Gary Cahill è nato nella città in cui è stato praticamente inventato il calcio. A Sheffield è avvenuta una delle prime codifiche del gioco (Sheffield Rules, 1858) ed è stata fondata la prima squadra del mondo, lo Sheffield Fc (1857). Negli store del club, ma pure su internet, si trovano gadget su cui è stampata la scritta “Sheffield – The Birthplace of Beautiful Game”. Gary Cahill è però un calciatore che c’entra poco con il primato estetico della sua città, nel senso che non è un tipo da Beatiful Game. Nel suo profilo su Whoscored, nella sezione Style of Play, leggiamo di come preferisca utilizzare passaggi bassi e semplici piuttosto che tentare appoggi complessi. Nessuna concessione allo spettacolo, qualità tecniche e di trattamento del pallone non proprio eccelse; d’altra parte, però, le sue skills di riferimento sono la sicurezza difensiva, le notevoli doti fisiche e la capacità di lettura del gioco. Questa sua differenza rispetto agli ideali di bellezza calcistica della sua città, paradossalmente, l’ha reso un personaggio chiave nella narrazione del nuovo Chelsea di Antonio Conte. Ancora prima che il tecnico salentino si insediasse fisicamente a Stamford Bridge, i giornali inglesi (come il Daily Express) scrivevano di come il nuovo sistema difensivo potesse rilanciare la carriera dell’ex Bolton.
In effetti, Cahill aveva cominciato bene la stagione: il gol contro il Liverpool nell’International Champions Cup di luglio, la rete al Leicester in League Cup giusto martedì scorso. Anche fuori dal campo, il rapporto sembrava essere nato sotto i migliori auspici: una ricerca su Google con la chiave “Cahill Conte” porta a una serie di dichiarazioni di stima e ammirazione del difensore inglese, che ha identificato nell’ex ct dell’Italia l’uomo in grado di riparare al «disastro» compiuto da Mourinho nella scorsa stagione. Eppure, ironia della sorte, è toccato proprio a Gary Cahill aprire ufficialmente la crisi del Chelsea. Con un errore grossolano in fase di impostazione, un sanguinoso pallone perso a metà campo che ha concesso ad Alexis Sánchez la possibilità di presentarsi solo davanti a Courtois e di segnare il primo gol di Arsenal-Chelsea. La partita è finita 3-0 in favore dei Gunners, dopo quello del cileno sono arrivati i gol di Walcott e Özil. Una disfatta assoluta, per i Blues e per Cahill. Ma anche per Conte, che dopo un inizio promettente sta conoscendo il primo vero periodo di crisi della sua nuova avventura inglese.
Gary Cahill and David Luiz is the worst centre half partnership since Gary Cahill and David Luiz.
— Premier League (@EPLBible) 24 settembre 2016
L’errore di Cahill, il gol di Sanchez e la crudele ironia del web
La scelta di aprire un pezzo sul momento nero del Chelsea con un’invettiva contro Cahill è puramente simbolica e narrativa. Responsabilità e motivazioni della situazione a Stamford Bridge, ovviamente, vanno ben al di là dell’errore di un singolo, di una leggerezza tecnica. Lo leggi nei numeri del match dell’Emirates, che in qualche modo fotografano difficoltà tattiche generali: il Chelsea ha tentato due sole conclusioni nello specchio, entrambe dopo il minuto numero ottantadue; appena tre occasioni costruite in tutto il primo tempo, con due key passes di Willian e uno di Hazard; per l’Arsenal, invece, cinque conclusioni dentro lo specchio della porta su 14 totali concesse in tutta la partita. Di queste, dieci sono arrivate nel solo primo tempo, e il 64% sono state scagliate oltre dall’interno dell’area di rigore.
Il Chelsea visto nel London Derby è dunque una squadra che ha denunciato problemi gravi in entrambe le fasi di gioco. Che soffre dietro e fa fatica a creare azioni pericolose. E che, per la prima volta, non è riuscita ad esercitare un reale controllo del gioco: nelle partite precedenti, il possesso palla era sempre stato favorevole ai Blues (picco del 56% contro lo Swansea, «la prestazione più abbagliante di questo inizio di stagione» secondo Dominic Fifield del Telegraph); persino nel match perso contro il Liverpool, una settimana fa, la squadra di Conte era riuscita a superare gli avversari in questa particolare statistica (53%). Come contro l’Arsenal, però, le difficoltà difensive e un approccio molle dal punto di vista mentale hanno fatto la differenza: delle 13 conclusioni concesse alla squadra di Klopp durante l’intera partita, 7 sono arrivate prima del 25esimo minuto; poco dopo la mezz’ora, a suggello dell’assoluto dominio dei Reds, è arrivato il secondo gol di Henderson, una meravigliosa soluzione a giro da fuori area. «A wonder goal worthy of Steven Gerrard», secondo Amy Lawrence del Guardian.
Chelsea-Liverpool 1-2
Nella conferenza stampa postpartita all’Emirates Stadium, Conte si è concentrato su due aspetti principali: la narrazione di questo Chelsea, che è «forte sulla carta ma non ancora in campo» e il fatto che le due sconfitte stagionali, peraltro consecutive, siano arrivate in scontri diretti contro due squadre di alto livello, Liverpool e Arsenal. Il primo punto coinvolge anche il mercato, che non ha contribuito a creare grosso entusiasmo intorno a questa squadra: un investimento di 83 milioni di sterline ha portato a quattro acquisti di un certo livello, uno in attacco (Batshuayi, 33 milioni di sterline al Marsiglia), uno a centrocampo (Kanté, 30 milioni di sterline al Leicester) e due in difesa (Marcos Alonso, 20 milioni di sterline alla Fiorentina, e David Luiz, cavallo di ritorno dal Psg costato 32 milioni di sterline). Una campagna importante, ma che non ha suscitato giudizi positivi da parte degli addetti ai lavori: Dom Fifield, sul Guardian, scrive di come «la principale carenza del Chelsea 2015/2016, la difesa, non sia stata affrontata nel modo corretto dal club: per tutta l’estate, Conte ha cercato interpreti di alto livello per la terza linea, ma si è poi dovuto accontentare del ritorno di David Luiz. La cui cessione, due anni, fa fu considerata una grande operazione, un affare».
Lo stesso tecnico salentino, in qualche modo, non aveva fatto trasparire una grossa soddisfazione per le scelte di mercato del club: un articolo del Times del 13 agosto riportava l’indiscrezione di un Conte molto «frustrato», in privato, per l’andamento della campagna acquisti. Dopo il deadline day, molti commenti hanno sottolineato come David Luiz non fosse la prima scelta di Antonio Conte, perché «non è certamente una figura che si segnali per acume tattico o disciplina difensiva» (ancora Fifield, sul Guardian).
Il gol di Özil, sabato 24 settembre (Paul Gilham/Getty Images)
In un pezzo dal contenuto simile su Espnfc, Gabriele Marcotti spiega come questa differenza tra l’idealtipo di difensore secondo Antonio Conte e il centrale brasiliano possa essere cancellata con la preparazione, attraverso i principi che sorreggono «”ConteWorld”, una dimensione parallela in cui il tecnico ha fiducia illimitata nella forza del duro lavoro e nella possibilità di insegnare cose straordinarie a calciatori ordinari. Come David Luiz quando si ritrova a dover interpretare il ruolo di centrale difensivo classico». Forse e quindi, Conte ha anche di che essere contento. Anche perché, come spiega ancora Marcotti, «Conte è un manager che brama il controllo e il controllo diventa significativo solo quando si dispone di molte opzioni in organico. Le opzioni diventano ancora più importanti del talento puro, perché un manager intelligente può trovare il modo giusto per trasformare i buoni giocatori in grandi giocatori. Basta guardare Italia-Spagna e Italia-Belgio degli ultimi Europei per rendersene conto».
Insomma, toccava e tocca ancora a Conte far fruttare una squadra reduce da un decimo posto, potenziata ma forse non ancora al livello delle grandi del campionato. La situazione migliore per il tecnico salentino, che sulla narrazione del gap tecnico colmato attraverso il lavoro tattico e della passione totale, finanche fisica, per questo lavoro ha costruito la sua intera carriera ad altissimi livelli. La situazione che si era verificata nei primi match della stagione, una suggestione verificata nella realtà e che aveva contagiato anche l’ambiente: dopo le prime buone esibizioni, i tifosi dei Blues avevano addirittura visto in Conte un motivatore à la Mourinho, oltre che un abile stratega in grado di far rendere una squadra, questa squadra, oltre il proprio limite. Persino gli stessi giocatori si erano fatti portavoce dello stesso concetto: Eden Hazard, giusto venti giorni fa, ha dichiarato che lui e i suoi compagni «danno tutto per Conte, perché Conte sa parlare ai calciatori e riesce a infondergli grande fiducia».
Chelsea-West Ham 2-1, l’esordio di Conte in Premier League
La situazione è cambiata dal momento in cui i Blues hanno iniziato ad alzare la posta, nel senso di qualità dell’avversario (il secondo spunto di riflessione di Conte nella press conference dopo Arsneal-Chelsea): le tre vittorie consecutive iniziali, peraltro non limpidissime, sono arrivate contro squadre di livello inferiore, almeno sulla carta (West Ham, Watford e Burnley). I match contro Liverpool e Arsenal hanno invece segnato una differenza sostanziale, hanno ridimensionato il Chelsea e le sue ambizioni. La motivazione fondamentale di questa tendenza, che è sintetizzabile nella frase fatta forte con i deboli e debole con i forti, è forse riconducibile a una mancanza di intensità e attenzione nei primissimi minuti delle partite. Una cosa che ti puoi permettere quando il tuo avversario non ha la qualità necessaria per attaccarti, ma che diventa fatale contro squadre più attrezzate, più talentuose e con un sistema di gioco più strutturato. Questa sensazione viene confermata pure dalle dichiarazioni rilasciate da Ivanovic al sito ufficiale del club dopo la sconfitta contro l’Arsenal: «Non abbiamo iniziato la partita nel modo che volevamo. Noi abbiamo creduto in quello che stavamo facendo nei primi minuti di gara, e siamo stati puniti».
Certo, hanno contato molto le disattenzioni individuali e gli episodi: lo stesso Cahill, autore della topica decisiva contro l’Arsenal, si era già reso protagonista di un pasticcio identico nella partita giocata in casa dello Swansea, finita 2-2. La percezione, però, è quella di un club non ancora perfettamente allineato sul progetto tattico e sulla gestione dei calciatori: alcuni giornali inglesi, già dopo la sconfitta contro il Liverpool, primo vero passo falso dell’era Conte, raccontavano di un Abramovich molto deluso dal tecnico salentino. Che sarebbe già finito «under pressure» a causa delle sostituzioni tardive e dello scarso utilizzo di Batshuayi (appena 52′ giocati in Premier League con zero apparizioni da titolare).
Ora, il futuro. Che, nonostante i problemi, ha comunque delle basi da cui ripartire: il senso del gruppo, che è possibile ritrovare nelle parole dei giocatori. Abbiamo già scritto di Cahill e Hazard, ma anche altri componenti della rosa hanno sottolineato il lavoro positivo di Conte, tipo Césc Fàbregas, altro caso di questa prima parte di stagione (un solo match da titolare in Premier, ma una grande prestazione in League Cup contro il Leicester). Lo spagnolo ha dichiarato che il tecnico salentino «merita rispetto e ha una grande voglia di vincere». Un bell’attestato di stima, considerando anche la scarsa considerazione che l’ex allenatore della Juventus ha mostrato finora per lui. Un altro grande merito di Conte è il recupero di Diego Costa: un feeling tattico da 5 gol e un assist in 6 partite di Premier, un’affinità umana che Mark Worrall, su Espnfc, spiega attraverso la similarità della loro passione anche smodata per il gioco – «Costa in the pitch, Conte in the technical area».
Il calendario, per sabato, propone al Chelsea la trasferta in casa dell’Hull City. Una partita potenzialmente perfetta per riannodare i fili di un percorso inizialmente positivo e poi diventato improvvisamente complicato. Contro una squadra più debole, almeno sulla carta. La stessa carta di cui Conte ha parlato dopo Arsenal-Chelsea, su cui il tecnico salentino, finora, ha letto che il suo Chelsea è una buona squadra. Su cui ha tracciato i primi schemi di un’avventura suggestiva e complessa, alla ricerca della definitiva consacrazione internazionale. Non sono bastati finora, o almeno non del tutto. La nuova occasione per verificarne l’efficacia è a Kingston upon Hull, nello Yorkshire. A un’ora e mezza di automobile da Sheffield, che sta sempre nello Yorkshire. Ed è sempre The Birthplace of Beautiful Game. Forse non è proprio un caso, nonostante Gary Cahill.