Madeleine – Florin Raducioiu

Si è reso più famoso per i gol sbagliati che per quelli segnati, ma il rumeno incantava per quell’innato desiderio di voler fare la cosa più difficile.

Il calcio mi ha costretto a studiare la geografia, perché il mercoledì pomeriggio non potevamo non sapere dove si trovassero Sofia, Dresda e Bucarest; ci ha fatto appassionare alla politica, perché quando le squadre italiane andavano a giocare contro il Carl Zeiss Jena o il Partizan due domande a tuo padre su quei nomi così epici dovevi pur farle. Sono nato alla fine degli anni ’70 e mi sono formato grazie a una brava maestra di scuola elementare, un atlante sempre aperto sul letto, due evidenziatori gialli e tanti giornali sportivi. Mi affascinava tutto ciò che veniva dall’Est, sarà per questo motivo che la notte del 9 novembre 1989, dieci anni compiuti da poco, non chiusi occhio. La Rai trasmetteva delle immagini che il mondo considerava storiche, mio padre mi guardava a guisa di un marziano. Il mondo stava cambiando e anche il calcio non sarebbe stato più lo stesso da quel giorno. Molti stadi e squadre avrebbero cambiato nome, alcuni campioni dell’Est ci avrebbero deliziato con le loro giocate, viceversa le squadre del regime, come la Steaua di Nicolae Ceausescu, avrebbero perso fascino e potere. Una mattina dell’estate del 1990, alla ripresa dell’attività, il calcio rumeno si è ritrovato privo di tutte le sue stelle più brillanti. I giocatori che dovevano sostituire gli assi partiti per l’occidente erano per lo più dei giovani sconosciuti al grande pubblico, che le squadre metropolitane avevano prelevato dai piccoli club di provincia. Gli spettatori, abituati a numeri di alta scuola di Hagi, Raducioiu, Lacatus, Popescu e Sabau, tornavano a casa insoddisfatti e delusi. Steaua e Dinamo, le grandi storiche del calcio romeno, non riusciranno mai più a tornare a far parlare di loro.

26 Jun 1994: Romania teamgroup before the start of the game against the USA in the World Cup Finals in the USA

È proprio da Bucarest che incomincia questa storia, un racconto che ha tre protagonisti: un dittatore, un ex portiere diventato allenatore, anzi maestro di calcio, e un ragazzino biondo e bello come il sole. Il dittatore, si chiama Nicolae Ceausescu. Uno che, in punto di morte, prima dell’esecuzione, rifiuta con folle lucidità di essere chiamato imputato. Era il gelido 25 dicembre e la neve beffarda cadeva su piazza Unirii. Ceausescu e la moglie Elena, altra figura controversa, avevano vissuto nel lusso, pasteggiando a caviale e champagne mentre il popolo pativa la fame e il freddo. L’esecuzione fu pubblica, mediatica, i due avevano lo sguardo perso nel vuoto, erano rassegnati al fato e non capivano esattamente cosa stava per accadere. Tra le rivoluzioni che hanno abbattuto la cortina di ferro, quella romena è stata l’unica a consumarsi nel sangue. È il rosso che macchia la neve di Natale. Qualche mese più tardi, molti di quei rumeni che erano in piazza si riversarono a Bari. La Nazionale faceva l’esordio ai Mondiali contro l’Unione Sovietica nel nuovissimo San Nicola. Diverse immagini di quella partita resteranno impresse per sempre nella memoria. Un centravanti poco aggraziato ma molto efficace che segna una doppietta, Marius Lacatus, e che sarebbe stato acquistato dalla Fiorentina. Un numero 10 con i piedi fatati, giocatore divino, il preferito di Ceausescu quando era alla Steaua, Gheorghe Hagi. E quelle bandiere con il buco al centro. E sì, perché nelle bandiere della Romania è stato letteralmente strappato l’emblema del comunismo. Quella bandiera con il buco al centro è uno dei più forti simboli della rivoluzione che io ricordi. Poi, tra una giocata di Hagi e un contrasto di Sabau, mi ritrovo ad alzare gli occhi verso uno striscione. Questa volta la politica non c’entra, e il Muro di Berlino nemmeno. C’è scritto solo “Raducioiu, Bari ti ama”.

Il Raducioiu degli anni di Bari e Verona

Florin ha gli occhi malinconici e la faccia da attaccante scaltro. Non ha le gambe robuste di Hagi o il petto villoso e vissuto di Popescu. È imberbe, gracile, è il figlio di una rivoluzione che non ha fatto in tempo a vivere. Se Hagi sa tutto di Ceausescu, perché è il pupillo di famiglia, Radu si tiene lontano da amicizie compromettenti. Se Lacatus fa fatica a pensare ad una carriera lontano da Bucarest, Florine non vede l’ora di provarci. È un ragazzo europeo, ha l’età giusta per provare quello che pochi, forse nessuno dei suoi connazionali, ha provato. Raduciou ha meno di 21 anni, e sarà il secondo giocatore più pagato di quelle nazionale. Il Bari se lo assicura per quattro miliardi, lui ne guadagnerà duecentocinquanta a stagione, per quattro anni. Ma la stagione sarà solo una. Prima di accettare, Raducioiu fa una riunione di famiglia per decidere: restando alla Dinamo avrebbe giocato la Coppa dei Campioni, ma non ci sono opposizioni. Il giovane Florin si innamora subito dell’Italia e della sua città adottiva. Parla di una città esuberante e della richiesta di una macchina: «Non è vero che voglio un’Alfa Romeo, mi va benissimo una Ford Fiesta», dice. Salvemini indossa i panni di Lucescu, ma non è semplice trovarsi ad avere a che fare con un ventenne che non è mai uscito dal suo Paese. Nella foto ufficiale della presentazione ricordo un ragazzo incosciente, con un discutibile boxer decorato dai cactus e un paio di mocassini marroni. I tifosi del Bari sognano l’Europa, il vero obiettivo, per una volta dichiarato, della famiglia Matarrese. C’è uno stadio Mondiale, un buon potenziale di investimento, la benedizione di Tonino che sta lavorando ai fianchi della Uefa per far disputare al San Nicola la finale di Coppa dei Campioni. E adesso c’è anche l’attaccante da doppia cifra.

18 JUN 1994: FLORIN VALERIU RADUCIOIU OF ROMANIA, LEFT, AND LUIS CARLOS PEREA OF COLOMBIA IN ACTION DURING THE COLOMBIA V ROMANIA MATCH AT THE ROSE BOWL IN LOS ANGELES, CALIFORNIA. Mandatory Credit: Shaun Botterill/ALLSPORT
Raducioiu in azione ai Mondiali americani, contro la Colombia (Shaun Botterill/ALLSPORT)

Il primo anno in Italia del “Van Basten rumeno” è tutt’altro che da tramandare ai posteri. Florin segna 5 gol e il Bari si salva solo alla penultima. Si intuisce subito che Raducioiu è il più bravo di tutti ad arrivare davanti alla porta. Ci mette la classe, l’eleganza, la rapidità, la scaltrezza. Poi si inceppa. Nessuno lo fischia, perché a Bari una promessa è una promessa. Siamo tifosi che si infatuano per una promessa, perché un bravo giocatore ci sceglie, e poi si vede subito che il ragazzo si impegna. Non ricordo di averlo mai visto sorridere. Soffriva maledettamente il fatto di essere sceso da quasi 30 gol a 5, ma quella non poteva che essere un’eccezione. Un’annata sbagliata, lo scotto da pagare all’ambientamento, al cibo occidentale, al sole di Bari, alla bella vita dell’Italia. Non ci pensò due volte Matarrese. Lo cedette, senza nemmeno recuperare i soldi dell’investimento. Ancora meno indimenticabile fu la stagione successiva di Florin a Verona. Si divora una tale quantità di gol che la Gialappa’s Band gli dedica la copertina di una rubrica. Ancora oggi, se provate a scrivere il nome di Radu su Google, l’opzione automatica vi suggerisce di completare la frase con “Raducioiu gol mangiati”. Troverà la sua annata migliore a Brescia dove ritroverà Lucescu e tornerà a segnare in doppia cifra grazie agli assist di Hagi. Con il passare degli anni, Raducioiu corre più leggero, non inclina più il busto all’indietro prima di caricare il tiro, aggiusta la mira. Il suo approdo al Milan, nel 1994, non sorprende. C’è una foto che ritrae Raducioiu mentre solleva, o forse sarebbe più corretto dire regge, la Coppa dei Campioni assieme a Marco Van Basten. Il rumeno indossa una polo, e non una divisa del Milan, ma poco importa. Nel suo palmarès c’è quel trofeo.

Con la maglia del Milan contro il San Paolo, nella Coppa Intercontinentale 1993

Il tempo di giocare un Mondiale, quello del 1994, da assoluto protagonista: quattro gol importanti che portano la Romania ai quarti di finale. Il torneo statunitense è certamente lo Zenit della carriera di Florin Raducioiu, quello che consacra a livello internazionale una Nazionale che quattro anni prima aveva deluso in Italia. Raducioiu giocherà una straordinaria partita contro la Svezia, ma non basterà una doppietta, perché la Romania verrà eliminata ai rigori. Questa volta non c’è nessuno striscione, nessuna dichiarazione d’amore, ma Florin non ha più bisogno. L’espressione contrita ha lasciato il posto alla consapevolezza di un ragazzo che nel giro di un quadriennio è passato da Bari alla Coppa dei Campioni, da un Mondiale da spettatore ad uno da protagonista. Senza farlo pesare troppo. Sono convinto che se fosse rimasto più tempo in un club, magari proprio a Bari, Raducioiu sarebbe diventato un punto di riferimento, l’idolo dei tifosi. Era il più bravo di tutti ad arrivare davanti alla porta. Ci metteva la classe, l’eleganza, la rapidità, la scaltrezza. E arrivava all’appuntamento con il destino. Però poi si inceppava. Balbettava. Crollava, esausto di fronte a tanta responsabilità. Diventò celebre non per quello che fece, ma per quello che sbagliò. Ci vuole talento anche in quello. Lui sbagliava nei modi più impensabili. Sempre per eccesso e mai per difetto.

Quarti di Usa ’94: Raducioiu segna una doppietta contro la Svezia

Forse è per questo che nonostante tutto l’ho amato. Per questa sua voglia di spaccare il mondo in campo. Per quell’innato desiderio di fare la cosa più difficile: allargare il dribbling, mirare all’angolino, tentare di raggiungere anche i palloni impossibili in scivolata. Un’esuberanza che a volte diventava goffaggine, alla quale faceva da contraltare un’incredibile discrezione fuori dal campo. Dalle esultanze pacate a quella foto con la Coppa con i giocatori del Milan. Come per dire: «Io sono qui, ma non c’entro nulla». Nemmeno un sorriso, nemmeno la maglia, solo una polo sociale, in una foto che forse non ha nemmeno appeso in camera. Quella di Bari invece c’è, l’ho vista una volta che ho parlato con Radu su Skype, quando l’ho inserito tra i giocatori che Bari non dimentica. Nonostante abbia segnato solo 5 gol. Nonostante i suoi bermuda discutibile e i mocassini vecchi. Ma uno che dopo vent’anni conserva ancora la foto di una Piazza del Ferrarese ancora tutta da ristrutturare, non si può proprio dimenticare. Tanto lo so che sbagliavi per eccesso, e mai per difetto, Radu.