L’urlo di Manchester

Come cambia il Manchester United con Mourinho, a livello tattico, difficoltà incluse, con i nuovi arrivi e nella narrazione.

Per capire la logica con cui il nuovo Manchester United ha deciso di costruire se stesso, basta leggere un’intervista rilasciata da José Mourinho il 23 luglio scorso. Molto prima che cominciasse la stagione, molto prima che venisse annunciato l’acquisto di Pogba, l’operazione di mercato più costosa della storia del calcio. Il manager portoghese parla al Sun e dice una cosa estremamente semplice: «Voglio vincere subito il campionato».

Tutto quello che è successo nell’estate 2016 tra Old Trafford e dintorni non ha fatto altro che assecondare questo atteggiamento, questa scossa di sano, assoluto realismo. Anche cinico, se vogliamo. Ma che forse era l’unica possibilità per ribaltare il biennio da piccolo chimico di Van Gaal, il suo piano pluriennale di utopia calcistica. Quella del tecnico olandese era un’idea suggestiva, potenzialmente meravigliosa ma di difficilissima realizzazione. Che è stata descritta al meglio, con quello che forse è il paragone più azzeccato, da Jonathan Liew del Telegraph: «La Grande Muraglia Cinese fu un progetto colossale, realizzato attraverso spese quasi inconcepibili: un monumento di 5.500 miglia alla leadership autocratica, alla vanità culturale e diplomatica. Si può dire la stessa cosa del progetto da 250 milioni di sterline dello United e di Louis Van Gaal. Certamente un atto di maestosa ingegneria del calcio, che voleva invertire la parsimonia e l’incuria degli ultimi anni dell’era Glazer nello spazio di una sola stagione. Ma la domanda più importante era e rimane: che cosa si voleva fare, esattamente?».

Sul nuovo corso, invece, ci sono pochi dubbi. Lo capisci grazie a Jamie Carragher, il calciatore con più presenze europee nella storia del Liverpool. Si è ritirato nel 2013, e oggi tiene una rubrica di approfondimento calcistico per il Daily Mail. All’indomani dell’ufficialità di Mourinho come nuovo manager dello United, scrive la frase che forse definisce meglio l’ex tecnico di Inter e Real Madrid. Una descrizione sommaria, ma efficace: «È un vincitore seriale. Allo United, oggi, vogliono semplicemente riempire la loro bacheca con dei trofei. E hanno scelto l’uomo migliore per questo lavoro».

Prima partita ufficiale, prima coppa alzata al cielo

Tra l’annuncio del primo trasferimento in entrata (Bailly, 8 giugno) e l’ufficializzazione del #Pogback (9 agosto), corrono due mesi e un giorno. Durante i quali il Manchester United ha deciso di percorrere due strade diverse, parallele: il potenziamento tecnico e l’upgrade narrativo della squadra. Entrambi i concetti rientrano nel discorso di sopra, quello sulla necessità della vittoria. Il miglioramento calcistico dei Red Devils sta nel fatto di aver acquistato, semplicemente, uno dei calciatori più forti al mondo e l’attaccante più determinante nel breve periodo disponibile sul mercato. Mettendoci vicino Eric Bailly, «un difensore già perfettamente attrezzato per le esigenze della Premier League» (Paul Wilkes, Fourfourtwo), e Henrikh Mkhitaryan, «calciatore versatile in grado di giocare benissimo in tutte le posizioni alle spalle di una punta centrale» (Jack Gaughan, Daily Mail). L’ulteriore prova di come e quanto questi acquisti abbiano rappresentato la volontà di aumentare il valore assoluto della rosa sta nella assoluta assenza di addii compensatori. Nessuna cessione eccellente, tutti i campioni già presenti in organico sono rimasti a Old Trafford. Una serie di eventi che ha spinto Mourinho a dirsi «felice di poter lavorare con 23 giocatori, della squadra che abbiamo costruito».

La prima in Premier, vinta 3-1 contro il Bournemouth

C’è poi il discorso sul racconto, sulla potenza narrativa del nuovo progetto del Man United. Tutta roba che leggi nelle scelte di Mourinho, di Pogba, di Ibrahimovic. Lo svedese, in questo senso, è la personificazione di una strategia ben precisa. Tecnica, ma anche comunicativa e commerciale. Quando sopra lo descriviamo come “l’attaccante più determinante nel breve periodo disponibile sul mercato”,  non è che abbiamo dimenticato Higuaín, Morata, Cavani. È solo che Ibra ti permette di scrivere di «nuovo Cantona» senza rischiare di essere blasfemo; di pubblicare sul sito ufficiale del club un articolo in cui viene raccontato il suo rapporto con Mourinho e si parla di gatti, leoni, Terminator, Floyd Mayweather e Manny Pacquiao senza apparire pazzi o ridicoli; di vedere e accettare il video-troll su Instagram, quello dedicato a Claudio Bravo: un breve montaggio in cui Zlatan piega e spedisce una maglietta (un prodotto del suo marchio d’abbigliamento, ovviamente) al portiere cileno del City prima del derby e gli suggerisce di allenarsi molto. Ibrahimovic è tutto questo e molto altro, una ricarica continua di mitopoiesi e autodefinizione calcistica e narrativa. Ed è anche 5 gol nelle prime 5 partite ufficiali. «Un impatto enorme, in campo e fuori», ha scritto Newsweek.

Che poi, per spiegare e capire il Manchester United, basterebbe l’acquisto di Pogba. Una storia che va riletta secondo una duplice chiave di senso: da una parte il #Pogback e la campagna virale sui social, il rapporto triangolare con lo sponsor tecnico, il fatto che «allo United non sono così stupidi: se spendono una cifra del genere, sanno quello che fanno ed evidentemente pensano di rientrare dell’investimento attraverso iniziative di marketing» (Mamadi Fofana, procuratore di calciatori, in un’intervista all’Evening Standard). Accanto a tutto questo c’è il fatto tecnico, l’aderenza ideale tra Pogba e le esigenze di Josè Mourinho. Che, come dichiarato in estate dopo una sconfitta col Borussia Dortmund, avrebbe in mente un Manchester «con calciatori molto aggressivi al centro, che vogliano attaccare senza perdere la compattezza». JJ Bull, giornalista del Telegraph, ha spiegato che per portare avanti questa idea nessuno è meglio di Pogba: «L’ex juventino è un centrocampista box-to-box, saprà aggiungere dinamismo e fisicità alla squadra. Ha delle qualità che gli permetteranno di aiutare a recuperare il possesso e di svolgere un ruolo fondamentale nei contrattacchi rapidi di United». La sua analisi trova riscontro nelle cifre: nell’ultimo campionato di Serie A, Pogba ha messo insieme 8 gol, 54 occasioni create (12 assist, record del torneo, e 42 key passes) e 80 eventi difensivi. La completezza, semplicemente.

Gennaio 2015, Juventus-Inter: Paul Pogba, ovvero 3.15 di strapotere a tutto campo

Paolo Condò, in un’intervista rilasciata a Undici alla vigilia del derby di Manchester, sintetizza tutti i concetti che abbiamo espresso finora confrontando l’approccio di Mourinho allo United con quello di Pep Guardiola al City: «Sono due progetti trasparenti. Quello dello United è vincere subito, quello del City nel triennio. E non mi meraviglierei se andasse proprio così. Mourinho ha giocatori più pronti di Guardiola». Semplice, lineare. La linea guida del mercato influenza anche le scelte tattiche che il manager portoghese ha iniziato a compiere una volta preso il possesso della panchina che fu di Alex Ferguson, che dalle parti di Old Trafford è il benchmark per eccellenza. La logica è quella della semplificazione, dello sfruttamento immediato delle qualità dei calciatori. La prima preoccupazione, ad esempio, è stata quella di snellire la manovra, riducendo il numero di passaggi necessari a costruire un’occasione da rete: se lo United di Van Gaal necessitava in media di 46 tocchi prima di provare la conclusione (il rapporto tra passaggi e tiri a partita, 510 su 11), a quello di Mourinho ne bastano 29 (474 su 16). Il secondo compito di José è stato quello di impostare delle strutture base su cui poggiare la costruzione dell’azione offensiva: 5 dei 9 gol segnati in partite ufficiali in questo avvio di stagione nascono da cross provenienti dalle fasce. Che poi sono anche il luogo in cui la squadra di Mourinho concentra lo sviluppo del gioco: il 36% delle azioni nasce dall’out mancino, il 34% da quello destro.

heatmap

La heatmap dei Red Devils riferita al match contro il Southampton per 2-0, per la seconda giornata di Premier League. Le zone rosse indicano una maggior concentrazione di eventi, e sono distribuite lungo le due fasce laterali.

In questo modo, lo United riesce a sfruttare la grande tecnica dei suoi esterni, difensivi ed offensivi, ma anche ad innescare la grande fisicità dei vari Ibrahimovic, Fellaini, Pogba. Non a caso, l’organico dei Red Devils è il quarto per altezza media di tutta la Premier League, il primo se consideriamo le sei squadre inglesi impegnate in Europa (solo Middlesbrough, Crystal Palace e West Bromwich Albion superano i 183,2 cm di average weights dei calciatori a disposizione di Mourinho).

L’altra dinamica ricorrente nel gioco del nuovo United discende direttamente dagli interpreti e dalla scelta del modulo, un classico 4-2-3-1 à la Mou, con Ibrahimovic a lavorare come attaccante perno e i tre trequartisti pronti a inserirsi accanto a lui, sfruttando gli spazi aperti grazie alla sua fisicità e alla sua presenza in zona centrale. Il secondo e il terzo gol della sfida contro il Bournemouth (esordio in Premier League, vittoria per 1-3) sono didascalie perfette su come sfruttare il lavoro dello svedese: nell’azione della prima rete, Zlatan attacca verticalmente la porta e richiama l’attenzione (un po’ pigra, per la verità) dei due centrali avversari, consentendo prima a Martial e poi a Rooney di inserirsi in area e giocare liberamente il pallone; in occasione del secondo gol, vediamo invece il perfetto interscambio di posizioni tra lo svedese e l’esterno offensivo di sinistra (Martial), che entra nel campo in diagonale e apre lo spazio a Ibrahimovic per la conclusione dal limite. Lezioni di Ibracentrismo, lezioni di 4-2-3-1 in fase offensiva. E prove tecniche di strapotere, fisico e tecnico insieme.

Goal compilation di Bournemouth-Manchester United (1-3)

Ovviamente, non è ancora tutto perfetto, anzi. Il derby di Manchester dell’ultimo week-end, la prima partita giocata dal nuovo United contro una squadra dall’organizzazione di gioco definita e articolata, ha mostrato alcune difficoltà della squadra di Mourinho, soprattutto in difesa. Il doble pivote formato da Pogba e Fellaini non fornisce adeguate garanzie in fase di copertura, la difesa tende ad appiattirsi nel momento in cui gli avversari attaccano la porta partendo da dietro, con molti uomini ma senza offrire un punto di riferimento avanzato – come fatto da Guardiola con il suo 4-1-4-1 elastico e il continuo scambio di posizione tra Nolito, De Bruyne, Sterling e Ihenacho. Questo, ovviamente, causa degli scompensi quando lo United tiene il baricentro alto, come richiesto dal 4-2-3-1, e aumenta il rischio di letture sbagliate, soprattutto nella gestione della linea e quindi del fuorigioco (il gol di Iheanacho, per quanto casuale, è il manifesto di questa situazione di gioco).

Da qui si sta sviluppando un bel dibattito tattico sul posizionamento e il miglior utilizzo possibile degli uomini chiave, sull’adattabilità del modulo ai giocatori e del giocatori al modulo. I teorici del ribaltone hanno guadagnato credito, e per capirlo basta guardare il secondo tempo del derby, con Mourinho che cambia lo United e restituisce Pogba al suo ruolo naturale di mezzala, accanto a un regista (Ander Herrera) e a un suo alter ego dalla maggiore consistenza difensiva (Fellaini). Il pressing si alza, l’inerzia della partita si inclina verso i Red Devils. Anche perché, come detto da Guardiola nel postpartita, Mourinho nell’intervallo ha ordinato ai suoi di cominciare a giocare con il fisico e «sono fioccati i lanci lunghi». Ma è troppo tardi, anche per lo stesso Pogba: il solito Jamie Carragher, nella sua analisi del match durante la trasmissione Monday Night Football, l’ha definito «il miglior giocatore nel cortile della scuola che corre dove vuole e fa quello che vuole».

Del resto, la storia del cattivo rendimento di Pogba in un 4-2-3-1 risale già allo scorso Europeo, e si sta riproponendo ora che lo United è ancora alla ricerca della migliore versione di sé stesso. Gli analisti tattici di Falso Nueve hanno definito così l’eventualità di cambiare modulo di gioco: «Per evitare di adattare Pogba e riportarlo nella sua posizione naturale, Mourinho non ha altra scelta che passare a un 4-3-3. Un modulo che, idealmente, non potrebbe contemplare la presenza in campo di Wayne Rooney. È una grande decisione da prendere per Mourinho, ma è giunto il momento che Rooney venga scelto sulla base della sua forma e non sul suo nome».

Rooney-to-Rashford

In questa gif, il gol all’ultimo secondo in casa dell’Hull City, c’è un viaggio nel tempo lungo 12 anni. C’è tutta la narrazione del Wonderkid, ci sono Rooney a Rashford (legittimati in questa veste, rispettivamente, da Pelé e Beckham). Ma c’è anche un grande dilemma, come abbiamo anche potuto leggere sopra in una breve anteprima. Lo spiegano, ancora, quelli di Falso Nueve in un pezzo dal titolo autoevidente, Wayne Rooney is Jose Mourinho’s biggest problem at the moment: «Sia a Ibrahimovic che a Rooney piace essere serviti in profondità, ma al tempo stesso non hanno più il passo per mettere in difficoltà sul breve le difese avversarie. Tra i due, è chiaro che lo svedese è il giocatore più forte e sarà la prima scelta, come centravanti, in questa stagione. […] Con Mkhitaryan e Mata che possono svolgere un lavoro migliore in posizione da numero 10, è difficile pensare che Mourinho possa continuare a dare fiducia a Rooney». Il resto del pezzo è ancora sulla necessità del 4-3-3 per esaltare Pogba, sull’eventualità di un’esclusione dell’ex Everton, inadatto a recitare il ruolo di trequartista centrale alle spalle di Ibrahimovic.

Rashford è l’altra faccia della medaglia. Al di là della retorica dei record, della storia degli esordi con gol, il ragazzino cresciuto nel Fletcher Moss Rangers ha dimostrato di poter essere un’arma importante a disposizione di Mourinho. Due partite giocate quest’anno, da subentrato, con un gol fatto e uno annullato per fuorigioco (di Ibrahimovic). Ma anche, secondo Musa Okwonga di Espnfc, «la capacità di galvanizzare la squadra e di turbare l’equilibrio di un avversario importante come il Man City». Un eventuale passaggio a un modulo a tre punte potrebbe permettergli di giocare molto di più, di essere titolare. Magari proprio al posto di Rooney, come in un ideale passaggio di consegne (e come auspicato da Falso Nueve).  Al momento, però, questa suggestione è destinata a rimanere tale: Rooney è il miglior calciatore dello United per produzione offensiva, ha già messo insieme 2 assist e 8 key passes, oltre al gol segnato alla prima giornata in casa del Bournemouth. Mourinho ha parlato di lui proprio ieri, nella conferenza stampa alla vigilia di Feyenoord-Manchester United.

«Preferisco che Rooney possa essere fresco per i prossimi impegni, piuttosto che usarlo il giovedi»

La partita di Rotterdam sarà l’esordio internazionale di Mourinho e del suo Manchester United. Oltre che contro gli olandesi, da qui a dicembre, i Red Devils affronteranno pure Fenerbahçe e Zorya. È il gruppo A di Europa League, un’eredità scomoda del biennio Van Gaal. Una competizione che Mourinho ha definito a modo suo, al solito, tra l’arrogante e l’ambizioso: «This is not a competition that Manchester United wants, this is not a competition I want, this is not a competition the players want». Pausa scenica. «But we want to win this competition». Questo è Mourinho, questo è il suo Manchester United. Non è così difficile da spiegare, dopotutto.

 

Nell’immagine in evidenza, i giocatori dello United festeggiano il gol di Rashford contro l’Hull City (Mark Runnacles/Getty Images)