultima occasione per vincere tutto.

Essere outsider l’ha aiutata a vincere?

Faccio fatica a rispondere a questa domanda, perché io non mi sono mai ritenuto un outsider. Se avessi potuto scommettere, avrei scommesso su di me. Poi, se devo vederla in modo più razionale, c’erano 20 persone che potevano vincere la gara. Il fioretto maschile, oggi, è un’incognita. Non è più come fino a 10 anni fa, quando i nomi dei migliori erano sempre gli stessi. Oggi tutto il mondo fa fioretto, e tutto il mondo lo fa bene.

Crede ci vorranno altri 20 anni per un altro oro italiano nel fioretto maschile individuale?

Speriamo di no. Il sogno, nel mio cuore, è di riuscire a fare il bis io tra quattro anni. Ma Tokyo è ancora molto lontana. Ora mi riposo, poi comincerò a pensare alla prima gara di Coppa del Mondo, poi alla successiva. Preferisco navigare a vista, un passo alla volta.

Non tutti avrebbero oggi il coraggio di parlare di un altro oro olimpico tra quattro anni. Lei non è scaramantico?

No, per niente. Credo che queste cose portino a deconcentrarsi. Poi tutti abbiamo i nostri piccoli rituali portafortuna, ma anche a quelli do poco peso.

Italy's Daniele Garozzo (L) competes against US Alexander Massialas during the mens team foil bronze medal bout between Italy and US as part of the fencing event of the Rio 2016 Olympic Games, on August 12, 2016, at the Carioca Arena 3, in Rio de Janeiro. / AFP / Kirill KUDRYAVTSEV (Photo credit should read KIRILL KUDRYAVTSEV/AFP/Getty Images)
(Kirill Kudryavtsev/AFP/Getty Images)

Cosa è la scherma per lei?

La mia passione più grande. Un gioco ma anche il mio lavoro, e mi ritengo fortunato per questo. Io quando vado in palestra sono contento, godo. Non solo in pedana, ma anche quando faccio preparazione atletica. Ed è per questo che sono cresciuto così tanto in così poco tempo, perché quando mi alleno sto bene.

Cosa c’è di bello nella scherma?

Tante cose. Una su tutte: poter competere direttamente con un avversario. Ci sono tanti sport in cui si compete soprattutto con se stessi. Succede anche nella scherma, ma in più c’è un rivale davanti. Io credo di essere diventato quello che sono ora perché tante volte sono stato messo dietro ad altri. Nell’under 20 ero il quarto, se non il quinto della Nazionale. Questo mi ha dato gli stimoli per migliorarmi.

Lei è tifoso di calcio?

Sì, juventino.

Quanto spazio occupa il calcio nella sua vita?

Molto meno di quello che vorrei, purtroppo. Ma parlo soprattutto del calcio giocato. Gioco pochissimo, il mio maestro non vuole perché mi faccio sempre male. Seguirlo non è un problema, ci riesco con regolarità. Guardo Sky Sport 24 almeno due volte al giorno, sono sempre informato.

Che tipo di calciatore è?

Egoista. Uno che non passa tanto la palla, ma fa molti gol.

Cosa non le piace del calcio?

Vedere un giocatore che si butta per terra per ingannare l’arbitro e guadagnare un rigore. E pensare che è una cosa che nel calcio non solo è accettata, ma addirittura insegnata come parte del gioco.

Nella scherma non si imbroglia?

No, il contrario. Spesso si ammette di aver subito una stoccata o di non averla segnata. Mio fratello l’ha fatto nella finale per l’oro contro la Francia. L’arbitro gli aveva dato un punto, ma lui si era toccato da solo e l’ha detto subito, dimostrando che da lui c’è solo da imparare. Non era la prima volta che lo faceva.

Adesso lei è famoso come non lo era mai stato, ma non durerà molto. È il destino degli atleti olimpici, di cui ci si ricorda ogni quattro anni. Come vive questa situazione?

Sinceramente non mi interessa la fama e apparire. Ho la speranza di trovare qualche sponsor, quello sì, ma la celebrità non fa per me. Sono tornato ad Acireale e, al primo giorno in spiaggia, 30 persone mi si sono avvicinate per una foto. È stato bello, ma anche strano.

Soprattutto per uno che ha iniziato a tirare di scherma in un garage.

Sì, è iniziata così. Ad Acireale non c’era una palestra prima che la aprisse Sebastiano Manzoni, un nostro amico di famiglia. Enrico ha iniziato per primo, io l’ho seguito dopo. Oggi, guardando come vengono osannati i campioncini di alcune palestre, mi viene da ridere se ripenso a quello che è riuscito a fare il maestro Domenico Patti in un buco di garage con una decina di atleti, arrivando a crescere un oro olimpico come me e due argenti olimpici come Enrico e Marco Fichera.

Due spadisti e un solo fiorettista. Come faceva ad allenarsi?

Viaggiavo molto. Catania, Modica, ovunque ci fosse qualcuno che avesse voglia di mettersi un giubbino elettrico. E per buona parte del tempo, il mio allenamento avveniva contro un manichino. Avevo una tale passione per la scherma che passavo i pomeriggi a fare passo avanti e affondo contro quel manichino sfondandolo di botte. Se ci penso ora mi vengono i brividi.

Italy's Daniele Garozzo (R) celebrates celebrates winning against as US Alexander Massialas in the mens individual foil gold medal bout as part of the fencing event of the Rio 2016 Olympic Games, on August 7, 2016, at the Carioca Arena 3, in Rio de Janeiro. / AFP / Fabrice COFFRINI (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)
(Fabrice Coffrini/AFP/Getty Images)

Come mai ha scelto il fioretto?

Perché, come dico sempre a mio fratello, si inizia tutti col fioretto. Chi vince rimane fiorettista, chi perde passa alla spada (ride, ndr).

Cosa si può fare per accrescere la popolarità della scherma?

Tante cose. Dovremmo trasformare le gare, che ora, salvo rarissime eccezioni come l’Olimpiade, forse i Mondiali e la tappa di Coppa del Mondo di Parigi, sono molto rivolte agli atleti e poco al pubblico. La prima cosa che farei è contattare il referente degli atleti per fare qualcosa noi, in prima persona. Io ho diverse idee. Per esempio trasformerei in turni preliminari tutti gli assalti fino ai quarti, e aprirei il palazzetto al pubblico per le fasi finali, facendo tirare un assalto alla volta, su una sola pedana.

Ma non è uno sport troppo complesso perché venga apprezzato dal pubblico?

Alla fine non importa che la gente capisca le regole. Gli italiani vanno a vedere il rugby durante il Sei Nazioni, e le regole non le conosce nessuno. Ma lì c’è un evento, si crea un’atmosfera che fa sì che la gente si diverta. Il segreto è questo.

Lei ha 24 anni, una medaglia d’oro olimpica, almeno un altro decennio di carriera ad alti livelli davanti, uno stipendio dalla Guardia di finanza come atleta delle Fiamme Gialle. Eppure si è iscritto all’università e studia medicina. Perché?

Perché è il mio sogno, lo è sempre stato. E non credo che a 20 anni si debba già iniziare a rinunciare ai propri sogni. Tanti hanno provato a dissuadermi, tanti mi ridevano in faccia quando dicevo che avrei fatto il test e sarei entrato, che avrei portato avanti gli studi. Ma alla fine sto riuscendo anche in questo, ci metterò un po’ di più ma mi laureerò. E ne sono orgoglioso quanto lo sono dell’oro olimpico.

 

Nell’immagine in testata, Daniele Garozzo esulta dopo la vittoria dell’oro a Rio (Kirill Kudryavtsev/AFP/Getty Images). Nell’immagine in evidenza, con la medaglia d’oro al collo (Alex Livesey/Getty Images)